Del fatto che “il bene bisogna farlo bene” era stata sempre fermamente convinta, semplicemente non sapeva da dove iniziare. Di famiglia agiata (il padre è medico, la mamma appartiene ad una ricca famiglia di calzolai), Rosa Venerini nasce a Viterbo il 9 febbraio 1656. Intelligente, sensibile e pure bella, a 20 anni ha davanti a sé, come tutte le coetanee, l’imbarazzo della scelta tra il matrimonio e il monastero. Lei non sembra decidersi né per l’uno né per l’altro: consacrata per essere tutta di Dio, questo sì, ed infatti sono anni che emette privatamente il voto di castità, ma per la vita in convento non si sente molto portata. Su consiglio di papà entra per un periodo di prova nel convento domenicano della sua città, dove già c’è una zia suora, ma si ferma pochi mesi appena perché papà muore improvvisamente e in casa hanno bisogno di lei. E non pensa neppure di ritornarvi dopo, perché si è accorta che la vita contemplativa proprio non fa per lei. Dal 1677 al 1680 casa sua si svuota: prima si sposa la sorella, poi muore ad appena 27 anni il fratello Domenico, subito seguito dalla mamma, che non ha retto al dolore. Rosa si ritrova sola con il fratello Orazio e, soprattutto, con l’eterno interrogativo su cosa fare della sua vita. Pratica e razionale, con i piedi ben piantati per terra ma con gli occhi sempre rivolti al cielo, ha il coraggio di pensare che la sua vita possa essere impostata anche al di fuori degli schemi tradizionali. Ad aprirle nuovi orizzonti è il suo confessore, che le consiglia, per riempire le sue giornate troppo vuote, di radunare in casa sua le donne e le ragazze del vicinato per la recita del rosario. E’ proprio durante questi incontri di preghiera che Rosa si accorge della povertà spirituale e culturale della donna del suo tempo e decide così di aggiungere alle preghiere alcune basilari nozioni di istruzione religiosa. Di qui all’apertura di una scuola per bambine e adolescenti il passo è breve: il 20 dicembre 1684, ormai completamente libera da impegni familiari perché anche l’ultimo fratello si è sposato, Rosa affitta una casa e inaugura la sua prima vera scuola con l’aiuto di due amiche e il sostegno di una benefattrice. A Viterbo fanno scandalo queste donne che vivono da religiose “nel mondo” aldilà delle tradizionali mura di un convento, ma Rosa non si lascia impressionare. Come non si lascia condizionare dall’aperta opposizione di una parte del clero, che vede nella sua opera catechistica (appoggiata dai Gesuiti) una concorrenza per il catechismo che tradizionalmente si tiene nelle singole parrocchie. Le sue “Maestre Pie” crescono di numero e Rosa le manda a due a due nelle varie diocesi in cui è richiesta la sua opera. Apre una scuola anche a Roma, dove il 24 ottobre 1716 ha tra i banchi uno “scolaro” d’eccezione, papa Clemente XI, che vuole accertarsi di persona sui suoi metodi di insegnamento. “Signora Rosa, con queste scuole voi ci santificherete Roma”, le dice andandosene, con un giudizio che è più che un “imprimatur”. Ma lei continua a collezionare difficoltà, incomprensioni e ostilità, accettate “inchiodata alla volontà di Dio” e sempre più convinta che la rigenerazione della famiglia passa solo attraverso il riscatto della donna dalla povertà culturale in cui da sempre è confinata. Morta a Roma il 7 maggio 1728, Madre Rosa Venerini è proclamata beata da Pio XII nel 1952 e canonizzata da Benedetto XVI il 15 ottobre 2006.
Autore: Gianpiero Pettiti
Rosa Venerini nacque a Viterbo, il 9 febbraio 1656. Il padre, Goffredo, originario di Castelleone di Suasa (Ancona), dopo aver conseguito la laurea in medicina a Roma, si trasferì a Viterbo ed esercitò brillantemente la professione di medico nell’Ospedale Grande. Dal suo matrimonio con Marzia Zampichetti, di antica famiglia viterbese, nacquero quattro figli: Domenico, Maria Maddalena, Rosa, Orazio.
Rosa fu dotata dalla natura di intelligenza e di sensibilità umana non comuni. L’educazione ricevuta in famiglia le permise di sviluppare i numerosi talenti di mente e di cuore e di formarsi a saldi principi cristiani. All’età di sette anni, secondo il suo primo biografo, Padre Girolamo Andreucci S.I. fece voto di consacrare a Dio la sua vita. Durante la prima giovinezza, visse il conflitto tra le attrattive del mondo e la promessa fatta a Dio. Superò la crisi con la preghiera fiduciosa e la mortificazione.
A 20 anni, Rosa si interrogava sul proprio futuro. La donna dei suoi tempi poteva scegliere solo due orientamenti di vita: il matrimonio o la clausura. Rosa stimava l’una e l’altra via, ma si sentiva chiamata a realizzare un altro progetto a vantaggio della Chiesa e della società del suo tempo. Spinta da istanze interiori profetiche, impiegò molto tempo, nella sofferenza e nella ricerca, prima di giungere ad una soluzione del tutto innovativa.
Nell’autunno del 1676, d’intesa con suo padre, Rosa entrò in educazione nel monastero domenicano di Santa Caterina a Viterbo con la prospettiva di realizzare il suo voto. Accanto alla zia Anna Cecilia imparò ad ascoltare Dio nel silenzio e nella meditazione. Rimase nel monastero pochi mesi perché la morte prematura del padre la costrinse a tornare accanto alla mamma sofferente. Negli anni immediatamente successivi Rosa dovette farsi carico di avvenimenti gravi per la sua famiglia: a soli 27 anni di età morì il fratello Domenico e, pochi mesi dopo, lo seguì la madre che non resse al dolore. Nel frattempo Maria Maddalena si era sposata.
Rimanevano in casa soltanto Orazio e Rosa che aveva ormai 24 anni. Spinta dal desiderio di fare qualcosa di grande per Dio, nel maggio del 1684, Rosa iniziò a radunare nella propria abitazione le fanciulle e le donne del vicinato per la recita del Rosario. Il modo di pregare delle giovani e delle mamme, ma soprattutto i dialoghi che precedevano o seguivano la preghiera aprirono la mente e il cuore di Rosa sulla triste realtà: la donna del popolo era schiava della povertà culturale, morale e spirituale. Capì allora che il Signore la chiamava ad una missione più alta che, gradualmente, individuò nell’urgenza di dedicarsi all’istruzione e alla formazione cristiana delle giovani, non con incontri sporadici, ma con una scuola intesa nel senso vero e proprio della parola.
Il 30 agosto 1685, con l’approvazione del Vescovo di Viterbo, Card. Urbano Sacchetti e la collaborazione di due Compagne, Gerolama Coluzzelli e Porzia Bacci, Rosa lasciò la casa paterna per dare inizio alla sua prima scuola, progettata secondo un disegno originale che aveva maturato nella preghiera e nella ricerca della volontà di Dio. Il primo obiettivo era quello di dare alle fanciulle del popolo una completa formazione cristiana e prepararle alla vita civile. Senza grandi pretese, Rosa aveva aperto la prima « Scuola pubblica femminile in Italia ». Le origini erano umili, ma la portata era profetica: la promozione umana e l’elevazione spirituale della donna erano una realtà che non avrebbe tardato ad avere il riconoscimento delle Autorità religiose e civili.
L’espansione dell’Opera
Gli inizi non furono facili. Le tre maestre dovettero affrontare le resistenze del clero che si vedeva privato dell’ufficio esclusivo di insegnare il catechismo. Ma la diffidenza più cruda veniva dai benpensanti che erano scandalizzati dall’audacia di questa donna dell’alta borghesia viterbese che prendeva a cuore l’educazione delle fanciulle di basso rango. Rosa affrontò tutto per amore di Dio e con la forza che le era propria e continuò nel cammino che aveva intrapreso, ormai certa di essere nel vero progetto di Dio.
I frutti le diedero ragione: gli stessi parroci si resero conto del risanamento morale che l’opera educativa generava tra le fanciulle e le mamme. La validità dell’iniziativa fu riconosciuta e la fama oltrepassò i confini della Diocesi. Il Cardinale Marco Antonio Barbarigo, Vescovo di Montefiascone, capì la genialità del progetto viterbese e chiamò la Santa nella sua Diocesi. La Fondatrice, sempre pronta a sacrificarsi per la gloria di Dio, rispose all’invito: dal 1692 al 1694 aprì una decina di scuole a Montefiascone e nei paesi intorno al lago di Bolsena. Il Cardinale forniva i mezzi materiali e Rosa coscientizzava le famiglie, preparava le maestre e organizzava la scuola. Quando dovette tornare a Viterbo per attendere al consolidamento della sua prima opera, Rosa affidò le scuole e le maestre alla direzione di una giovane, Santa Lucia Filippini, di cui aveva intravisto le particolari doti di mente, di cuore e di spirito.
Dopo le aperture di Viterbo e di Montefiascone, altre scuole vennero istituite nel Lazio. Rosa raggiunse Roma nel 1706, ma la prima esperienza romana fu per lei un vero fallimento che la segnò profondamente e la costrinse ad aspettare sei lunghi anni prima di riavere la fiducia delle Autorità. L’8 dicembre del 1713, con l’aiuto dell’Abate Degli Atti, grande amico della famiglia Venerini, Rosa poté aprire una sua scuola al centro di Roma, alle pendici del Campidoglio. Il 24 ottobre 1716 ricevette la visita del Papa Clemente XI che, accompagnato da otto Cardinali, volle assistere alle lezioni. Meravigliato e compiaciuto, alla fine della mattinata, si rivolse alla Fondatrice con queste parole: « Signora, Rosa, voi fate quello che Noi non possiamo fare, Noi molto vi ringraziamo perché con queste scuole santificherete Roma». Da quel momento, Governatori e Cardinali chiesero le scuole per le loro terre. L’impegno della Fondatrice diventò intenso, fatto di peregrinazioni e di fatiche per la formazione delle nuove comunità, intessuto di gioie e di sacrifici. Dove sorgeva una nuova scuola, in breve si notava un risanamento morale della gioventù.
Rosa Venerini morì santamente nella Casa di San Marco in Roma, la sera del 7 maggio 1728. Aveva aperto più di 40 scuole. Le sue spoglie vennero tumulate nella vicina Chiesa del Gesù, da lei tanto amata. Nel 1952, in occasione della Beatificazione, furono trasferite nella cappella della Casa Generalizia, a Roma.
La spiritualità
In tutta la sua vita, Rosa si è mossa dentro l’oceano della Volontà di Dio. Diceva: «Mi sento così inchiodata nella volontà di Dio che non mi importa né morte, né vita, voglio quanto Egli vuole, voglio servirLo quanto a Lui piace e niente più». Dopo i primi contatti con i Padri Domenicani del Santuario della Madonnna della Quercia, nei pressi di Viterbo, seguì definitivamente la spiritualità austera ed equilibrata di Sant’Ignazio di Lojola per la direzione dei Gesuiti, specie del Padre Ignazio Martinelli. Le crisi dell’adolescenza, le perplessità della giovinezza, la ricerca della nuova via, l’istituzione delle scuole e delle comunità, i rapporti con la Chiesa e con il mondo: tutto era orientato al Divino Volere. La preghiera era il respiro della sua giornata.
Rosa non imponeva a se stessa e alle sue Figlie lunghe orazioni, ma raccomandava che la vita delle maestre, nell’esercizio del prezioso ministero educativo, fosse un continuo parlare con Dio, di Dio e per Dio. L’intima comunione con il Signore era alimentata dall’orazione mentale che la Santa considerava «nutrimento essenziale dell’anima ». Nella meditazione, Rosa ascoltava il Maestro che insegna lungo le strade della Palestina e in modo particolare dall’alto della Croce.
Con lo sguardo rivolto al Crocifisso, Rosa sentiva sempre più forte in lei la passione per la salvezza delle anime. Per questo celebrava e viveva ogni giorno l’Eucaristia in modo mistico: nella sua immaginazione, la Santa vedeva il mondo come un grande cerchio; lei si poneva al centro e contemplava Gesù, vittima immacolata, che da ogni parte della terra offriva se stesso al Padre attraverso il Sacrificio Eucaristico. Chiamava questo modo di elevarsi a Dio Cerchio Massimo. Con preghiera incessante, partecipava spiritualmente a tutte le Messe che si celebravano in ogni parte della terra; univa con amore i dolori, le fatiche, le gioie della propria vita alle sofferenze di Gesù Cristo, preoccupandosi che il Suo Preziosissimo Sangue non fosse versato invano.
Il carisma
Possiamo sintetizzare il carisma di Rosa Venerini in poche parole. Visse consumata da due grandi passioni: la passione per Dio e la passione per la salvezza delle anime. Quando capì che le fanciulle e le donne del suo tempo avevano bisogno di essere educate ed istruite sulle verità della fede e della morale, non risparmiò tempo, fatiche, lotte, difficoltà di ogni genere pur di rispondere alla chiamata di Dio. Era consapevole che l’annuncio della Buona Novella poteva essere accolto se le persone venivano prima liberate dalle tenebre dell’ignoranza e dell’errore. Inoltre aveva intuito che la formazione professionale poteva consentire alla donna una promozione umana ed una affermazione nella società. Questo progetto richiedeva una comunità educante e, senza pretese, Rosa, con grande anticipo sulla storia, offrì alla Chiesa lo stile della Comunità Religiosa Apostolica.
Rosa non esercitò la sua missione educativa solo nella scuola, ma colse ogni occasione per annunciare l’amore di Dio: confortava e curava gli ammalati, rianimava gli sfiduciati, consolava gli afflitti, richiamava i peccatori a vita nuova, esortava alla fedeltà le anime consacrate non osservanti, soccorreva i poveri, liberava da ogni forma di schiavitù morale. Educare per salvare è diventato il motto che sospinge le Maestre Pie Venerini a continuare l’Opera del Signore voluta dalla loro Fondatrice e ad irradiare nel mondo il carisma della Santa Madre: liberare dall’ignoranza e dal male perché sia visibile il progetto di Dio di cui ogni persona è portatrice.
È questa la magnifica eredità che Rosa Venerini ha lasciato alle sue Figlie. Ovunque, in Italia come in altri Paesi, le Maestre Pie Venerini cercano di vivere e di trasmettere l’ansia apostolica della loro Madre privilegiando i più poveri. La Congregazione, dopo aver dato il suo contributo a favore degli Italiani emigrati negli Stati Uniti, fin dal 1909, e in Svizzera dal 1971 al 1985, ha esteso la sua attività apostolica in altri Paesi: in India, in Brasile, in Camerun, in Romania, in Albania, in Cile, in Venezuela e in Nigeria.
Santa Rosa Venerini è stata canonizzata dal papa Benedetto XVI il 15 ottobre 2006, a Roma in Piazza san Pietro.
|