È la fondatrice della Società di Maria Ausiliatrice. Ella nacque il 16 maggio 1834 a Casteinaudary (Aude), nella diocesi di Carcassone (Francia), da Giuseppe Paolo conte de Soubiran, signore di La Louvière, e da Noemi de Gélis. Quando vide la luce, il padre, uomo di grande pietà e amore per i poveri, ripeté la preghiera che aveva già fatto alla morte dei suoi primi quattro figli: "Mio Dio, se la figlia che mi avete dato, vivendo, non dovesse salvarsi, prendetela dopo il battesimo perché non potrei sopportare il pensiero di essere il padre di una dannata". Dopo di lei, nacque ancora Maria, la quale condivise più tardi con Teresa la vita religiosa.
La beata crebbe in un ambiente agiato, ma semplice e saturo di religiosità. Il motto dei Soubiran: "A Dio t'affida e fa bene" era stato tramandato intatto di generazione in generazione. Con il conte Giuseppe Paolo viveva anche un fratello canonico, il quale aveva rinunciato al vescovato di Pamiers per attendere, con la sorella Sofia, alla direzione della fiorente congregazione delle Figlie di Maria. A quattro anni la Soubiran andò soggetta a una grave febbre tifoide, da cui guarì appena il sacerdote le impose lo scapolare della SS. Vergine. In riconoscenza, lo zio la volle iscrivere subito alla congregazione delle Figlio di Maria, che tenevano le loro riunioni al Buon Soccorso.
Unici istitutori di Maria Teresa furono la mamma e lo zio. Nelle sue Note Intime la beata lasciò scritto: "Feci la prima comunione il 29 giugno 1845. Ero molto pura... Domandai al Signore la vocazione religiosa. Dopo d'allora concepii orrore per il matrimonio e disprezzo per il mondo".
Sentendo crescere in sé il bisogno di solitudine, ottenne dai genitori di poter disporre di una cameretta alquanto isolata, la trasformò in un piccolo oratorio e, in essa, trascorreva lunghe ore nella meditazione, davanti all'immagine del S. Cuore, sull'importanza della vita inferiore e del distacco dalle creature, sul valore della sofferenza e dell'abbandono alla volontà di Dio.
Sotto la direzione dello zio, Maria Teresa cominciò a fare la comunione due o tre volte la settimana; a quattordici anni e mezzo emise il voto temporaneo di verginità; a sedici anni comprese la bellezza del lavoro apostolico e l'abnegazione che richiede. Trascorreva quindi gran parte della giornata al Buon Soccorso con le Figlie di Maria, tutta intenta a dominare la propria inclinazione alla pigrizia e alla soverchia sensibilità. Non le mancarono critiche per la vita austera che conduceva, ma non vi fece caso. Desiderò anzi ardentemente di farsi carmelitana per vivere soltanto per il Signore, ma lo zio non glielo permise perché, con il suo aiuto, sperava di fondare a Castelnaudary un beghinaggio simile a quelli esistenti in Belgio.
La beata, ormai diciottenne, non si sentiva chiamata a un tale genere di vita ma, dopo un ritiro fatto a Toulouse, decise di sacrificare se stessa per fare quello che l'autorità le assicurava essere la volontà di Dio. Nel 1854 fece a Gand, per un mese, una specie di noviziato, in un beghinaggio fiorente di 700 beghine e 300 pigionanti, poi si stabilì al Buon Soccorso con alcune compagne per dare inizio al nuovo beghinaggio che il vescovo di Carcassonne, Mons. Francesco de La Bouillerie, eresse canonicamente il 14 novembre 1855. Il canonico de Soubiran ampliò le costituzioni per l'opera della "Preservazione", destinata ad accogliere ed educare orfane esposte al pericolo della mendicità, ma la beata, che aspirava alla vita religiosa, dopo un iniziale periodo di pace, andò soggetta a una spaventosa crisi interiore. Scrisse: "Per circa tre anni (1859-1862) l'anima mia visse nell'oscurità, agitata da tentazioni violente contro la fede, di odio contro Dio, quasi ininterrottamente... A rari intervalli, dei lampi, per così dire, mi attraversavano l'anima, e, per qualche istante, mi sembrava di essere piena di Dio e confermata di nuovo in quello che riguardava la sua chiamata, con l'obbligo formale e rigoroso di custodire il piccolo seme che Egli aveva messo nella mie mani per Lui".
Dopo quattro anni di sofferenze, Madre M. Teresa si sentì costretta a lasciare la direzione spirituale dello zio perché non incoraggiava "né i matrimoni, né le vocazioni religiose diverse da quelle delle beghine". Il P. Orsini, abate della frappa di Blagnac, le suggerì di dare al beghinaggio una vera forma religiosa con voti perpetui. Ella accolse la proposta e la portò a compimento sotto la direzione del servo di Dio, P. Paolo Ginhac S.J. (+1895), maestro dei novizi di Toulouse e predicatore di esercizi spirituali. Al termine del ritiro di un mese, che fece sotto la sua guida, il 3 giugno 1864, nelle sue Note Intime scrisse: "Rinnovai in perpetuo il voto di perfezione che avevo fatto temporaneamente l'anno prima. Il 7 giugno feci un voto particolare di povertà, di rinuncia assoluta ai beni... M'impegnai a non avere mai niente per me, riconoscendomi innanzi a Dio inabile a possedere qualsiasi cosa... Questo voto mi ha procurato tesori di grazie... A quest'epoca l'anima mia fu di nuovo fortemente accesa dal desiderio di lavorare e di sacrificarmi, per quanto mi era possibile, per promuovere la gloria di Dio. Cominciai a ricevere dal Signore la grazia di un'orazione di grande raccoglimento".
Quando la beata ritornò a Castelnaudary ebbe la consolazione di vedere lo zio canonico entrare nell'ordine delle sue idee. Con l'aiuto del P. Ginhac acquistò un grande edificio a Toulouse e, nel settembre del 1864, vi si trasferì con la sua comunità per assistere le giovani che, costrette a lasciare la famiglia, facevano in città le commesse e le modiste o lavoravano nelle fabbriche esposte a mille pericoli. L'anima dell'istituzione doveva essere l'adorazione perpetua riparatrice. Per consolidarla la beata condusse una vita ancora più austera. Nella sua colletta, attigua alla cappella, fece aprire una finestrella prospiciente il coro. In essa ella pregava buona parte della notte e meditava ad una ad una, davanti al SS. Sacramento, le regole che voleva dare al suo Istituto, si disciplinava a sangue e dormiva sovente sulla nuda terra.
Sotto la direzione dei Padri Gesuiti la nuova famiglia religiosa, che assunse il nome di Società di Maria Ausiliatrice, si consolidò e crebbe. Mons. Desprez, arcivescovo di Toulouse, nel 1867 approvò provvisoriamente le costituzioni che la fondatrice gli aveva presentato e, Pio IX, il 19 dicembre 1868 concesse all'Istituto il decreto di lode. Essendo ormai aperta la via per l'espansione nel mondo, Madre M. Teresa stabilì le sue figlio prima ad Amiens e poi a Lione, con l'aiuto della serva di Dio Madre M. Elisabetta Luppé, vera custode dello spirito primitivo della Congregazione.
Nel 1870, a causa della guerra franco-prussiana, la beata dovette rifugiarsi a Londra con la sua comunità e guadagnarsi da vivere con lavori di cucito. Fece ritorno in Francia dopo la pace di Francoforte (maggio 1871), in compagnia della nuova assistente ed economa generale, Madre M. François Borgia, che aveva accettato in congregazione benché trentanovenne in seguito alle raccomandazioni di alcuni Padri Gesuiti. La Società di Maria Ausiliatrice rifiorì ben presto in sette case, popolate da un centinaio di religiose, perché corrispondeva alle necessità dei tempi.
La fondatrice, però, non voleva fare prendere all'Istituto un'espansione superiore alle possibilità del momento. Madre M. François, invece, molto intelligente, ma poco equilibrata, era del parere che bisognava moltiplicare le opere per aumentare non soltanto gl'introiti, ma anche le vocazioni di cui si sentiva tanta necessità. Si sforzava quindi di guadagnare ai suoi progetti anche le altre suore. Alla fondatrice succedeva sovente di trovarsi sola, nelle riunioni del consiglio, ad opporsi ai progetti dell'apertura di nuove case. Di fronte al voto unanime delle consigliere cedeva, benché a malincuore "pensando che, se tutte approvavano, essa doveva avere torto ad opporsi".
Il P. Ginhac scriverà di lei il 9 settembre 1889 a Madre M. Xavier, sorella della beata: "Profondamente umile, benché dotata di un senso raro e di un dono di penetrazione poco ordinario, non osava decidersi da sola. Si sarebbe forse potuto rimproverarle di diffidare troppo di se stessa e di accordare troppo presto la sua fiducia". Questi difetti naturali furono la sorgente d'innumerevoli successive sofferenze alle quali il Signore l'andò preparando con locuzioni e grazie interiori. Nelle sue Note Intime difatti scriverà: "Circa quattro mesi fa (cioè verso la fine del 1873), Nostro Signore mi manifestò chiaramente, nell'intimo del cuore, che "la mia missione nella Società era finita". Qualcosa in me si svincolò, si separò e cadde.. Il Signore mi fece vedere che dovevo attraversare certe ore dolorose, ed andare con Lui su quella croce che mi sembrava di suo gusto e tutta per il mio bene. Gli dissi di sì, perché chi può resistere all'amore? Mi furono dette queste parole inferiori: "La tua missione è finita; tra breve non ci sarà più posto per te nella Società, ma io condurrò tutto con forza e dolcezza".
Un giorno, alla fine del 1873, Madre M. François dichiarò che la congregazione si trovava sulla via del fallimento perché era debitrice di 1.600.000 franchi. La troppo intraprendente consigliera ed economa, principale artefice del crollo finanziario, ebbe l'audacia di fare ricadere sulla fondatrice la responsabilità dell'accaduto e di accusarla dinanzi a tutti di orgoglio e di ambizione, d'irregolarità d'amministrazione e d'incapacità di governo. Molto umilmente la beata più tardi confesserà: "Credendo di fare bene mi sono stoltamente appoggiata a certe creature... Sono stata infedele per troppa attività naturale e per mancanza di una buona direzione.. Molte volte Iddio mette sul nostro cammino alcune creature come canali e strumenti, ma io dimenticai che esse non vanno considerate, e che non sono mai difatti sorgenti, né motori".
Per paura di un imminente fallimento tutte le suore furono dell'avviso che le redini del governo e dell'amministrazione fossero affidate alla mano più abile e più forte di Madre M. François che, in quella crisi dolorosa, non temeva di presentarsi come il sostegno provvidenziale della congregazione. La fondatrice si sentì allora come sospinta in una voragine. Scrisse: "Abbandonata da quelli che amavo, da quelli in cui avevo posto ogni fiducia, fui respinta, senza asilo, con la responsabilità di tutto quello che pareva soccombere, accusata da tutti delle disgrazie che stavano per piombare sull'Istituto di Maria Ausiliatrice; eppure ero obbligata a tacere con tutti lasciando pesare su me sola ogni cosa". Per evitare scandali e scissioni, decise di rinunciare al suo ufficio e di proporre Madre M. François come superiora, perché la riteneva capace di riparare ai danni che lei sola aveva procurato.
Da quella rinuncia la fondatrice prevedeva per sé i mali più dolorosi. "Il Signore mi faceva presentire con evidenza, confessa, che da questa rinuncia, data con tanta libertà, ne sarebbe risultata la mia uscita dalla Società, e il cuore ne fremeva indignato alla vista della vocazione tradita, al pensiero di lasciare la Società in pericolo, di andarmene come chi sembra temere il rischio... L'anima mia era dilaniata e angustiata in modo indicibile!... L'andarmene senza sapere dove, poiché non vedevo per me nemmeno un posto nella Società, l'andarmene trafitta come ero nel corpo e nello spirito e senza niente, grazia a Dio, per il voto speciale di povertà fatto nel 1864 durante gli esercizi spirituali di trenta giorni, ebbene, tutto questo mi faceva fremere di dolore e d'indignazione".
Il 9 febbraio 1874, prima delle rinuncia definitiva, la beata si recò a consultare il P. Ginhac, che in quel tempo si trovava a Castres. Il suo direttore spirituale, prima di pronunciarsi, volle sentire anche Madre M. François. Afferma Madre M. Teresa: "Il potere della sua parola fu tale che tutto il torto venne dato a me da colui che dieci anni prima aveva deciso tutto per la Società e per me stessa". L'umiliazione per la fondatrice non poteva essere più grave. Ciò nonostante si conformò alla volontà di Dio che aveva permesso l'errore di giudizio persino nel suo direttore spirituale, male informato. Scrisse nelle sue Note Intime: "Adoravo profondamente, amavo questa volontà che mi schiacciava, e capivo che in essa si racchiudevano beni immensi. Durante questo periodo di dolori provavo gusto nella preghiera, avevo fame, freddo, paura;... gridavo misericordia e pietà! E l'anima mia si sentiva consolata, corroborata e gustava una pace profonda quantunque amarissima. Non avrei ceduto il mio posto a nessuno, anzi, credo che se l'avessi potuto, avrei volentieri aiutato il dolore che mi schiacciava, a schiacciarmi maggiormente, ed esso diventava il mio cibo buono e sostanzioso".
Madre M. François il 21 febbraio 1874 fu riconosciuta superiora generale della Società di Maria Ausiliatrice da Mons. Carlo Amabile de La Tour d'Auvergne, arcivescovo di Bourges, poiché la casa Madre dell'Istituto si trovava nella sua diocesi. Alla fondatrice fu proibito di rimettere piede a Bourges per una quindicina di giorni "per dare tempo alla nuova superiora di mettersi a posto". Da Castres si diresse perciò all'ospedale di Clermont-Ferrand per chiedere ospitalità alle Figlie della Carità. Nel viaggio si vide costretta a trascorrere la notte in un prato, con la testa appoggiata a una povera valigia lei che, alla morte dei genitori e degli zii, aveva donato alla sua famiglia religiosa tutti i beni ereditati.
A Clermont-Ferrand la beata si mise sotto la direzione del P. Giuseppe Perrard SJ, superiore della residenza. Per farsi meglio conoscere da lui scrisse una specie di resoconto di coscienza. Madre M. François, appena ebbe in mano il governo della congregazione, cercò d'impedire alla fondatrice il ritorno nell'Istituto, per avere via libera alle progettate riforme. La beata, non per quindici giorni, ma per ben sette mesi rimase in una cameretta dell'ospedale a sospirare il permesso di ritornare in seno alla famiglia religiosa che le apparteneva. La subdola superiora le dava ad intendere che "la comunità non la voleva più", mentre alle consigliere faceva credere che la fondatrice non voleva più entrare in congregazione. E, nel suo accecamento, era giunta persino a raccomandare alla beata con insistenza di fare una confessione generale. La fondatrice le rispondeva: "La confessione e l'assoluzione tre o quattro volte per settimana mi giovano tanto! Mi trovo bene con il P. Perrard; è buono, ma non soddisfa la natura, e queste due belle qualità mi piacciono... Il Signore mi fa vedere il mio nulla, la mia miseria , ma senza scoraggiamento. Farò tra breve la confessione generale. Madre, preghi per me. Spero che sia di profitto per la povera anima mia".
Il P. Perrard, dopo aver ascoltato la storia della Società di Maria Ausiliatrice, capì che la fondatrice avrebbe salvato la sua famiglia religiosa a prezzo di martirio. Le suggerì perciò di farsi liberare dai voti di povertà e di ubbidienza, di svincolare la propria firma da tutti gli affari della Società e di andare a seppellirsi in un chiostro. Nel mese di luglio giunse inaspettatamente a Clermont-Ferrand Madre M. François, per proporre alla beata di ritornare nell'Istituto, ma come superiora della casa di Londra. Madre M. Teresa si rivolse per consiglio al P. Perrard, ma costui si oppose che accettasse di ritornare nella Società come superiora, perché aveva intuito che Madre M. François progettava di confinare a Londra le religiose di cui voleva sbarazzarsi per poi separarle dalla congregazione. Ancora ignara del proprio avvenire, poiché era stata rifiutata come semplice religiosa, la beata scrisse alla sua superiora: "Sì, madre mia, bisogna dimenticare il passato come dice lei. Vi sono certamente dei segreti di amore e di misericordia! In paradiso sapremo la spiegazione di quanto ci fa meraviglia, ma, fino a quel momento, bisogna, come dice il Padre, fare di necessità virtù. Questa è la sua massima". Il P. Perrard effettivamente stava facendo dei passi per trovarle un posto al Carmelo o alla Visitazione, ma riuscirono vani perché si trattava di una religiosa già quarantenne, espulsa dalla propria congregazione e priva di dote. Sapendo di esser ormai mal tollerata nell'ospedale, la beata fece domanda di essere ammessa nel monastero di Nostra Signora della Carità di Parigi. L'ordine era stato fondato l'8 dicembre 1641 a Caen da S. Giovanni Eudes per l'educazione delle traviate e delle giovani in pericolo di perdersi. Madre M. Teresa tirò un sospiro di sollievo quando la superiora del Rifugio, Madre M. Del Santo Salvatore Billetout, l'ammise "con incredibile carità" al pensionato San Giuseppe, nella sezione delle "Dame secolari". La Soubiran vi trascorse le sue giornate nella preghiera, nel lavoro di cucito e di rammendo delle calze delle fanciulle pensionanti. Il volto delle cose umane le era diventato del tutto indifferente, avendo atrocemente sperimentato che "solo Dio è" e che "fuori di Lui non vi è assolutamente nulla". Nell'intimo del cuore, però, continuava a soffrire e a pensare alla Società che, nonostante tutto, restava sua, e a fare circolare in essa, con la preghiera e la penitenza, una linfa vigorosa.
Fin dai primi tempi la superiora aveva concesso alla beata il privilegio di potere entrare, a suo piacere, presso il coro della comunità, e dire il suo ufficio contemporaneamente alle Madri, da cui era separata da una semplice vetrata. Era stato questo un mezzo per suscitare nella comunità l'interesse per quella dama vestita di nero, dal viso sofferente, ma soffuso di umile bontà, che ogni tanto si metteva in ginocchio davanti alla Priora, con gli occhi pieni di lacrime, pregandola di ammetterla tra le sue figlie.
Proposta a consiglio, la domanda venne accettata.
Il 25 dicembre 1874 la Soubiran diventò postulante di coro e , dopo quattro mesi, entrò in noviziato con il nome di Suor Maria del S. Cuore. Dio le mise a fianco una maestra di grande virtù, Madre M. di Sant'Alessio. Sotto la sua direzione ritrovò l'anima dei suoi quindici anni, e scrisse: "Come il figlio dell'amore, vivo in pace sul seno del mio Dio e vi godo di tanto bene! Ho per Lui la fiducia del bimbo nelle braccia della più tenera delle madri. In Lui e con Lui non temo più nulla; aspetto tutto da Lui per me e per quelli che amo, nel tempo e nell'eternità".
La beata sarebbe stata ammessa alla professione dei voti solenni il 22 maggio 1877 se Madre M. François, abusando del suo potere, non avesse impegnata, in affari temporali, la firma di Madre M. Teresa Soubiran, servendosi di una procura, su foglio bianco, che ella le aveva dato per esserne liberata. In quelle condizioni non era più possibile alcun impegno da parte del monastero di Nostra Signora della Carità. La beata ne rimase tanto afflitta da cadere gravemente malata. Le fu annunziata l'estrema unzione per l'indomani ma, nella notte, la rottura improvvisa di un ascesso, portò la soluzione della crisi. Ciononostante Suor M. del S. Cuore non poté consacrare a Dio che un organismo minato dalla tisi quando, il 29 giugno 1877, le fu finalmente possibile emettere la professione dei voti, giacché la Società di Maria Ausiliatrice era riuscita a vendere la casa di Amiens, che aveva ingoiato enormi somme di denaro, la sua posizione era cambiata.
Per tutti i tredici anni che ancora visse la beata fu impiegata in uffici di second'ordine. Già durante il noviziato era stata applicata nella classe delle penitenti e, dopo la professione, continuò come terza maestra in tale ufficio con il compito di sorvegliare e servire le ragazze, insegnare un po' di catechismo alle nuove venute, badare al refettorio. Il 7 giugno 1879 Suor M. del S. Cuore ebbe finalmente un incarico di fiducia: fu nominata seconda portinaia. Il compito non era in se stesso pesante, ma le fu reso penoso dalla altre due portinaie di carattere rigido ed esigente.
La nuova maestra delle novizie, sotto la cui direzione la beata continuava a stare con le suore più giovani di professione, era meno colta di Madre M. di Sant'Alessio e piuttosto sospettosa. Avendo costatato che la Soubiran con la sua bontà, a sua insaputa, attirava i giovani cuori, e avendo notato che nel modo di fare non era riuscita a disfarsi di tutte le abitudini della vita precedente, temette che avrebbe potuto ispirare alle novizie qualche idea non conforme allo spirito del monastero. Procurò quindi di distaccare da lei le giovani suore, e di comunicare gli stessi sospetti a Madre M. di S. Stanislao Brunel, nuova superiora. La beata, che aveva sofferto tanto nel "sentirsi ammessa per compassione", soffrì ancora di più della "diffidenza" e di essere considerata come un peso.
Il 1 gennaio 1880 Suor M. del S. Cuore dal parlatorio fu trasferita, come seconda maestra, alla sorveglianza delle giovani preservate, alle quali bisognava assicurare l'insegnamento del catechismo e la pulizia nell'appartamento. Madre per istinto, essa fu amatissima dalle fanciulle perché verso di loro dimostrava più compassione che severità. Voleva che si abituassero a fare tutto per amore. Restia a punire, ricompensava di frequente le ragazze più meritevoli con belle immagini che ella stessa dipingeva. Profonda psicologa, ottenne per esse il permesso di poter mettere in moto, in occasione della merenda che dovevano prendere in silenzio, non solo le gambe, ma anche la lingua.
Nel mese di giugno 1880 la beata fu trasferita alla divisione San Giuseppe, alle dipendenze della Madre M. di Gesù, giovane e ottima educatrice, ma troppo gelosa della propria autorità. Siccome diverse ragazze si sentivano portate più verso la seconda maestra che la prima, ne nacque una situazione delicata, che la beata seppe affrontare con abnegazione. Una delle giovani penitenti attesterà di lei: "Ero stupita della sua umiltà e del rispetto che dimostrava verso la prima d'ufficio; si sarebbe detta una novizia con la maestra".
Gli ultimi anni di vita della Soubiran costituirono senza dubbio il periodo più sereno della sua esistenza, ma non certo il più felice. La morte era diventata l'oggetto persino delle sue preghiere. Scrisse infatti alla fine del 1880: "Domandarla e desiderarla unicamente; tutto il resto è inutile, effimero, impotente, e vano e troppo spesso, ahimè! fonte di egoismo e di peccato". E sospirava: "O morte, o porta necessaria della vita, abbi pietà di me!".
Il 31 gennaio 1881 il Signore fece assaporare alla sua diletta sposa un altro grande dolore. Madre M. Xavier, sua sorella, che aveva lasciato nella Società di Maria Ausiliatrice, era stata espulsa, ed ora, con l'appoggio del cardinale Beniamino Richard (+1908), arcivescovo di Parigi, veniva a sollecitare l'ammissione nel monastero di Nostra Signora della Carità. Ebbe così modo di conoscere direttamente come la sua congregazione era stata sfigurata e mutilata da Madre M. François, autoritaria fino all'eccesso. Dinanzi a tanta rovina la beata ebbe ancora il coraggio di dire: "Adoro i disegni del mio Dio e m'inchino dinanzi alla sua santissima e incomprensibile volontà". Questa fede e questo abbandono erano tanto più necessari e meritori in quanto a Suor M. del S. Cuore non mancavano le pene quotidiane. "L'anima mia - si sfogava con il Signore - è sopraffatta da indicibile angustie... Tutto quaggiù è ridotto quasi a nulla, tutto mi ripugna e mi fa patire, anche le cose più care: desiderio di perfezione, di unione con Dio, l'affare di "Maria Ausiliatrice" con l'estrema amarezza che l'accompagna, persino la gioia serena di mia sorella. L'unica cosa che desidero, l'unica vera è di vivere della vita di Dio, e questa la morte soltanto può darmela".
La Soubiran, giovane di ventun anni, aveva fatto il doppio voto di "non gustare mai alcuna gioia per sé, ma di offrirla a Dio e di sfogarsi con Lui solo nelle sue pene". Iddio l'aveva abbeverata di fiele e di aceto con le sofferenze che si erano succedute sempre più intime e dolorose nella sua esistenza, le aveva dato l'idea dell'espiazione mediante i patimenti nella fondazione dell'Istituto, e ora, espulsa, durante l'orazione del mattino, le chiese di costituirsi vittima per la comunità, per "Maria Ausiliatrice", per la Chiesa e per la Francia e di accettare tutti i patimenti fisici e morali che le avrebbe mandato. Il 15 febbraio 1882 con il permesso del confessore gli rispose generosamente di sì. I doni mistici le furono allora riversati più abbondantemente nell'anima, soprattutto in forma di raccoglimento. Dio le si comunicava in maniera da farle sentire la sua divina presenza e farla vivere solo per sé, trasformandola in vittima di espiazione per la salvezza di molti.
Dal 1883 al 1885 Suor M. del S. Cuore fu occupata come seconda maestra nella classe di Sant'Agostino. In essa trovò un larga messe di fatiche perché le ragazze, inviate quasi tutte dal tribunale correzionale, misero a dura prova la sua pazienza con le intolleranze e le ribellioni. Debole e malferma di salute, non era riuscita a dominarle. La superiora la ritirò quindi dalle classi e la rimise, come seconda, alla portineria, ma anche questo ufficio era diventato per lei faticoso, per la febbre che sovente l'assaliva e la tosse continua.
Nel 1886 la prova per Suor M. del S. Cuore si era ancora accresciuta perché anche Madre Billetout cominciò a sospettare che la Soubiran mutasse lo spirito dell'Istituto. Dispose perciò che venissero allontanate destramente da lei, le religiose più giovani. Confinata nel suo ufficio di portinaia, moralmente isolata in piena comunità, la beata ne rimase profondamente ferita. Scrisse difatti nella sue Note Intime: "È duro vivere senza interesse a niente, senza la fiducia di nessuno, senza potersi confidare con nessuno. Ma siete voi che lo volete, o mio Dio, e con il vostro aiuto mi fate aderire a ciò serenamente, con tutta l'anima".
Verso la metà del 1888 Suor M. del S. Cuore, oltre ai soliti patimenti e alla tubercolosi cronica che lentamente la consumava, andò soggetta a una malattia di stomaco che l'obbligò a un'alimentazione ridotta. Le forze le vennero meno tanto che si ridusse a uno scheletro ambulante. Costretta a trasferirsi in infermeria, con le gambe e i piedi gonfi, le furono amministrati gli ultimi sacramenti, ma non morì perché non aveva ancora bevuto, fino alla feccia, l'amarissimo calice della sua passione. Proprio allora in cui "le giornate le sembravano lunghe e le notti erano cattive", Suor M. del S. Cuore fu incompresa e malvista dalla nuova superiora, Madre M. di San Francesco di Sales, la quale credeva di trovare ovunque delle mancanze e le riprendeva fortemente senza pensare né alla forma, né alle persone.
In infermeria era giunta con la Soubiran, per morirvi pochi mesi più tardi, un giovane terriera, che le superiore aveva già deciso di rimandare in famiglia. La poverina aveva provato violente tentazioni contro la propria vocazione, e se n'era aperta con Suor M. del S. Cuore. Costei l'aveva incoraggiata a perseverare, ma non essendo riuscita a persuaderla, le consigliò, piuttosto che ritornare nel mondo, di presentarsi a "Maria Ausiliatrice". Quella confidenza fece una sinistra impressione sulla superiora, la quale credette di trovare in essa la conferma ai suoi sospetti. Perse quindi ogni stima per la Soubiran e, nei suoi riguardi, divenne di un rigore tanto più doloroso in quanto la beata era ormai prossima alla fine. In quella situazione, la morente dimostrò di possedere una virtù veramente eroica, perché alla freddezza della superiora oppose il rispetto e ai rimproveri, non meritati, il silenzio.
Prima di morire, Suor M. del S. Cuore avrebbe desiderato rivedere qualcuna delle sue suore, ma soggiunse subito alla sorella che l'assisteva: "No, non è il momento. Iddio ha disegni di morte sopra di me, e io devo abbandonarmi sulla croce! Ma quanto è buono per l'anima mia; mi consola e mi assicura che non abbandonerà mai la cara piccola congregazione". Un giorno, mentre stava seduta sopra una poltrona, disse alla sorella con straordinaria energia: "Il Signore ha operato troppi miracoli per la nostra Società... Essa non perirà! Iddio non l'abbandonerà. Voi lo vedrete, ma prima bisogna che io muoia. Quando sarò morta non passerà un anno e tutto sarà cambiato a "Maria Ausiliatrice".
I grandi calori del 1889 accentuarono il deperimento delle forze della malata. Al pensiero di lasciare finalmente la terra l'anima della beata traboccò di gioia. La superiora se ne allarmò, e, credendo che fosse insufficientemente illuminata, le propose di cambiare confessore. La moribonda le ripose con un sorriso che era inutile. Durante la malattia, difatti, non aveva mai sentito alcun timore della sua eternità. La notte precedente la sua morte, quando si accorse di avere il rantolo, disse alla sorella: "Io sono tanto felice di andare a vedere nostro Signore". Morì il 7 giugno 1889, primo venerdì del mese, dopo aver sospirato: "Vieni, Signore Gesù, vieni!".
Nel capitolo tenuto dalla Società di Maria nel settembre del 1889, Madre M. François, dopo sedici anni d'incontrastato dominio, si accorse che le suore anziane non erano più disposte a seguirla nelle sue stravaganze. Abbandonò allora la congregazione e, da Roma, ne diede notizia il 13 febbraio 1890 al cardinale Richard il quale esclamò: "Tante volte sono stato sul punto di intervenire per rompere la situazione ma, temendo uno scandalo, attesi il momento della Provvidenza". Al posto della fuggitiva fu eletta il 29 agosto 1890, nel capitolo, all'unanimità, Madre M. Elisabetta de Luppé (1841-1903), una delle prime figlie della fondatrice. Madre M. Teresa de Soubiran fu beatificata da Pio XII il 20 ottobre 1946. Le sue reliquie sono venerate nella casa di Villepinte dell'Istituto (Seine-et-Oise).
Autore: Guido Pettinati
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