Jean-Théophane Vénard nacque il 21 febbraio 1829 a Sannt-Loup-sur-Thouet, nel territorio della diocesi francese di Poitiers, in seno ad una famiglia profondamente cristiana e patriarcale. Sotto la guida in particolar modo del padre, crebbe dolce e mite di cuore, ma risoluto di carattere. Mentre era al pascolo era solito cimentarsi nella lettura degli “Annali della Propagazione della Fede”. Un giorno rimase ammirato apprendendo delle atroci sofferenze patite dal suo connazionale Giancarlo Cornay in odio alla fede in terra vietnamita e giunse ad una decisione eroica: “Anche io voglio andare nel Tonchino; anche io voglio essere martire”. Nel 1841 il giovanisimo Teofane, dopo aver appreso le basi di latino dal parroco, intraprese gli studi nel collegio di Doué-la-Fontaine. Iniziò dunque un lungo rapporto epistolare con la famiglia, lettere sempre piene di sensibilità, d’immaginazione e buon senso. Negli ultimi due anni di studi, a causa delle incomprensioni sorte con alcuni professori, lo studente cadde in una profonda crisi da cui si riprese soltanto grazie alle raccomandazioni che riceveva dal padre e dalla sorella. Nella sua profonda umiltà, era solito osservare: “Per essere prete, occorre essere un santo. Per dirigere gli altri, occorre innanzi tutto saper dirigere se stessi... Come potrei sopportare un genere di vita simile, io che sono così poco avanzato nel cammino della virtù?”.
Teofane moltiplicò a tal fine le preghiere, recitò con più devozione il rosario, che alla morte della mamma nel 1843 si era proposto di dire tutti i giorni, uscendo così vincitore dalla sua battaglia. All’età di diciott’anni iniziò gli studi filosofici presso il seminario di Montmorillon, per poi proseguire con gli studi teologici nel seminario maggiore di Poitiers. Qui tutto lo lasciò incantato: la cella, il quotidiano raccoglimento, le feste liturgiche, gli studi in cui riusciva brillantemente. Con molta convinzione commentò infatti per iscritto: “Il seminario è il paradiso in terra”. Ciò nonostante, egli sentiva in cuor suo la chiamata da Dio ad un apostolato più vasto, come infatti traspare dalle lettere che indirizzate alla sorella. Quando fu ammesso all’ordine del suddiaconato confidò al padre: “Dio che è pieno di bontà e di misericordia, vuole possedermi interamente, corpo e anima. unirsi a me con legami indissolubili. Sì, in questo momento mi chiede il cuore; e io, confuso per tanto amore e bontà, che altro posso dire se non che glielo voglio dare?”
Al vescovo Monsignor Luigi Pie non mancò di manifestare il desiderio di aderire alle Missioni Estere di Parigi e fu accontentato. Il 7 febbraio 1851 avvertì per lettera il padre, ma affinché la notizia non lo sconvolgesse, gli consigliò: “Mettiti in ginocchio, prendi il crocifisso sospeso al camino dell'ufficio, quello che, penso, ha ricevuto l’ultimo sospiro di mia madre, e dì: Mio Dio! io pure lo voglio; che la tua volontà sia fatta! Amen.!”. Nel 1852, alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale, confidò ai familiari: “Nella festa della Santissima Trinità sarò prete! Mio Dio! Non ho la forza di avere un pensiero; non so se devo cantare o gemere... Sono un frutto giovane e ancora verde, eppure bisognerebbe che fossi maturo in un mese... Spero nel Signore che mi alleverà e m'illuminerà, e mi darà forza dolcezza. umiltà, prudenza, scienza e carità”.
Pochi mesi dopo Padre Vénard partì per l’Estremo Oriente al posto di un altro missionario ammalato. A Singapore, ove soggiornò alcuni giorni, incontrò quattro giovani annamiti che si recavano al seminario di Pinang rischiando la vita e ne restò entusiasmato, ignorando che egli stesso sarebbe stato destinato ad evangelizzare la loro terra. Infatti ad Hong Kong, dopo quindici mesi di attesa, un biglietto da parte del suo superiore gli annunciò: “A lei, signor Vénard, è affidata la gemma del Tonchino”.
Raggiunse così il Vietnam nel 1854 e scrisse ai suoi cari: “Mi sono allora offerto a Dio, sottomettendomi a tutto quello che sarebbe piaciuto alla sua bontà di disporre a mio riguardo; invocai Maria, mia regina e mia madre, mi misi sotto la protezione del mio buon angelo e degli angeli protettori del Tonchino”. Prese residenza a Vinh Tri, grande centro della missione e residenza del vescovo del Tonchino Occidentale, che il santo accompagnò dopo alcuni mesi nelle visite pastorali, avendo appreso molto rapidamente la lingua indigena.
Sin dal 1851 il re Tu-Duc, istigato dai mandarini, aveva emanato un editto per ordinare che i sacerdoti europei fossero gettati nel fiume, i sacerdoti vietnamiti venissero squartati in due ed i loro beni andassero al delatore con un premio di trecento talenti d’argento. L’applicazione dell’editto da parte del governatore subì una certa mitigazione, giacché un prete prigioniero gli aveva ottenuto la guarigione del figlio. Nel 1855 il proprio il Vénard poté attestare: “Non abbiamo avuto nessun martire, le nostre case sono sfuggite alla distruzione. Chi ne ha sofferto di più sono le nostre borse. È stato necessario chiudere la bocca ai mandarini con delle verghe d’argento”. Nel 1856, quando un secondo editto regio ordinò che tutti i cristiani fossero proscritti, il governatore inviò un catechista al sacerdote Le Bao Thinh, suo amico, onde avvertirlo che i mandarini avrebbero perquisito il seminario di Vinh Tri. Il messo, però, giunse a destinazione quando i soldati avevano ormai circondato il centro missionario. Le Bao Thinh si presentò da solo all’ufficiale, in qualità di direttore, permettendo così al vescovo, a Padre Vénard e ad altri sacerdoti e studenti di nascondersi nelle caverne circostanti. Le Bao Thinh venne però decapitato, i notabili esiliati ed il villaggio interamente distrutto.
Teofane iniziò a peregrinare per i monti, esposto a fatiche e pericoli di ogni sorta, finché trovò accoglienza nel seminario di Hoang-Nguyen, ove meno si era manifestata sino ad allora la crudeltà del governatore di Hanoi. In città continuare ad esercitare egregiamente il suo ministero, sino a quando non cadde gravemente malato. Non appena tornò in salute, un allarme gli intimò di lasciare Hoang-Nguyen e nascondersi per un mese. Verso Pasqua, ritornata la calma, poté uscire dal rifugio e tornare al suo lavoro. Durante il tragitto fu sorpreso da una pioggia fredda e penetrante, che gli provocò una tosse violenta e febbre. Il malato venne trasportato a Vinh-Tri e curato nel migliore dei modi, ma tutto parve inutile, tanto che egli stesso scrisse: “Mi spengo a poco a poco come una candela, sto attaccato alla vita soltanto per un capello, sono dichiarato spacciato dai medici. Viva la gioia a qualunque costo!”. All’inizio del 1857 non gli rimaneva alcuna speranza di guarigione e sembrava ormai prossima la fine, quando inaspettatamente una dolorosa cura si rivelò efficace.
Non poco odio continuavano però ancora a nutrire i pagani nei confronti dei missionari. L’ambasciatore francese nel 1857 tentò di intervenire in difesa dei cattolici, ma purtroppo non fece altro che accrescere l’avversione del sovrano contro di loro e la persecuzione riprese subito nella provincia di Nam-Dinh. Il Vénard si trovava ancora a Vinh-Tri insieme con il suo vescovo ed un confratello, quando i soldati accerchiarono improvvisamente il villaggio. Grazie all’aiuto di un prete indigeno, gli europei poterono sfuggire ai persecutori rifugiandosi ove possibile. Mentre il vescovo fuggì sulle montagne, Padre Teofane fece ritorno a Hoang-Nguyen, ove gli furono affidate quattro parrocchie per un totale di dodicimila anime. Egli sognava di guadagnare a Cristo i duecentocinquantamila pagani del suo distretto, ma fu tristemente costretto a constatare: “Le conversioni sono rare e molte di quelle che si fanno non perseverano. Oh, quanto è triste guardarsi intorno e non scorgere che villaggi pagani!”. Nel frattempo due nuovi editti nel 1858 causarono l’arresto di molti cristiani. Anche la comunità di Hoang-Nguyen fu assalita e distrutta. Avvisato in tempo, il missionario riuscì a fuggire, ma nuovi pericoli erano sempre all’ordine del giorno. Da quel momento non gli restò che scappare di rifugio in rifugio, circondato quasi ovunque da pagani ostili e da cristiani terrorizzati, trovandosi in balìa di spioni e di traditori. Un piccolo appartamento gli fu messo a disposizione dalle religiose Amanti della Croce di But-Dong. Di giorno si dedicava alla preghiera ed alla lettura, alla corrispondenza, alla traduzione di opere bibliche, mentre la sera confessava ed istruiva i fedeli. A più riprese il mandarino locale, spinto dai pagani del villaggio, fece perquisire a But-Dong e ridusse il convento delle suore a un mucchio di macerie.
Il Vénard trovò allora ospitalità presso l’indulgente sindaco pagano di Tan. Riprese però ben presto a visitare le varie comunità del distretto, esortando gli apostati a ritornare alla fede. L’ultima sua tappa, dopo cinque mesi di attività, fu Kim-Bang. Il sindaco di un villaggio vicino, saputo della sua presenza, lo fece arrestare il 30 novembre 1860 e, trasportatolo in barca a casa sua, lo rinchiuse in una gabbia di bambù per inviarlo alla sottoprefettura di Phu-Ly. Il Vénard comunicò la sua cattura ai familiari: “Il buon Dio nella sua misericordia ha permesso che cadessi nelle mani dei cattivi... Domani, 4 dicembre, sarò condotto alla prefettura (Hanoi). Ignoro quello che mi sarà riservato, ma non temo nulla; la grazia dell’Altissimo è con me. Maria Immacolata non mancherà di proteggere il suo misero servo... Eccomi dunque entrato nell'arena dei confessori della fede... Quando conoscerete i miei combattimenti, confido che apprenderete egualmente le mie vittorie... Se ottengo la grazia del martirio, allora soprattutto mi ricorderò di voi”. Ci ha lasciato inoltre questa descrizione del suo ingresso nella capitale vietnamita: “Voi mi vedete che sto tranquillamente seduto nella mia gabbia di legno, portata da otto soldati, in mezzo a una folla sterminata che fa ressa sul mio passaggio. Sento dire attorno a me: Com’è bello questo europeo! Egli è sereno e lieto come uno che va ad una festa! Non denota paura! Costui non ha commesso alcun peccato. E venuto in Annam per fare del bene, tuttavia sarà messo a morte”. Gli stessi giudici durante l’interrogatorio non nascosero la loro simpatia per l’accusato, tanto si mostrava distinto nel tratto, dolce e cortese nelle risposte. Nonostante ciò, in ottemperanza alla legge, il 17 dicembre 1860 venne condannato alla pena capitale in quanto rifiutatosi di calpestare la croce. Dichiarò allora il futuro martire: “Grandi mandarini, non temo la morte. Sono venuto qui a predicare la vera religione. Nono sono colpevole di nessun crimine, ma se l’Annam mi uccide, verserò il sangue con gioia per l’Annam”.
Trascorsero ben otto settimane prima che giungesse la ratifica della sentenza da parte del sovrano ed il Vénard approfittò di questo tempo per catechizzare quanti lo andavano a visitare. I soldati che lo avevano in custodia si dimostrarono indulgenti nei suoi confronti, come il prigioniero stesso ebbe a testimoniare: “Non ho ricevuto un solo colpo di bacchetta. Sono andato incontro a pochi disprezzi, a molte simpatie: nessuno qui vorrebbe farmi morire. Non soffro nulla a confronto dei miei fratelli. Non avrò che da curvare umilmente la testa sotto la scure, e subito mi troverò alla presenza del Signore, e prenderò posto sotto la bandiera degli uccisi per il nome di Gesù, e intonerò l'eterno osanna”. Sovente congedava con garbo i visitatori per inginocchiarsi nella gabbia a pregare. Verso sera talora gli era permesso di uscire fuori per confessarsi dai preti detenuti nel carcere o passeggiare recitando il rosario e cantando inni di ringraziamento, tra l’immaginabile stupore dei soldati. Quando la vigilanza divenne più severa, il vescovo coadiutore incaricò il sacerdote Thinh di andarlo a confessare ed una donna fidata di portargli l’Eucaristia.
La mattina del 2 febbraio 1861 giunse l’ora del martirio: si avviò verso il luogo dell’esecuzione attorniato da un centinaio di soldati e rivestito di un abito di cotone bianco ed un altro di seta nera, che si era fatti preparare apposicamente per l’occasione. Alla porta della città, vide distesa per terra una croce ed interruppe quindi il canto del Magnificat. Fu costretto con la forza a calpestarla e con lo sguardo cercò allora il prete Thinh affinchè gli impartisse l’assoluzione, ma questi era stato impossibilitato a presenziare. Giunto a destinazione, il Vénard sedette su una stuoia di tela preparata da alcune pie donne ed un soldato spezzò le pesanti catene che portava al collo ed ai piedi. Alzatosi, cercò ancora invano il prete Thinh, tracciò un segno di croce sulla folla e poi s’inginocchiò dinanzi al piolo di bambù. Rifiutò l’offerta del carnefice di una ricompensa in cambio di una decapitazione più indolore, si lasciò spogliare delle vesti e legare al piolo con le mani legate dietro la schiena. Il boia non parve molto esperto nel suo mestiere e gli furono necessari ben cinque colpi di spada per mozzare la testa al povero missionario.
A questo tragico epilogo seguì immediatamente una spontanea venerazione da parte del popolo: appena infatti i soldati lasciarono il campo libero, la folla si precipitò sul corpo del martire per raccoglierne il sangue. Nel 1865 le sue spoglie mortali furono traslate in Francia nel seminario della Società per le Missioni Estere di Parigi. Giunse infine un definitivo parere della Chiesa sulla vicenda: l’11 aprile 1909 papa San Pio X beatificò Giovanni Teofane Vénard ed infine il pontefice Giovanni Paolo II lo canonizzò il 16 giugno 1988 con altri 116 martiri in terra vietnamita.
Autore: Fabio Arduino
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