† 624/627 circa
Vescovo di Besançon dal 610 al 626, era probabilmente figlio del patrizio Protadio e del duca Waldelenus, entrambi ex genere Romani. Durante il suo episcopato, la Chiesa di Besançon fu riconosciuta come metropolita e Protadio partecipò al concilio di Parigi del 614. L'importante Ordo liturgico del capitolo di san Giovanni di Besancon è stato attribuito a Protadio, anche se la sua paternità è stata contestata. Protadio morì il 10 febbraio di un anno imprecisato tra il 626 e il 627 e fu sepolto a Besançon.
Martirologio Romano: A Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Protadio, vescovo.
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Gli esemplari più antichi del Catalogo episcopale di Besancon, verso il 1035 (si tratta del tipo C del Duchesne e del tipo II di Holder-Egger), pongono a torto il nome del vescovo Protadius (Prothadius) tra altri appartenenti all’inizio del secolo VIII. Questo errato ordine ha influenzato la Vita san Donati del secolo XI che fa di san Donato l’immediato successore di san Nicezio. L’errore è stato rettificato dagli altri tipi del medesimo Catalogo verso la metà del secolo XI. La successione Nicetius-Protadius-Donatus da essi offerta è quindi esatta poiché il governo del vescovo Protadio è attestato nel 614 e quello di Donato a partire dal 626-627.
Il nome di questo vescovo, identico a quello del patrizio favorito dalla regina Brunechilde, duca e poi maestro di palazzo in Borgogna dal 604 al 607, ha fatto pensare ad una stretta parentela tra i due personaggi: il vescovo Protadio era probabilmente figlio del patrizio omonimo così come il suo successore, Donato, era figlio del duca Waldelenus. I due duchi erano entrambi ex genere Romani.
È probabile che durante l’esilio di san Colombano a Besancon (610) il vescovo del luogo (sul quale Giona di Bobbio tace) fosse già Protadio. La sua firma figura infatti in calce agli Atti del concilio di Parigi del 10 ottobre 614 per due volte, ma con grafia ambedue le volte corrotta: tra quelle dei metropoliti: «Ex civitate Besuntione Proardus episcopus» e tra quelle dei semplici vescovi: «Ex civitate Besuntione Protagius episcopus». Tale stranezza è forse da porsi in rapporto con il fatto che fu precisamente in occasione di questo concilio che alla Chiesa di Besancon fu riconosciuto il rango metropolitico abolito durante i disordini del V secolo. La Vita san Protadii nota che nell’XI secolo si conservavano alcune lettere o diplomi indirizzati a Protadio dal re Clotario.
L’importante Ordo liturgico del capitolo di san Giovanni di Besancon è stato designato con il nome di Rituel de saint Prothade; in realtà questa compilazione risale alla metà del IX secolo, ma si è tenuto a farla precedere da un documento venerabile, il Prologo, redatto da san Protadio per un altro rituale liturgico oggi perduto (Clavis Patrum latinorum, 2007), del quale, così come del Prologo, non sembra gli si possa contestare la paternità, anche se quest’ultimo ha subito ritocchi nel secolo XI.
Protadio morì un 10 febbraio, prima del concilio dì Clichy a cui presenziò il suo successore (626-627) e fu sepolto presso l’altar maggiore della chiesa suburbana di san Pietro. Le sue reliquie, elevate nel 1614, furono spesso portate in processione attraverso la città per ottenere la cessazione delle intemperie. Salvate durante la Rivoluzione, furono ricollocate, il 17 luglio 1804, in una cappella della stessa chiesa: questa data rimase per qualche tempo quella della sua festa, riportata in seguito al 10 febbraio. Nella cappella è conservato un quadro del 1840 in cui si vede la città di Besancon che implora l'intercessione di san Protadio.
La Vita san Protadii composta con un certo gusto alla metà dell'XI secolo, contemporaneamente a quella di san Nicezio e di san Donato, ha raccolto con cura i pochi particolari allora noti aggiungendovi alcune allusioni alla situazione religiosa della Gallia ai tempi di san Gregorio Magno e, soprattutto, costituisce un ritratto ideale di un santo vescovo.
Un'altra leggenda dell'XI secolo attribuisce ai tempi di san Protadio il celebre miracolo del braccio di santo Stefano ritrovato nelle acque del Doubs dove era stato gettato dai ladri.
Autore: Bernard de Vregille
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