Bassano del Grappa, Vicenza, 9 aprile 1790 - Padova, 2 aprile 1860
Nata a Bassano del Grappa il 9 aprile 1790, Elisabetta Vendramini studia dalle Suore Agostiniane. A 22 anni, vincendo la resistenza dei suoi genitori, si fidanza con un ragazzo di Ferrara di umili origini. Ma poco prima del matrimonio, a 27 anni, interrompe la relazione e va ad insegnare nell'orfanotrofio delle Terziarie francescane dove la Superiora la umilia ripetutamente. Così Elisabetta passa all'istituto degli Esposti a Padova che accoglie bambini abbandonati. Ma vi resta solo un anno, siamo a fino 1828, e si trasferisce alla «Casa degli sbirri». Con una compagna apre una scuola gratuita tra bambini abbandonati e anziani infermi e comincia ad accogliere delle giovani sotto il nome di Francescane Elisabettine. Dal 1835 le Elisabettine si moltiplicano e aprono scuole, aiutano gli emarginati e gli anziani. Elisabetta muore il 2 aprile 1860, prima che la congregazione ottenga i riconoscimenti canonici. Giovanni Paolo II l'ha beatificata il 4 novembre 1990. (Avvenire)
Etimologia: Elisabetta = Dio è il mio giuramento, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Padova, beata Elisabetta Vendramini, vergine, che dedicò la sua vita ai poveri e, dopo aver superato molte avversità, fondò l’Istituto delle Suore Elisabettine del Terz’Ordine di San Francesco.
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È una diciassettenne corteggiatissima in Bassano, dopo i buoni studi dalle Suore Agostiniane. Lei delude tutti, e solo a 22 anni trova il tipo giusto: un ragazzo di Ferrara. Vince la resistenza dei suoi (per le modeste condizioni di lui), ma poco prima delle nozze tronca tutto. E ha 27 anni. Resta in casa fino ai 30, poi va a fare la maestra nell’orfanotrofio locale, tenuto dalle Terziarie francescane (una branca del Terz’Ordine, con vita comunitaria e impegno regolare verso i poveri).
Ma l’Istituto è un disastro, e se ne dà colpa a una superiora dispotica, che subito vede in Elisabetta un’avversaria e le infligge umiliazioni insopportabili. Lei passa allora all’istituto degli “Esposti” in Padova, che accoglie bambini abbandonati. Ma dura poco anche qui: fino al novembre 1828. E non perché la trattino male. Anzi, cercano di farla restare, perché è un’educatrice valida. Lei però lascia, perché non condivide l’impostazione pedagogica: troppo aristocratica, a suo giudizio. Va a finire, sempre a Padova, in un luogo dal nome deprimente: “Casa degli sbirri”. E così ne parla: "Nel novembre 1828 fui posta da Dio con una compagna [...] in una splendida reggia della santa povertà, priva persino del letto".
In due aprono una scuola gratuita lì, tra bambini abbandonati e vecchi infermi, cosicché devono farsi bambinaie, maestre, infermiere. E la situazione ispira a Elisabetta il disegno di un istituto nuovo, diverso; religiose addestrate all’intervento su più fronti. Comincia a raccogliere le prime giovani sotto il nome di Francescane Elisabettine (in onore di santa Elisabetta d’Ungheria, fondatrice di comunità femminili nel Duecento): saranno educatrici, ma pronte anche a operare in ogni situazione di sofferenza. Un’agile istituzione che si modella su necessità e situazioni diverse, agganciata ai bisogni di ciascun momento. Dal 1835 in poi, le Elisabettine si moltiplicano, aprono scuole, vanno a servire emarginati, vecchi, infermi. Fronteggiano un’epidemia di colera, creano asili d’infanzia. Tante necessità, tanti interventi.
Struttura e stile dell’Istituto si rivelano adatti ai tempi: le Elisabettine otterranno via via i riconoscimenti canonici, alla fine del XX secolo saranno 1.500, attive in Europa, Africa, Medio Oriente e America latina. Elisabetta, la fondatrice, è morta prima delle approvazioni, appena dopo aver dato slancio alla sua opera. E di lei non esiste sepolcro. Il corpo è scomparso dopo il 1872, nel corso dei lavori di ristrutturazione del cimitero di Padova. Giovanni Paolo II l’ha beatificata il 4 novembre 1990.
Autore: Domenico Agasso
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