La vita
San Gregorio nacque molto probabilmente intorno all’anno 950 ad Andzevatsik in Armenia, oggi territorio turco, da una famiglia di scrittori. Fu dunque proprio il clima domestico a favorire la sua formazione intellettuale. Era inoltre nipote del fratello di Anania Narekatsi, padre del monastero di Narek, uno dei dottori più celebri dell’epoca, soprannominato “filosofo”. La madre di Gregorio morì mentre egli era ancora in tenera età e suo padre Khosrov, divenuto in seguito arcivescovo, decise di affidarlo insieme al fratello Giovanni proprio ad Anania. Presso il monastero di Narek, città anch’essa oggi parte della Turchia, esisteva una celebre scuola di Sacra Scrittura e di Patristica.
A quel tempo, l’Armenia viveva in relativa tranquillità. Non c’erano state le invasioni mongoliche e turche che mutarono la fisionomia del paese ed era un’epoca di creatività e pace, cosa che permise alla nazione una fioritura delle arti — letteratura, pittura, architettura, teologia —, nella quale Gregorio svolse un ruolo importantissimo.
Gregorio trascorse nel monastero tutta la sua vita: ben presto fu ordinato sacerdote e venne eletto abate del monastero alla morte di Anania, conducendo sempre una vita piena di umiltà e carità, impregnata di lavoro e di preghiera, animato da un ardente amore per Cristo e la sua Madre Santissima. La vita monastica gli fu indubbiamente di aiuto nel raggiungere le vette della santità e dell’esperienza mistica, dando dimostrazione della sua sapienza in vari scritti teologici e divenendo uno dei più importanti poeti della letteratura armena.
Siccome la sua fama di santità passò dal monastero di Narek ai monasteri delle vicinanze, San Gregorio divenne un riformatore di monaci. Tuttavia, la sua radicale fedeltà all’osservanza delle regole monastiche contrastava con il rilassamento di alcuni novizi. Questi, mossi inoltre dall’invidia, promossero contro di lui un’infame persecuzione, accusandolo di disseminare eresie nei suoi insegnamenti. Di conseguenza, fu deposto dai suoi incarichi.
La Provvidenza non tardò a venire in aiuto del suo fedele servitore. Delle cronache antiche raccontano che i vescovi designarono due monaci saggi per interrogare il santo abate riguardo alle sue presunte eresie. Questi, però, ritennero più efficace sottoporlo a una prova. Si presentarono nella sua cella, nel periodo quaresimale di astinenza dalla carne prescritto dalla regola, e gli offrirono un delizioso paté di piccioni come se si trattasse di pesce. Non appena entrarono, Gregorio interruppe la preghiera, aprì la finestra, cominciò a battere le mani e a gridare agli uccelli che lì intorno cinguettavano: “Venite, uccellini, a giocare con il pesce che si mangia oggi”. I due monaci intesero che quella facilità a scoprire e a liberarsi del tranello era una testimonianza eloquente della santità di Gregorio e, pertanto, dell’ortodossia della sua dottrina.
Entro le mura di un monastero, nelle misteriose terre orientali dell’antica Armenia, questo monaco scelse la parte migliore: imparò a conversare, nel tempo, con il Signore delle Altezzee, per godere della sua compagnia in eterno.
Già in vita, fu circondato da fama di santità e gli si attribuirono alcuni miracoli. Morì nel 1005, nel Monastero di Narek, dove venne sepolto.
Il Libro delle Lamentazioni
Nel 1003 Gregorio terminò la sua opera più famosa: il Libro delle Lamentazioni, chiamato anche Narek. Era il frutto di non poche fatiche durante una dolorosa malattia, come rivela in una delle sue preghiere: “Abbattuto dai miei crimini, sul letto delle mie malattie e il letamaio dei miei peccati, non sono niente più che un cadavere vivente, un morto che ancora parla. [...] Allora, come al giovane chiamato alla vita per lenire il dolore di sua madre, Tu ridammi la mia anima peccatrice rinnovata come la sua”. Libro unico nel suo genere, è composto in forma di invocazioni, soliloqui, colloqui con Dio che evocano, raccontano, piangono il dramma dell’itinerario spirituale, la tragedia dell’esistenza, dell’esserci in questo mondo proteso verso qualcosa che non è di questo mondo. Gregorio considerava questo suo capolavoro come un vero e proprio testamento spirituale ed espresse il desiderio ardente che le preghiere in esso contenute facessero sentire la sua presenza dopo la morte: “Che invece di me, al posto della mia voce, questo libro risuoni come un altro me stesso”.
Il Narek si compone di 95 “capitoli”, di dimensioni molto varie, che l’autore chiama ban, termine corrispondente al greco logos di cui esprime tutte le sfumature. “Dal profondo del cuore colloquio con Dio”: queste sono le parole poste all’inizio del primo ban, quasi un’antifona che si ripeterà, ampliata pressoché in tutti i ban successivi.
Gregorio di Narek, formidabile interprete dell’animo umano, sembrò pronunciare parole profetiche: “Io mi sono volontariamente caricato di tutte le colpe, da quelle del primo padre fino a quello dell’ultimo dei suoi discendenti, e me ne sono considerato responsabile” (Libro delle Lamentazioni, LXXII). Colpisce questo suo sentimento di universale solidarietà ed è facile sentirsi piccoli di fronte alla grandezza delle sue invocazioni: “Ricordati, [Signore,] … di quelli che nella stirpe umana sono nostri nemici, ma per il loro bene: compi in loro perdono e misericordia (...) Non sterminare coloro che mi mordono: trasformali! Estirpa la viziosa condotta terrena e radica quella buona in me e in loro” (ibid., LXXXIII).
Preannunci del dogma dell’Immacolata Concezione
Secondo una tradizione armena trasmessa di generazione in generazione, durante un lungo periodo della sua vita, Gregorio pianse implorando a Dio la grazia di vedere con i suoi propri occhi la Vergine Maria con il Bambino Gesù in braccio, almeno per una volta sola. Una notte, mentre era nella sua cella, vide scendere dal Cielo una luce che incideva su una piccola isola nel Lago di Van. Una lieve brezza si fece sentire e Maria Santissima apparve con Gesù in braccio. Non appena la vide, esclamò: “Ora, Signore, accogli la mia anima, perché ho già ottenuto quello che tanto desideravo”. La visione scomparve, ma l’isola passò a chiamarsi Aṙter — Aṙ Tēr significa “Signore, accogli”, in armeno —, e questo fatto memorabile fu riprodotto in molte miniature.
L’amore a Maria Santissima è una caratteristica dominante della sua spiritualità. A lei si riferisce come: “Questa Madre, che mi ama come un figlio, è spirituale, celeste e luminosa”. Una così grande devozione fu manifestata in modo particolare nell’orazione 80, intitolata Alla Madre di Dio, nella quale presenta importanti aspetti di mariologia, tra cui il preannuncio del dogma dell’Immacolata Concezione, proclamato oltre ottocento anni dopo.
Riportiamo i suoi bei passi iniziali: “Ecco che Ti supplico, Santa Madre di Dio, Angelo e figlia degli uomini, Cherubino apparso in forma corporea, Sovrana celeste, sincera come l’aria, pura come la luce, senza macchia che si alza come la stella del mattino, più santa della dimora inviolabile del Tempio, luogo di beate promesse, Eden dotato del soffio divino, albero della vita eterna, custodita da una spada di fuoco! Il sublime potere del Padre Ti ha ricoperto con la sua ombra e lo Spirito Santo, riposando in Te, Ti ha ornato con la sua santità; il Figlio, facendo in Te la sua dimora, Ti ha preparato come un tabernacolo; l’Unigenito del Padre è il tuo Primogenito, tuo Figlio per nascita, tuo Signore, poiché Ti ha creato. Niente macchia la tua purezza, niente macchia la tua bontà; Tu sei la santa immacolata, la cui intercessione ci protegge”.
Il suo rapporto con la Madre di Dio, molto allo stile orientale, esprime la dottrina in forma di panegirico e lode, a differenza degli occidentali, in particolare i latini, che formulano invece canoni e definizioni dogmatiche.
Il culto
Venerato da subito come santo, la sua tomba divenne meta di pellegrinaggio da parte dei fedeli e la sua memoria rimase in grande onore e venerazione presso tutto il popolo, anche dopo la conquista dell’Armenia da parte dei turchi nel 1071. Durante il genocidio degli anni 1915-1916, furono distrutti sia il monastero che la tomba del santo.
La Chiesa Armena lo annovera tra i Santi nel calendario liturgico quale Dottore. La Chiesa latina, pur non avendolo mai formalmente canonizzato, anch’essa riconosce la santità del Doctor Armenorum definendolo “insigne per la dottrina, gli scritti e la scienza mistica”, come recita il Martirologio Romano ricordando il suo nome il 27 febbraio.
Il 21 febbraio 2015 il Santo Padre Francesco ha confermato la sentenza affermativa della Sessione Plenaria dei Cardinali e Vescovi, Membri della Congregazione delle Cause dei Santi, circa il titolo di Dottore della Chiesa Universale da conferirsi a San Gregorio di Narek. Durante una solenne celebrazione eucaristica nella Basilica di San Pietro, domenica 12 aprile 2015, Papa Francesco ha ufficializzato la proclamazione, unitamente alla pubblicazione della Lettera apostolica “quibus sanctus Gregorius Narecensis Doctor Ecclesiae universalis renuntiatur”. Il santo armeno è divenuto così il trentaseiesimo Dottore riconosciuto dalla Chiesa cattolica.
Nello stesso giorno il Pontefice ha rivolto un Messaggio agli Armeni, in cui ha affermato: “San Gregorio di Narek, monaco del X secolo, più di ogni altro ha saputo esprimere la sensibilità del vostro popolo, dando voce al grido, che diventa preghiera, di un’umanità dolente e peccatrice, oppressa dall’angoscia della propria impotenza ma illuminata dallo splendore dell’amore di Dio e aperta alla speranza del suo intervento salvifico, capace di trasformare ogni cosa. «In virtù della sua potenza, io credo con una speranza che non tentenna, in sicura attesa, rifugiandomi nelle mani del Potente ... di vedere Lui stesso, nella sua misericordia e tenerezza e nell’eredità dei Cieli» (San Gregorio di Narek, Libro delle Lamentazioni, XII)”.
Ha poi concluso il suo Messaggio affidando alla Madre di Dio le sue intenzioni con le parole di San Gregorio di Narek:
«O purezza delle Vergini, corifea dei beati,
Madre dell’edificio incrollabile della Chiesa,
Genitrice del Verbo immacolato di Dio,
(…)
rifugiandoci sotto le ali sconfinate di difesa della tua intercessione,
innalziamo le nostre mani verso di te,
e con indubitata speranza crediamo di essere salvati».
(Panegirico alla Vergine)
Autore: Don Fabio Arduino
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