Santarém, Portogallo, 29 settembre 1402 - Fez, 15 giugno 1443
Chiamato anche l'"infante santo", il "principe perfetto", il "principe costante", l'"abanderado" (= alfiere), nacque a Santarém il 29 settembre 1402 dal re del Portogallo Giovanni I. Sua madre, Filippa di Lancaster, lo educò molto piamente: molto austero con se stesso, ebbe un delicato senso della giustizia sociale unito ad una gran compassione verso gli schiavi, i naviganti e i malati, che soccorreva con abbondanti elemosine e facendo celebrare per essi sante Messe. A motivo della sua povertà, fu costretto dai fratelli ad accettare il titolo di gran maestro dell'Ordine monastico-militare di Avis, conferitogli da Eugenio IV nel 1434, ma rifiutò umilmente il cardinalato offertogli dallo stesso papa.
Benché febbricitante, il 22 agosto 1437 partì, insieme col fratello Enrico il Navigatore, alla testa di un esercito di settemila uomini, alla conquista di Tangeri. Sopraffatti, nel mese di ott. furono costretti a togliere l'assedio e ad accettare le condizioni loro imposte, tra cui la promessa di restituire Ceuta. Ferdinando e dodici uomini del suo seguito, tra i quali il suo segretario Giovanni (Joao) Alvares, che scrisse una dettagliata relazione della santa vita e prigionia del principe, restarono come ostaggi. Ferdinando fu portato da Tangeri alla vicina città di Arzila, dove rimase sette mesi. Rifiutata dalle Cortes portoghesi la restituzione di Ceuta, nel maggio 1438 i Mori lo trasferirono a Fez, dove fu ridotto alla condizione di schiavo in catene, costretto ai lavori più duri e umilianti. Le trattative per il suo riscatto fallirono ripetutamente per le esorbitanti pretese del sultano di Fez e del suo crudele vizir. Debilitato dalle privazioni, si ammalò di dissenteria e si spense rapidamente il 15 giugno 1443, confortato dagli ultimi sacramenti e ricreato da visioni celestiali.
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La Chiesa Cattolica festeggia il 15 giugno il principe portoghese Fernando, figlio minore del re Giovanni I del Portogallo e della principessa Filippa di Lancaster , nato nel giorno della festa dell’Arcangelo Michele il 29 settembre nel 1402 a Santarem. Crebbe austero e pietoso, particolarmente interessato alla sorte dei cristiani fatti schiavi dai mussulmani. Li soccorreva come poteva e finì col privarsi anche di ogni sua rendita finanziaria pur di riscattarli. Nel 1434 divenne Gran Maestro dell’ordine monastico e militare di Avis e con tali carica intraprese, insieme a suo fratello Enrico il Navigatore, una crociata alla riconquista di Tangeri con settemila militari cristiani contro i mori in Nordafrica, partendo da Lisbona. Alla testa di un esercito di uomini valorosi e con il sacrosanto entusiasmo di crociata, Fernando attaccò Tangeri il 13 settembre 1437. I crociati furono però presto costretti a rinunciare all’assedio e accerchiato a sua volta dai rinforzi mussulmani dovette capitolare. Furono poste loro dure condizioni, fra cui l’impegno di riconsegnare la città di Ceuta , già presa dai crociati nel 1415 e la garanzia di Fernando come ostaggio. Fernando, insieme ad altri 12 compagni, fra cui anche il suo segretario e futuro biografo J. , fu preso quindi come ostaggio e condannato a vergognosi e duri lavori forzati, prima a Tangeri e dopo a Fez. Invano si cercò di riscattarlo perché il sultano islamico chiedeva cifre economiche talmente esorbitanti che la Corona portoghese non poteva assolutamente pagare. Nei seguenti cinque anni di prigione, che finirono il 5 giugno 1443 con la sua morte, Fernando ricevette, grazie alle visioni celesti, la forza soprannaturale per resistere e morire eroicamente di dissenteria. Il suo corpo, con la crudeltà tipica dei mori mussulmani, fu sviscerato e appeso per i piedi alle mura della città.
J. Alvarez raccontò nella biografia, che questo nobile principe, durante la sua ultima confessione, gli aveva confidato che gli era apparsa la Beatissima Vergine Maria in compagnia di angeli; lui si era inginocchiato davanti a lei e aveva sentito, in maniera chiara ed inconfondibile, come un angelo della schiera di Maria le rivolse la seguente preghiera: “Ti prego ferventemente, Regina, prenditi cura di questo tuo servo, che ti ha servito con tutte queste sofferenze e che ti ha venerato con tanto amore! Guarda da quanto tempo è afflitto! Chiedi a tuo figlio, che ponga fine alle sofferenze che toccò sopportare a Fernando! Porto a te, Regina, le mie preghiere per lui, perché mi è stato affidato sin dalla sua nascita il 29 settembre 1402. Che sia di tuo gradimento portarlo via con noi!” “Quando io” - continuò a raccontare il coraggioso principe al suo segretario Alvarez - “ebbi appreso questo, rivolsi lo sguardo a chi stava parlando e vidi che portava in una mano una fiaccola e nell’altra una croce nella forma con cui i cristiani usano raffigurare l’Arcangelo Michele e compresi che fu proprio lui, Dio, che, grazie a questi simboli, mi fece riconoscere. Così il valoroso principe Fernando incontrò, alla fine della sua vita, “l’angelo del Portogallo”.
Quando il segretario e biografo di Fernando, Alvarez, fu liberato nel 1451 dalla prigionia, portò con sé in Portogallo il cuore dell’ eroe morto. Nel 1463 anche la salma del beato Fernando, la cui venerazione fu esplicitamente permessa in un breviario da Papa Paolo II, fu portata nella patria portoghese e sepolta nella meravigliosa chiesa del monastero di Bethala vicino a Leira nelle vicinanze di Fatima. A Fatima l’angelo del Portogallo, apparso a Fernando in fin di vita, si mostrò in seguito anche ai tre pastorelli Lucia, Francisco e Giacinta.
Bisogna ancora aggiungere, che il grande poeta spagnolo Calderòn de la Barca nel suo dramma “ Il principe costante”, uno dei suoi più bei drammi, esaltò il beato Fernando, descrivendo le sue sofferenze e la sua morte come segue: “Fernando potrebbe venir liberato dalla prigionia moresca se consegnasse la città cristiana di Ceuta come prezzo del riscatto. Egli sostiene di non potersi assumere la responsabilità, di far cadere nelle mani dei mori chiese e persone cristiane.
Né promesse né minacce possono cambiare la sua posizione. Preferisce vivere piuttosto tutti gli orrori della prigionia, schiavitù, carcere, torture e morte anziché agire contro la sua fede. “Perché Lui è il sole che brilla, / perché Lui è la luce che mi illumina.” La vita dell’aldilà nella comunità degli angeli e dei santi, è una tale certezza per Fernando, che rinuncia volentieri alla vita terrestre pur di ottenere quella eterna. Ringrazia il re dei mori, che lo tortura a morte, perché gli abbrevia la strada verso la vita eterna, e fa sapere a suo fratello a Lisbona, che per lui morire vuol dire vivere. Quando finalmente si avvicina un esercito per liberarlo, è troppo tardi. Fame e sete hanno ucciso il martire. Ma colui, che si è sacrificato per salvare una città, appare come spirito raggiante, illumina con la torcia in mano il cammino dell’esercito e lo porta alla vittoria. Così come Fernando aveva visto l’arcangelo Michele prima di morire, così apparve ora lui in una visione, simile ad un angelo raggiante, all’esercito cristiano.“Con Fernando, Calderón ha dato l’esempio di un uomo, che è deciso a lottare per la sua fede e a soffrire ma che, allo stesso tempo, si tiene sempre lontano da ogni fanatismo. Fernando tributa rispetto e tolleranza anche ai nemici che professano un’altra fede. Non pronuncia mai una sola parola negativa nei confronti del re dei mori. Un animo più piccolo di Calderòn avrebbe descritto questa battaglia fra Cristianesimo e l’Islam in bianco e nero. Calderòn, invece, crea con il personaggio del condottiero Mulay, persino un musulmano che compete, in quanto alla sua magnanimità, con il cristiano Fernando. Goethe, che fece rappresentare il dramma a Weimar, ne disse: “ Se si perdesse la poesia in questo mondo, con questo dramma la si potrebbe recuperare.”
Autore: Don Marcello Stanzione
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