Il martirio di San Marziano avvenne, stando alla tradizione, nell’anno 122 durante l’impero di Adriano, ad opera del prefetto Saprizio.
La Tradizione sul martirio di Marziano
La lettura dei dati della tradizione, riportati dalle antiche fonti agiografiche della Chiesa tortonese, rivela interessanti dettagli che collimano con la prassi in uso nell’impero romano nei confronti dei cristiani. Pur restando sempre formalmente una religione illecita punibile con le massime pene, il cristianesimo, nei due secoli e mezzo che vanno dalla persecuzione di Nerone nel 64 all’editto di Costantino nel 313, fu oggetto di persecuzioni generalizzate solo in alcuni periodi. Per il resto si trattò di persecuzioni locali, mirate a decapitare la guida delle comunità, oppure di interventi su denunce personalizzate. Emblematico al riguardo è il rescritto di Traiano a Plinio il Giovane. Quest’ultimo, in veste di governatore della Bitinia, impressionato dal grande numero dei cristiani, inviò nell’anno 112 all’imperatore una lettera in cui chiedeva istruzione sul metodo da seguire verso di loro. L’imperatore rispose che essi andavano puniti in quanto cristiani, ma solo se colpiti da denuncia dell’autorità su segnalazione individuale, mentre il governatore non doveva porre in atto nessuna ricerca di cristiani a fini persecutori. Lo stesso Adriano, sotto il cui impero viene martirizzato il nostro Patrono, stabilisce regole ancora più restrittive, allo scopo di controllare le delazioni e proteggere i cristiani contro il furore delle masse pagane, le quali spesso obbligarono i magistrati a procedere; così ad esempio stabilisce il suo rescritto a Minucio Fundano, proconsole della provincia d’Asia, che porta proprio la data del 122/123.
Il martirio di San Marziano sembra ricadere in questo contesto. Non è in corso una persecuzione diffusa, anzi vi è un imperatore persino tollerante, ma la fama della santità di Marziano e il suo pluridecennale impegno pastorale portano a una denuncia individuale contro di lui. Si deve pertanto muovere l’autorità imperiale nella figura del suo prefetto Sapricio o Saprizio, a cui le fonti antiche, legate al martirio di San Marziano e di San Secondo, attribuiscono l’interessante ruolo di “prefetto della provincia delle Alpi Cozie”, di fatto “fuori giurisdizione” sia su Dertona sia su Hasta.
Come fu martirizzato Marziano
Il racconto del martirio di San Marziano è così scarno ed essenziale, senza alcun florilegio agiografico, che brilla per la sua maestosa sobrietà e fa propendere per un’origine antica, che precede l’uso di arricchire di episodi miracolistici le passioni dei martiri. Il vescovo Marziano è denunciato all’autorità imperiale, viene arrestato e interrogato; invitato a ripudiare Cristo, egli persevera nella fede e pertanto viene decapitato fuori dalle mura della città, secondo quanto il diritto prevedeva per i cittadini romani rei di pena capitale. Si accenna a una tortura col fuoco per indurre il santo ad abiurare. La tradizione tortonese ha sempre custodito la memoria del luogo del martirio, come pure ha sempre venerato il masso su cui il santo vescovo avrebbe posato il capo, davanti alla spada del carnefice.
La variante di Strabone
Nel famoso carme composto in onore di San Marziano da Valafrido Strabone nell’840 troviamo invece un’altra narrazione del martirio del nostro santo, dove Saprizio “bruciando con blocchi di ferro arroventati i visceri del Santo, fece sì che l’anima ne lasciasse il corpo”. Valafrido, soprannominato Strabone per il suo forte strabismo, fu uno dei più significativi letterati della Rinascenza Carolingia. Monaco a Reichenau e poi a Fulda, alla scuola del grande Rabano Mauro, il suo genio letterario lo portò appena diciottenne a rielaborare in versi una visione che l’abate di Reichenau Vettino aveva avuto prima di morire; nacque così la Visio Wettini, descrizione di un viaggio nell’oltretomba. Quest’opera gli guadagnò nell’829, a soli ventitré anni, un posto nella corte di Ludovico il Pio e di Giuditta, come precettore del minor principe Carlo il Calvo. Ne ottenne in compenso nell’838 la nomina ad abate di Reichenau.
Valafrido piace oggi prevalentemente come poeta attraente e geniale, ma per i suoi contemporanei la sua importanza risedette tutta nel dominio teologico, per cui fu ricercato e venerato come maestro e scrittore, a tal punto che i monaci di San Gallo gli affidarono la stesura della vita del fondatore dell’abbazia. Una delle fatiche letterarie di Valafrido fu anche la rielaborazione in miglior latino di rozze compilazioni di vite di Santi già esistenti. Qui dobbiamo fissare l’incontro con le notizie sulla vita di San Marziano che poi egli mise in versi, su committenza del Conte Alperg, in un latino elegante e poetico. Si pone quindi il problema di quali fonti sulla vita e il martirio di San Marziano avesse avuto a disposizione l’abate; con sicurezza sappiamo che a San Gallo poteva disporre dei testi della Passio e dalla Inventio di San Marziano, seguiti dalla Passio di San Secondo, contenuti insieme agli Acta di Sant’Innocenzo nel codice 577 di cui già ampliamente qui è stato scritto.
Resta da capire il motivo per cui Strabone abbia scelto un’altra tradizione relativa alle modalità del martirio di San Marziano, riportata per altro nel codice BHL 5262, all’interno della Passio dei Santi Faustino e Giovita; tuttavia questo codice, nella redazione a noi giunta, risale a un secolo dopo il carme e potrebbe dipendere da quest’ultimo. Resta quindi, per ora, a noi ignota la fonte alla quale abbia potuto attingere e i motivi della scelta.
Le sue spoglie da quando furono tolte dall’antica cattedrale di Tortona fino ai giorni nostri
Verbale del 19 settembre 1586
Per disposizione di Mons. Cesare Gambara e col consenso di Don Carlo d’Aragona governatore dello Stato di Milano, vengono aperte le custodie dove si riteneva fossero conservate le reliquie dei santi nell’antica cattedrale, ormai inserita nelle fortificazioni del castello, per trasferirle in sede più idonea, cioè nella nuova cattedrale consacrata nel 1584. Sotto l’altare maggiore, in un “vaso” marmoreo sono rinvenuti: una lastra laterizia quadrata con inciso “Corpus Sancti Martiani” e “molte ossa della testa et altre ossa del corpo et una scatola osia una dove era dentro un boletino sopra del quale si legge: Sanguis S.ti Martiani cum spongea qua fuit collectus sanguis”. In altre tre urnette coperte da laterizio sono rinvenuti nelle prime due il corpo di San Vitale, il corpo di Sant’Agricola, e nell’ultima diverse reliquie, tra cui San Sisto Papa, Santo Stefano Papa e San Secondo Martire.
Nella Cappella di Sant’Innocenzo si rinvengono, invece, tre cassette. Nella prima è contenuto il braccio di San Riccardo della Cometa (?) e altre ossa di Sant’Alberto di Bagnolo (?).
Nella seconda cassetta reliquie di diversi santi. Nella terza cassetta ossa di San Guglielmo eremita e altre ossa di San Marziano, San Vitale, Sant’Agricola e San Secondo. Non si trova però il corpo di Sant’Innocenzo nel luogo dove si pensava fosse conservato. Si decide quindi di far demolire l’altare e l’arca della cappella di Sant’Innocenzo. Sull’arca erano scolpite le teste di Sant’Innocenzo, di Santa Innocenza (importante testimonianza che la sorella del vescovo Innocenza, fondatrice del monastero femminile di Sant’Eufemia, era venerata come santa. Questo culto è stato poi perduto), di San Marziano e di San Secondo.
Sotto l’altare si ritrovano due blocchi di marmo che coprivano un muro di mattoni “et calcina tenacissima” che fa pensare all’opus latericium romano, al di là del muro vengono trovate altre due “pietre di marmo in modo di conca circondata di muro tenacissimo e fortissimo”. Si tratta della descrizione di una “tomba a cappuccina” molto nobile, visto che la copertura è in marmo e non in laterizio. Sul marmo sono incise quattro croci e all’interno della sepoltura è ritrovato un corpo, ritenuto quello di Sant’Innocenzo “poiché è sempre stata fama che in esta Capella fosse detto Corpo”. Tutte le reliquie, così come sono state rinvenute, vengono collocate in cassette lignee.
7 luglio 1654
Mons. Carlo Settala fa collocare le reliquie di San Marziano in un busto argenteo, molto probabilmente l’artistico busto che ancora oggi si conserva in cattedrale. Il busto presenta i punzoni della “Torretta”, riferibili a manifatture argentiere della Repubblica di Genova dal 1248 al 1824. Non è chiaro dal testo se l’intero corpo o solo parte di esso viene collocato all’interno del busto. Confrontando questo testo con un altro del 1870, in cui si afferma che le reliquie di San Marziano erano divise tra il busto e una cassetta, bisogna propendere per l’ipotesi della collocazione nel busto solo di alcune reliquie a scopo devozionale.
28 novembre 1669
In questo documento si dice che in un busto di Sant’Innocenzo vengono collocate ossa di San Marziano, Innocenzo, Vitale, Agricola e Secondo, tolte dalla cassetta in legno dolce in cui erano collocate. Nello stesso documento si afferma che nel busto di San Marziano vi sono 11 “involti” su tutti si legge: “Ossae fractae et alia multa fracta ossa corporis S. Martiani Ep.”.
11 maggio 1726
Mons. Giulio Resta fa estrarre da un busto, dedicato a Sant’Innocenzo in cui furono collocate il 28 novembre 1669, le reliquie dei SS. Marziano, Innocenzo, Vitale, Agricola e Secondo. Si afferma che prima del 1669 erano riposte in una cassetta di legno dolce (sicuramente la stessa da cui furono prelevate alcune reliquie nel 1669). Il Vescovo le fa quindi riporre in un nuovo busto, questa volta d’argento, sempre dedicato a Sant’Innocenzo e da lui donato. Si tratta del busto tuttora venerato in cattedrale. In tutti questi documenti non appare un elenco preciso e inventariato delle parti del corpo di San Marziano e degli altri santi. Si deduce però facilmente che nel caso dei santi Marziano, Innocenzo, Vitale e Agricola si tratti di corpi completi. La tradizione attesta che fino al 1870 la cassetta contenente parte del corpo di San Marziano, realizzata nel 1586, fosse a sua volta collocata in cattedrale all’interno del sarcofago marmoreo detto di “Elio Sabino”. Il sarcofago romano di Elio Sabino, giovane patrizio tortonese del III secolo d.C., fu ritrovato nel 1598 nell’area dell’antica abbazia benedettina di San Marziano; fu inizialmente ospitato all’interno della cattedrale di Tortona e nel 1904 fu concesso in deposito dalla Diocesi al Museo Civico di Tortona nella sede di Palazzo Guidobono dove tuttora, al piano terra, si può ammirare.
Verbali del 15 ottobre 1870 e del 22 ottobre 1875
In previsione del 1800° anniversario dell’arrivo di San Marziano a Tortona (le date tradizionali relative al ministero tortonese del santo sono: 75 d.C. inizio della predicazione e 122 d.C. martirio) Mons. Vincenzo Capelli decide di dare una sistemazione definitiva al corpo di San Marziano, che è l’attuale. L’operazione fu complessa e durò cinque anni dal 1870 al 1875. Dai due verbali del 15 ottobre 1870 e 22 ottobre 1875 e dalle dichiarazioni allegate, si evince che nel 1870 le reliquie di San Marziano sono divise tra il busto del 1654 e una cassetta, probabilmente la stessa menzionata nei verbali precedenti, risalente al 1586. Il 22 ottobre vengono tutte consegnate, tranne alcuni piccoli frammenti trattenuti per farne reliquie da distribuire, al teologo don Giulio Guglielmetti, Canonico Prevosto della Collegiata di Intra, “allo scopo che venissero riposte nella salma da esso Teologo con religiosa maestria plasmata rappresentante il santo martire pontificalmente vestito”. Le parti del corpo di San Marziano vengono collocate nella salma in cera nelle rispettive collocazioni anatomiche.
In quell’occasione abbiamo il primo inventario dettagliato delle Reliquie di San Marziano. Nel Capo: diverse porzioni del cranio con altri piccoli pezzi della testa, mandibola inferiore (una metà intera e alcuni pezzi dell’altra), due denti indicati come “un mascellare e un incisivo”. Nel collo: vertebre cervicali parte intere e parte rotte. Nelle spalle: scapola destra e scapola sinistra. Nel petto: parte superiore dello sterno con frammenti di costole, due clavicole, diverse vertebre dorsali e lombari, ossa iliache spezzate (cioè ossa del bacino) e parte superiore dell’osso sacro (prima coccigea). Nelle braccia: omeri destro e sinistro, cubiti (cioè le ossa del gomito), un radio, alcune falangi. Nelle gambe: due femori il destro intero e il sinistro spezzato, una tibia intera e un pezzo dell’altra. Inoltre sono inventariate come “ossa varie”: un metatarso, un dente, un’epifisi (cioè l’estremità tondeggiante delle ossa lunghe), frammenti di ossa e polveri. Infine vi è il vaso di vetro ai piedi del santo, tutt’ora visibile, che contiene un altro vaso di piombo “pieno di pannolini e spugne intrisi nel sangue del Martire ed altrettante ancora fuori di esso fino al riempimento totale di tutto il vaso di vetro”: quelli che la tradizione indica usati da San Secondo per raccogliere il sangue di Marziano decapitato e mirabilmente rappresentati nella pala di Camillo Procaccini nell’abside della cattedrale.
In quell’occasione una vertebra dorsale viene reinserita nel busto argenteo, da cui venne in seguito tolta per essere collocata nel 2006 nel sacrario del nuovo altare della cattedrale.
Attualmente, dal 1070, “tutte le ossa su indicate sono nell’interno del corpo involte nella seta e nella carta legate e sigillate ad una per una col sigillo vescovile e col loro nome proprio”. Anche la pietra laterizia, descritta nel 1586 e che la tradizione indica come la copertura della tomba di Marziano rinvenuta da Sant’Innocenzo, è all’interno dell’urna, collocata tra i cuscini sotto il simulacro del santo. Un vetro permette di vedere nel petto del simulacro alcune ossa, come si legge nel verbale fu volutamente scelta questa soluzione: “si è fatto vedere nel petto lo sterno ed alcuni pezzi di coste tanto per indicare ai divoti tutto il resto del sacro deposito che si contiene in tutto il corpo”.
Nel 1975, in occasione del 1900° anniversario dell’arrivo di San Marziano a Tortona, l’urna fu portata in Santa Maria Canale, aperta e il simulacro “restaurato”. Non sappiamo in cosa sia costituito il restauro, forse solo in una pulitura esterna del viso e dei paramenti o forse il riporto dei ricami, eseguiti nel 1870 dalla Beata Nemesia Valle e dalle sue orfanelle del San Vincenzo, su nuovo tessuto.
Così testimoniavano l’allora parroco di Santa Maria Canale, mons. Ugo Perfumo, e il cerimoniere vescovile mons. Carlo Gomarasca.
Autore: Don Maurizio Ceriani
Fonte:
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