La città di Verona, ha per il suo santo patrono, una devozione “affettuosa e brusca”, che dura ininterrotta da sedici secoli; per il santo vescovo “moro e pescatore”, i veronesi eressero nel tempo una magnifica Basilica, più volte ricostruita e centro del suo culto.
San Zeno o Zenone, secondo la “Cronaca”, leggenda medioevale di Coronato, un notaio veronese vissuto sulla fine del VII secolo, era originario dell’Africa settentrionale, più precisamente della Mauritania.
Tale provenienza, mancando una documentazione certa, è stata confermata dal tenore dei suoi scritti, che rispecchiano lo stile e la sostanza di tanti altri celebri autori, dell’effervescente Africa dell’epoca, come Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e Lattanzio.
Non si sa, se egli giunse a Verona con la famiglia, né il motivo del trasferimento; d’altra parte bisogna considerare che nel IV secolo, dopo la fine delle grandi persecuzioni contro i cristiani, la Chiesa prese davvero un respiro universale, con scambio, viaggi e trasferimenti, di personaggi di grande dottrina e santità, si ricorda che africani erano s. Venanziano († 367) vescovo di Aquileia, Donato prete in Milano, il grande sant’Agostino, Fortunaziano, ecc.
Si è ipotizzato che Zeno fosse figlio d’un impiegato statale finito in Italia settentrionale, a seguito delle riforme burocratiche volute dall’imperatore Costantino; altra ipotesi è che Zeno si trovava al seguito del patriarca d’Alessandria, Atanasio, esule e in visita a Verona nel 340.
Rimasto nella bella città veneta, Zeno (Zenone il suo nome originario), avrebbe fatto vita monastica, fino a quando nel 362, fu eletto successore del defunto vescovo Cricino, divenendo così l’ottavo vescovo di Verona, il suo episcopato durò una decina d’anni, perché morì il 12 aprile del 372 ca.; la prima testimonianza su di lui si trova in una lettera di sant’Ambrogio al vescovo Siagro, terzo successore di san Zeno, che lo nomina come un presule “di santa memoria”; qualche anno dopo Petronio, vescovo di Verona fra il 412 e il 429, ne ricorda le grandi virtù e conferma la venerazione che gli era già tributata.
La conferma del culto di s. Zeno o Zenone, si ha anche da un antico documento, il “Rhytmus Pipinianus” o “Versus de Verona”, un elogio in versi della città, scritto fra il 781 e l’810, in cui si afferma che Zeno fu l’ottavo vescovo di Verona e poi c’è il cosiddetto “Velo di Classe”, dell’ottavo secolo, una preziosa tovaglia conservata a Ravenna, in cui sono ricamati i ritratti dei vescovi veronesi, fra i quali s. Zeno.
Anche il papa s. Gregorio Magno, alla fine del VI secolo raccontò un prodigio avvenuto in città, attribuito alla potente intercessione del santo; verso il 485 una piena del fiume Adige, sommerse Verona, giungendo fino alla chiesa dedicata a san Zeno, che aveva le porte aperte; benché l’acqua del fiume avesse raggiunto l’altezza delle finestre, non penetrò attraverso la porta aperta, quasi come se avesse incontrato una solida parete ad arginarla.
Ciò che maggiormente testimonia l’origine africana del santo, sono i suoi 93 “Sermones” o trattati, di cui 16 lunghi e 77 brevi, con la cui stesura, a detta degli studiosi, Zeno aprì la grande schiera degli scrittori cattolici, fu il primo dei grandi Padri latini e meriterebbe quindi di essere collocato fra i Dottori della Chiesa, per la scienza testimoniata con i suoi scritti.
I temi dei ‘Sermoni’ sono quelli affrontati nella predicazione: la genuinità della dottrina trinitaria, la mariologia, l’iniziazione sacramentale (l’Eucaristia e il Battesimo, con cui egli ammetteva i pagani solo dopo un’adeguata preparazione e un severo esame), la liturgia pasquale, le virtù cristiane della povertà, umiltà, carità e l’aiuto ai poveri e sofferenti.
Gli argomenti dogmatici, morali, cristologici, biblici e gli episodi cui fa riferimento, sono espressi dal santo con uno stile che ne testimonia l’origine; dicono gli esperti che il suo latino è “caldo e conciso”, ricorda quello degli scrittori africani “abituati a tormentare le frasi e a coniare nuovi vocaboli, per scolpire in tutta la sua luminosa bellezza l’idea”.
Lo stile africano è ricordato anche in quel “procedere sentenzioso, nei giochi di parole e di immagini, in quei larghi sviluppi oratori, nei quali l’anima del Santo trasfonde tutta l’irruenza dell’entusiasmo e dello sdegno…” (Mons. Guglielmo Ederle, per lunghi anni abate della Basilica).
L’eleganza dello stile, accomunata alle espressioni sovrabbondanti e all’improvvisa mescolanza di lingua letteraria e di volgare, fece si che san Zeno fosse definito il “Cicerone cristiano”.
Condusse con le sue predicazioni, trascritte da qualche suo discepolo nei “Sermones”, vivaci battaglie contro i Fotiniani (ariani) e la rinascita nelle campagne, del paganesimo (dovuta soprattutto all’apostasia di Giuliano); le sue prediche erano affollate da neoconvertiti ma anche da pagani, attratti dalla sua abile oratoria.
Dal panegirico pronunciato da s. Petronio vescovo di Bologna, nella prima metà del V secolo, nella chiesa dove riposavano i resti del santo, si apprende che Zeno fu vescovo insigne per carità, umiltà, povertà, liberalità verso i poveri; sollecitava con forza clero e fedeli alla pratica delle virtù cristiane, dando loro l’esempio.
Costruì a Verona la prima chiesa, che si trovava probabilmente nella zona dell’attuale Duomo, dove si riconoscono le tracce dei primi edifici cristiani; si tratta della chiesa già citata, che prodigiosamente non fu allagata dalla piena del fiume Adige nel 588, e per questo fu donata a Teodolinda, moglie di re Autari, che fu testimone oculare dell’avvenuto prodigio.
Quella chiesa fu rifatta ai tempi di re Teodorico e nell’804 venne danneggiata, insieme al vicino monastero, da ‘uomini infedeli’, probabilmente dagli Unni e anche dagli Avari.
Il vescovo Rotaldo la volle ricostruire, commissionando il nuovo progetto all’insigne arcidiacono Pacifico; l’8 dicembre 806, il nuovo tempio fu consacrato e dal romitaggio sul Monte Baldo sopra Malcesine, scesero gli eremiti Benigno e Caro, ritenuti degni di trasportare le reliquie del santo nel nuovo tempio, dove furono poste in un basamento di marmi levigati, nella cripta sorretta da colonne.
Alla consacrazione furono presenti, il re Pipino, figlio di Carlo Magno, il vescovo di Verona, quelli di Cremona e Salisburgo, più una folla immensa.
Ma dal Nord Europa, ancora una volta calarono eserciti barbari, giungendo nell’antichissima e celebre città a cavallo dell’Adige; Verona è stata nei secoli la prima tappa dei popoli germanici e dell’Est europeo, che varcavano le Alpi per invadere e conquistare la Penisola e verso la fine del IX secolo, gli Ungheri assalirono Verona e saccheggiarono le chiese dei sobborghi.
Ma le reliquie di san Zeno erano state messe in salvo in cattedrale e solo nel 921, poterono tornare nella cripta della chiesa a lui dedicata. Per mettere al sicuro definitivamente le reliquie del santo e la tranquillità del culto per il Patrono, in quegli anni si decise di costruire una grande basilica, più vasta e più protetta. Non fu impresa facile; per la nuova basilica romanica, giunsero aiuti finanziari e tecnici dai re d’Italia Rodolfo e Ugo; lo stesso imperatore Ottone I, lasciando Verona nel 967, donò una cospicua somma al vescovo realizzatore Raterio.
La basilica, nel 1120, 1138, 1356, ebbe altre ristrutturazioni, modifiche e ampliamenti, specie all’interno, mentre il campanile fu eretto nel 1045 per iniziativa dell’abate Alberico; attualmente la vicina Torre merlata, è quanto resta della ricca abbazia benedettina, in cui furono ospitati, re, imperatori, cardinali.
Il portale bronzeo della Basilica, è da tempo chiamato, ‘il libro di bronzo’ e la ‘Bibbia dei poveri’; esso racconta in successive 48 formelle, episodi biblici e della vita di Gesù, oltre ai miracoli di San Zeno.
I miracoli raffigurati, furono tratti dai racconti del già citato notaio veronese Coronato, e dalle formelle si può apprendere quelli più eclatanti; quando san Zeno fu eletto vescovo di Verona, prese ad abitare con dei monaci, in un luogo solitario verso la riva dell’Adige e giacché viveva povero, era solito pescare nel fiume per cibarsi; e un giorno mentre stava pescando, vide più in là un contadino trascinato nella corrente del fiume, insieme al suo carro, dai buoi stranamente imbizzarriti.
Avendo intuito che si trattava di un’opera del demonio, fece un segno di croce, che ebbe l’effetto di far calmare i buoi, che riportarono così il carro sulla riva.
È uno dei tanti episodi di lotta con i demoni, che il santo vescovo, dovette affrontare lungo tutto il suo episcopato; poiché diverse volte lo disturbavano e tante volte san Zeno li scacciava adeguatamente; infatti nell’affresco della lunetta del protiro della basilica e nei bassorilievi di marmo che le fanno da base, s. Zeno è raffigurato fra l’altro mentre calpesta il demonio.
In un’altra formella del portale, si vede il demonio scacciato dai buoi nel fiume, che indispettito si trasferisce nel corpo della figlia di Gallieno, che doveva essere un nobile locale, ma poi individuato erroneamente come l’imperatore, in tal caso le date non corrispondono.
Gallieno, saputo del vescovo Zeno, che combatteva efficacemente i demoni, lo mandò a chiamare e così l’unica sua figlia fu liberata; per riconoscenza Gallieno gli concesse piena libertà di edificare chiese e predicare il cristianesimo, donandogli anche il suo prezioso diadema, che s. Zeno divise tra i poveri.
Nella basilica esiste una bella vasca di porfido, pesantissima, che la tradizione vuole regalata da Gallieno al vescovo, il quale volendo punire l’impertinente demonio, gli ordinò di trasportarla fino a Verona; il demonio obbedì, ma con tanta rabbia, tanto da lasciare sulla vasca l’impronta delle sue unghiate; al di là della tradizione, la vasca può essere un importante reperto archeologico, delle antiche terme romane della città.
Decine sono gli episodi miracolosi e i prodigi, che la tradizione e la leggenda, attribuiscono a san Zeno, sempre in lotta con i diavoli, perlopiù dispettosi, che cercavano sempre di ostacolarlo nella predicazione e nel suo ministero episcopale; si tratta di una particolare lotta del santo, che secondo alcune leggende avrebbe visto e scacciato il demonio, sin da quando era un chierico, mentre era in compagnia di s. Ambrogio.
Infine non si può soprassedere sull’ipotesi, che san Zeno fosse un uomo oltre che istruito e saggio, anche bonario e gioviale; lo attestano due importanti opere, un’anta dell’antico organo, ora custodita nella chiesa di San Procolo, e la grande statua in marmo colorato, della metà del XIII secolo, nella basilica, che lo raffigurano entrambe sorridente fra i baffi; la statua raffigura san Zeno seduto, vestito dai paramenti vescovili, con il viso scuro per le sue origini nord africane, che sorride e benedice con la mano destra, mentre con la sinistra sorregge il pastorale, a cui è appeso ad un amo un pesce, a ricordo della sua necessità di pescare nell’Adige per i suoi pasti frugali.
I veronesi indicano questa statua, come “San Zen che ride”; il santo è patrono dei pescatori d’acque dolci, il grosso sasso lustrato su cui, secondo la tradizione, sedeva mentre pescava nel fiume, è conservato in una piccola chiesetta denominata San Zeno in Oratorio, non lontano dalla millenaria basilica veronese, in cui riposa il santo Patrono.
Autore: Antonio Borrelli
Note:
La festa liturgica di san Zeno è il 12 aprile; nella diocesi di Verona, però, la ricorrenza è stata spostata al 21 maggio, a ricordo del giorno della traslazione delle reliquie nella basilica, avvenuta il 21 maggio 807.
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