Tra il 461 e il 490, più probabilmente nel 467, si riunì a Vannes un concilio di vescovi della provincia di Tours, la terza lionese, i cui atti sono stati conservati sotto forma di una lettera indirizzata dai sei vescovi presenti a due altri assenti. Questa lettera ci informa che i prelati si riunirono nella chiesa di Vannes (in ecclesia Venefica) per l’ordinazione di un vescovo. Il primo che appone la sua firma, dopo il metropolita Perpetuus di Tours, è Paterno, nel quale bisogna vedere il nuovo vescovo ordinato per la Chiesa di Vannes.
È possibile affermare che egli sia stato vescovo di Vannes come fa la tradizione costante della città. Il Duchesne obiettava che Vannes non poteva non avere avuto un suo vescovo prima di questa data e pensava, inoltre, che la fondazione di diocesi nelle antiche città armoricane era avvenuta ad opera di san Martino di Tours (372-97): ciò lascerebbe supporre uno scarto minimo di settantanni tra questa fondazione e l’ordinazione di san Paterno, periodo su cui la tradizione di Vannes non ci ha lasciato alcuna memoria e in cui la città sarebbe stata governata da vescovi assolutamente sconosciuti.
Per comprendere gli avvenimenti del concilio di Vannes e il ruolo di Paterno è necessario inserirli in un contesto più ampio. È certo che ancor prima del 467 il Cristianesimo si era già diffuso a Vannes, ad opera dei missionari che lo avevano predicato di città in città, lungo il corso della Loira, e al di là verso Occidente, venendo a creare nuclei di fedeli, come possiamo vedere a Nantes dal martirio di due fratelli, san Donaziano e san Rogaziano. L’episcopato di san Martino provocò certamente una nuova ondata apostolica di evangelizzazione verso l’Occidente, fra il 372 e il 397: Nantes, infatti, aveva un vescovo almeno fin dal 374 e da Nantes a Vannes non c’erano che un centinaio di chilometri lungo il tracciato di un’antica strada romana; le relazioni tra i due centri quindi dovettero favorire la nascita del Cristianesimo nell’antica città dei Veneti. In queste regioni, i cristiani, all’inizio poco numerosi e verosimilmente raggruppati soltanto nella città, dovevano essere molto isolati, come anche oggi accade in molte zone missionarie. Forse si potrebbe allora prestar fede, liberi di rifiutare la sua «data apostolica», alla tradizione che fa di san Chiaro (Clair), vescovo di Nantes, un vescovo regionale, che estendeva la sua missione su Vannes oltre che su Nantes, e lo si potrebbe porre nel secolo IV. È certo comunque che, nel 467, sempre secondo la stessa lettera sinodale, le quattro antiche città dell’Armorica romanizzata avevano già il loro vescovo: Nunechio per i Namneti (Nantes), Atenio per i Redoni (Rennes), Albino e Liberale probabilmente per le due altre comunità del Nord e dell’Ovest, i Coriosoliti (Alet) e gli Ossismi (Carhaix). Sorprenderebbe, quindi, che la città di Vannes, in più diretto rapporto con Nantes e Tours, non avesse ancora avuto, a questa data, il suo vescovo.
Nel concilio di Angers del 435, le otto città della terza provincia lionese sono rappresentate da vescovi propri, ma per Vannes, Rennes, Alet e Carhaix si fanno i nomi di Samazio, Cariato, Rumorido e Vivenzio, senza indicare la sede rispettiva di ognuno. Occorre tener presente che nessuna di queste Chiese ha conservato il ricordo di un vescovo che portasse imo di tali nomi.
Prescindendo quindi dall’oscurità delle origini, san Paterno, consacrato nel 467, è certamente il primo vescovo, storicamente certo e conosciuto, di Vannes. Egli porta d’altronde un nome latino che è documentato in quest’epoca da stoviglie trovate nella città. Il contesto storico dell’Armorica, alla metà del secolo V, consente di vedere in lui un vescovo gallo-romano piuttosto che un bretone venuto con gli emigrati dalla Gran Bretagna. Infatti, i decreti del concilio di Vannes manifestano chiaramente il proposito di rinsaldare l’unità della provincia di Tours, forse contro minacce di disgregamento, e d’altra parte i Bretoni emigrati, avendo il loro proprio clero e i loro vescovi, non si preoccupavano di aggregarsi ad una organizzazione ecclesiastica come quella della metropoli di Tours, che era loro estranea.
Il concilio del 467 e la consacrazione di san Paterno devono esser visti anche nella prospettiva della storia generale della Gallia in quest’epoca. La grande invasione di Vandali, Svevi, Alani, verso il 406-409, le minacce dei Sassoni contro le coste mal difese da Roma, provocarono nel 410 un sollevamento generale dell’Armorica e delle regioni tra la Senna e la Garonna, che dette serie preoccupazioni all’impero romano. L’insurrezione, repressa soltanto nel 418, doveva provocare un riesame della situazione delle città, destinato ad assicurare loro una maggiore tranquillità.
Verso il 443 san Germano d’Auxerre risponde di nuovo all’appello degli Armoricani ed impedisce una spedizione punitiva da parte degli Alani, organizzata dal generale romano Ezio. Circa il 470, sette vescovi, tra cui Paterno, divenuti ormai le sole forze vive nell’anarchia di questa parte dell’impero, dovettero pensare anche alla difesa delle coste, davanti a un nuovo sconvolgimento politico della regione: le invasioni barbariche in Gallia e in Gran Bretagna avevano infatti provocato contraccolpi nell’Armorica. L’esodo forzato dei Brettoni, cacciati dai loro territori da Pitti, Scoti e Sassoni, comincia in quest’epoca e porta verso le coste dell’Armorica famiglie e clan interi, con i loro capi, la loro organizzazione sociale, la loro lingua, il loro clero di tipo speciale e cioè interamente monastico (monaci-preti ed anche vescovi). La città di Vannes resta per un certo tempo galloromana, ma tutta la costa, soprattutto verso Occidente, diventa rapidamente brettone. Lo stanzia-meno forzato dei Brettoni in Armorica non deve essere avvenuto senza urti con la popolazione gallo-romana, ma si tratta naturalmente di ipotesi.
Paterno fu incaricato di mettere ordine nelle attribuzioni dei vescovi bretoni. Un’antica festa a lui dedicata, il 1° novembre, celebrava l’unità perpetua da lui stabilita tra i sei principali santi dell’Armorica; la tradizione di Vannes poi vuole che Paterno sia stato costretto, per l’animosità e l’odio di qualche maggiorente della città, a spogliarsi della sua carica e a ritirarsi in esilio nell’interno della Gallia, per evitare con la sua presenza ogni causa di dissensi. Può darsi che non si tratti altro che di una pia invenzione per esaltare la santità del vescovo e coprire il vuoto della documentazione storica^ può essere anche, tuttavia, che il fatto abbia una base di verità: si trattava forse della difficoltà di far convivere pacificamente popolazioni, così estranee l’una all’altra, composte di cristiani e clero così differenti; o dell’impossibilità di far accettare ai cristiani gallo-romani la massiccia venuta e lo stanziamento di altri cristiani ch’essi non potevano considerare che come invasori. E' difficile comunque stabilirlo.
Prescindendo da ciò Paterno sarebbe morto in esilio, in un luogo che non ci è stato indicato e soltanto dopo tre anni i Vannetani si sarebbero accorti della loro ingiustizia verso il loro pastore. Essi allora, secondo quanto dice la leggenda, ne ricercarono il corpo e i maggiorenti della città lo riportarono a Vannes, sotto una pioggia torrenziale, costruendo nel luogo della deposizione, fuori delle mura, una piccola basilica.
Le invasioni normanne - ora ritorniamo sul terreno più sicuro delle notizie storiche — costrinsero le reliquie di Paterno ad un nuovo (o primo) esodo. Circa il 933, l’abate di Rhuys, Daoc, le depose insieme a quelle di san Gildas nell’abbazia di Déols in Bourg-Dieu, nel Berry. Circa nel 946 furono trasportate a sette leghe di lì, a Issoudun, in un monastero benedettino, nel sobborgo di san Martino, chiamato poi san Paterno. Di fronte a nuove minacce dei Normanni, le reliquie dovettero migrare nuovamente, verso l’anno 1000, nella roccaforte della città, sempre sotto la cura dei Benedettini che vi costruirono un monastero fortificato che sopravvisse fino alla Rivoluzione francese. Ricognizioni delle reliquie ebbero luogo nel 1186, 1243 e nel 1313, come ci è dettagliatamente testimoniato da una lunga iscrizione lapidaria che si trova oggi nel museo di Chàteauroux. Nel 1793 le reliquie furono poste nella chiesa di St-Cyr d’Issoudun e divennero preda dei rivoluzionari.
Nel secolo XI, dopo le invasioni normanne, il vescovo di Vannes, Giudicaele, si dette cura di ricostruire ed abbellire la chiesa di Paterno, la cui dedicazione ebbe luogo il 21 maggio. Questa data venne celebrata, fino all’inizio del secolo XVIII, con il nome di «Traslazione delle reliquie»; un tempo vi si ricordava anche l’ordinazione di Paterno. Verso la fine del secolo XII, verosimilmente in occasione della ricognizione del 1186, un altro vescovo di Vannes, Guetenoco, ottenne una parte delle reliquie conservate a Issoudun. Durante il Medio Evo la chiesa di Paterno divenne una delle tappe del Tro-Breiz («giro della Bretagna»), famoso pellegrinaggio ai «Sette Santi di Bretagna», ai santuari di coloro cioè che si consideravano come i fondatori delle sette diocesi bretoni, escluse Nantes e Rennes. Questo pellegrinaggio, che metteva in moto folle e ricchezze, soprattutto nelle Quattro Tempora, fu frequente causa di dispute tra il clero di Paterno e il capitolo della cattedrale. Oggi delle reliquie di Paterno non restano che alcune ossa delle dita, custodite dal capitolo, e un frammento del cranio, conservato nella chiesa di Paterno, in un busto di legno policromo. La chiesa romanica, demolita in seguito alla caduta della torre, fu ricostruita dalle fondamenta dal 1727 al 1773, nello stile del tempo. Eventuali scavi sotto la chiesa potrebbero rivelarsi interessanti, perché tutto il sottosuolo circostante è ricco di vasi e mattoni gallo-romani.
Le postume traversie di Paterno non erano comunque finite con le peregrinazioni delle sue reliquie; nonostante l’insufficienza dei dati storici sulla sua esistenza non ci si volle privare di romanzarla in una Vita, scritta nel secolo XI o nella prima parte del secolo XII da un chierico bretone e nelle leggende successive dei suoi diversi Uffici. Lo si confuse con l’omonimo d’Avranches (morto il 6 aprile 337), con il quale fini per dividere la leggenda e il giorno natale, ed anche con san Paderno (Padarn), gallo. Lo si fece nascere in Armorica nel secolo IV, o a Poitiers nel 480. Divenne vescovo di Vannes per volere del famoso capo bretone Conan Meriadec; o meglio, dopo alcune peregrinazioni monastiche nelle isole britanniche, è consacrato a Gerusalemme dal patriarca, nel 515, con altri due bretoni, san Davide, san Theliau; Caradoco o Gueroc, lo costringe ad uscire dal monastero, dove si era rifugiato, per farlo vescovo di Vannes; è anche in rapporto con san Sansone (Samson) di Dol, più giovane di lui di un secolo. Evidentemente il suo nome e la sua antichità sono sufficienti a spiegare ogni confusione. È facile immaginare in quale inestricabile groviglio la sua figura sarebbe venuta a trovarsi se non si fosse avuto un punto di riferimento storico nel sinodo di Vannes. A questo riguardo Paterno è anche più favorito degli altri vescovi bretoni, venerati con lui come i sette santi fondatori della Chiesa bretone, i «Padri della patria».
Oggi la sua antica festa principale, la cui data era stata ricavata da quella di Paterno d’Avranches, è scomparsa e Paterno viene festeggiato il 21 maggio, data che dovrebbe essere quella della dedicazione della chiesa romanica costruita sulla sua tomba a Vannes e, forse, quella della sua ordinazione. Patrono di questa parrocchia e di quella di Séné, egli è anche onorato come patrono principale della diocesi, titolo tradizionale almeno dopo il secolo XII e riconosciuto ufficialmente da un Breve di Paolo VI del 24 settembre 1964. La sua festa, nella città di Vannes, ricorre sempre la domenica del Buon Pastore; viene invocato contro la siccità, anche nel suo ufficio: «Benedicite, caeli, Dominum, rorate ad Paterni imperium».
Autore: Jean Evenou
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