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San Michele di Sinnada Vescovo
Festa:
23 maggio
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† 826
Nato a Sinnada (Turchia) da genitori benestanti, la sua devozione a San Michele Arcangelo, a cui deve il nome, permea la sua intera esistenza. Dopo gli studi a Costantinopoli, abbraccia la vita monastica sotto la guida del futuro patriarca Niceforo I. La sua fama di uomo dotto e capace lo porta a ricoprire ruoli di rilievo: metropolita di Sinnada, partecipante al Concilio di Nicea II (787), ambasciatore dell'imperatore Niceforo I presso il califfo Harun al-Rashid (806) e inviato di Michele I Rhangabé a Carlo Magno (811). Tuttavia, è nella difesa dell'ortodossia che Michele si distingue maggiormente. Di fronte all'imperatore iconoclasta Leone V Armeno (813-820), si erge con coraggio a sostenitore del culto delle immagini, subendo incarcerazioni e esilio. Muore nell'826.
Martirologio Romano: A Sínnada in Frigia, oggi in Turchia, san Michele, vescovo, che, uomo di pace, favorì la concordia tra Greci e Latini; relegato poi in esilio per il culto delle sacre immagini, morì lontano dalla patria.
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Michele fu uno dei più validi difensori dell’ortodossia contro l’eresia iconoclasta. Nacque a Sinnada (oggi Qifut-Kasaba), metropoli della Frigia Salutare, verso il 750. I genitori erano ricchi e senza figli e avevano ottenuto la sua nasciti pregando san Michele, perciò gli dettero il nome dell’arcangelo.
Dopo aver compiuto buoni studi nel luogo natale, il giovane si recò a Costantinopoli e strinse amicizia con Teofilatto, allora segretario particolare del patriarca Tarasio (784-806). Ambedue abbracciarono la vita religiosa nel monastero che il futuro patriarca Niceforo I aveva fondato sulla riva asiatica del Bosforo. Tarasio li richiamò, li nominò skevofilacti (= custodi dei vasi sacri) e li ordinò preti.
Poco dopo, Michele fu scelto come metropolita di Sinnada sua patria. Prese parte al secondo concilio di Nicea (787) durante le due ultime sessioni e ne firmò la professione di fede.
Per la sua fama di uomo abile nel trattare gli affari fu inviato dall’imperatore Niceforo I a Bagdad, per negoziare la pace con Harùn-al-Rasid (806); Michele riuscì ad ottenerla in modo onorevole, ma essa durò poco, perché l’imperatore venne meno ai suoi impegni. Michele I Rhangabé (811-813), nel desiderio di intesa con l’Occidente, ricevette favorevolmente un’ambasceria di Carlo Magno e rispose inviando una missione ufficiale guidata da Michele (811). Questi rimise al papa Leone III una lettera del patriarca Niceforo, che gli annunciava la sua nomina, scusandosi del ritardo. Gli ambasciatori greci furono bene accolti da Carlomagno, che firmò con essi un trattato (812). Di passaggio per Roma, Michele strinse amicizia con un monaco errante originario di Creta, chiamato Gregorio, lo condusse con sé al ritorno e lo fece stabilire nel monastero del capo Acritas, dove le sue vittime lo fecero venerare come santo. L’imperatore Michele Rhangabé, vinto dai Bulgari, fu deposto e sostituito da, Leone V l’Armeno (813-820) che scatenò la persecuzione contro il culto delle immagini. Nella grande conferenza di funzionari e di ecclesiastici da lui riunita nel dicembre 814, infatti, dichiarò che non avrebbe permesso il culto delle immagini.
Michele fu tra quei coraggiosi oratori che difesero là dottrina ortodossa, cosicché venne colpito dalle misure repressive. Poco tempo dopo la deposizione e l’esilio del patriarca Niceforo (marzo 815), Michele fu internato nella fortezza di Eudossiade e conobbe in seguito molte altre prigioni. La morte di Leone V (25 dicembre 820) gli rese la libertà, ma non poté rientrare nella sua diocesi. Morì il 23 maggio 826 probabilmente sulla costa d’Asia, davanti a Costantinopoli, poiché il suo amico san Teodoro Studita, che allora viveva nella penisola di san Trifone, assistette ai suoi ultimi istanti raccontandoli poi ai suoi monaci in una catechesi.
Autore: Raymond Janin
Fonte:
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