Elia (il cui nome significa «il mio Dio è Jahvè») nacque verso la fine del X sec. a.C. e visse sotto il regno di Acab, che aveva imposto il culto del dio Baal. Elia si presentò dinanzi al re Acab ad annunciargli, come castigo, tre anni di siccità. Abbattutosi il flagello sulla Palestina, ritornò dal re e per dimostrare l'inanità degli idoli lanciò la sfida sul monte Carmelo contro i 400 profeti di Baal. Quando sul solo altare innalzato da Elia si accese prodigiosamente la fiamma, e l'acqua invocata scese a porre fine alla siccità, il popolo linciò i sacerdoti idolatri. Ma Elia dovette sottrarsi all'ira della moglie di Acab, Jezabel, seguace del dio Baal. Sconfortato, pregò Dio di farlo morire. Ma dopo un angelo, gli apparve Dio ed Elia comprese che il trionfo del bene avviene con pazienza, perché Dio domina il tempo.Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rozzo grembiule stretto ai fianchi, come otto secoli dopo vestì, Giovanni Battista, di cui è la prefigurazione, tornò in mezzo al popolo di Dio, ma non assistette al pieno trionfo di Jahvè. Morì misteriosamente nell'850 a.C., su un carro di fuoco. (Avvenire)
Etimologia: Elia = il mio Signore è Jahvè, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Elia Tesbita, che fu profeta del Signore nei giorni di Acab e di Acazia, re di Israele, e con tale forza rivendicò i diritti dell’unico Dio contro l’infedeltà del popolo, da prefigurare non solo Giovanni Battista, ma il Cristo stesso; non lasciò profezie scritte, ma la sua memoria viene fedelmente conservata, in particolare sul monte Carmelo.
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Nasce a Tisbe nel IX secolo a.C., al tempo del re Acab, e dedica la sua esistenza ad allontanare il popolo dall’adorazione degli idoli per riportarlo verso il vero e unico Dio, coerente con il nome che gli è stato dato: Elia significa infatti: “Il Signore è il mio Dio”.
Precursore di San Giovanni Battista
Uomo virtuoso e austero, veste un mantello di pelle di cammello sopra a un semplice grembiule stretto ai fianchi, prefigurando così, con otto secoli di anticipo, Giovanni il Battista. Dotato di un cuore da guerriero e di un intelletto raffinato, unisce nel suo animo il fuoco ardente della fede e lo zelo nei confronti del Signore, tanto che Crisostomo lo definisce “angelo della terra e uomo del Cielo”. Secoli dopo, il Catechismo della Chiesa cattolica lo presenterà come modello di vita cristiana e di passione per Dio, “Padre dei Profeti, della generazione di coloro che cercano Dio, che cercano il suo Volto” (CCC, 2582).
Lo scontro con i seguaci di Baal
Un esempio eclatante della forza profetica di Elia si legge nel primo Libro dei Re, al cap. 18, che narra come ai tempi del re Acab Israele stesse cedendo alla seduzione dell’idolatria: infatti, adorava Baal perché credeva donasse la pioggia e quindi la fertilità ai campi, al bestiame e al genere umano. Proprio per smascherare questa credenza ingannevole, Elia raduna il popolo sul Monte Carmelo e lo pone davanti a una scelta: seguire il Signore o seguire Baal. Il profeta invita al confronto oltre 400 idolatri: l’uno e gli altri prepareranno un sacrificio ciascuno e pregheranno ciascuno il proprio dio affinché si manifesti. A rispondere in mondo inequivocabile è il Signore, “Dio di Abramo, di Isacco e di Israele” che brucia l’offerta per il sacrificio preparata da Elia su un altare composto da dodici pietre, “secondo il numero delle tribù dei figli di Giacobbe, alle quali il Signore aveva dato il nome di Israele”. Si converte così il cuore del popolo, di fronte all’evidenza della Verità. Resta muto e impotente, invece, Baal perché - e questo è l’insegnamento di Elia – “la vera adorazione di Dio è dare se stesso a Dio e agli uomini, la vera adorazione è l’amore” che “non distrugge, ma rinnova e trasforma”. (Benedetto XVI, Udienza generale 15 giugno 2011).
L’incontro con il Signore sul monte Oreb
Una nuova prova, però, attende il profeta: lui, che ha lottato tanto per la fede, deve sfuggire alle ire della regina Jezebel, idolatra moglie di Acab, che lo vuole morto. Stremato ed impaurito, Elia chiede a Dio di morire e si abbandona a un sonno ininterrotto. Ma un angelo lo sveglia e gli ordina di salire sul monte Oreb per incontrare il Signore. Elia obbedisce: cammina per 40 giorni e 40 notti per raggiungere la meta, in un viaggio che è la metafora del pellegrinaggio e della purificazione del cuore verso l’esperienza di Dio.
Il silenzio sonoro
Come prefigurato, l’incontro con il Signore avviene, ma non in modo eclatante: Dio si palesa, infatti, sotto forma di una brezza leggera. È un “filo di un silenzio sonoro” - così lo spiegherà Papa Francesco nella Messa mattutina in Casa Santa Marta del 10 giugno 2016 - che esorta Elia a non scoraggiarsi, a tornare sui propri passi per portare a compimento la sua missione. E il profeta, coprendosi il volto in segno di adorazione e di umiltà, obbedisce alla chiamata di Dio perché ne comprende il valore: quello della prova, dell’obbedienza e della perseveranza. Nuovamente, quindi, Elia sfida Acab e Jezebel che avevano usurpato il terreno di un contadino, profetizzando loro terribili sventure fino ad indurli al pentimento. Il profeta allevia anche la sofferenza e la miseria di una vedova, sfamandola e guarendone il figlio ridotto in fin di vita. Una volta compiuta la sua missione, Elia scompare, ascendendo al cielo su un carro di fuoco ed entrando nell’infinito di quel Dio che aveva servito con tanta passione. Sulla terra resterà il suo mantello, destinato al discepolo Eliseo in segno d’investitura.
Lo zelo profetico
Oggi l’ordine religioso degli Eremiti del Monte Carmelo richiama questo grande Profeta nel suo stemma a forma di scudo: in esso è raffigurato un braccio che impugna una spada di fuoco e un nastro con la dicitura “Zelo zelatus sum pro Domino Deo exercitum”, ossia “pieno di zelo per il Dio degli eserciti”.
(Vatican News)
Elia con Eliseo e Samuele, è uno dei più grandi profeti di ione (distinti dai profeti scrittori, come Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele, che hanno lasciato degli scritti inanone dei Libri sacri), e la sua missione fu di incitare il popolo alla fedeltà all'unico vero Dio, senza lasciarsi sedurre dall'influsso del culto idolatrico e licenzioso di Canaan. Elia (il cui nome significa "il mio Dio è Jahvè") nacque verso la fine del X sec. a.C. e svolse gran parte della sua missione sotto il regno del pavido Acab (873-854), docile strumento nelle mani dell'intrigante moglie Jezabel, di origine fenicia, che aveva dapprima favorito e poi imposto il culto del dio Baal.
Quando ormai il monoteismo pareva soffocato e la maggioranza del popolo aveva abbracciato l'idolatria, Elia si presentò dinanzi al re Acab ad annunciargli, come castigo, tre anni di siccità. Abbattutosi il flagello sulla Palestina, Elia ritornò dal re e per dimostrare la inanità degli idoli lanciò la sfida sul monte Carmelo contro i 400 profeti di Baal. Quando sul solo altare innalzato da Elia si accese prodigiosamente la fiamma, e l'acqua invocata scese a porre fine alla siccità, il popolo esultante linciò i sacerdoti idolatri. Elia credette giunto il momento del trionfo di Javhè, e perciò tanto più amara e incomprensibile gli apparve la necessità di sottrarsi con la fuga all'ira della furente Jezabel.
Braccato nel deserto come un animale da preda, l'energico e intransigente profeta sembrò avere un attimo di cedimento allo sconforto. Il suo lavoro, la sua stessa vita gli apparvero inutili e pregò Dio di recidere il filo che lo teneva ancora legato alla terra. Ma un angelo lo confortò, porgendogli una focaccia e una brocca d'acqua; poi Dio stesso gli apparve, restituendogli l'indomito coraggio di un tempo. Elia comprese che Dio non propizia il trionfo del bene con gesti spettacolari, ma agisce con longanime pazienza, poiché egli è l'Eterno e domina il tempo.
Il fiero profeta, che indossava un mantello di pelle sopra un rozzo grembiule stretto ai fianchi, come otto secoli dopo vestì il precursore di Cristo, Giovanni Battista, di cui è la prefigurazione, tornò con rinnovato zelo in mezzo al popolo di Dio, ma non assistette al pieno trionfo di Jahvè. L'opera di riedificazione spirituale, tanto faticosamente iniziata, venne portata avanti con pieno successo dal suo discepolo Eliseo, al quale comunicò la divina chiamata mentre si trovava nei campi dietro l'aratro, gettandogli sulle spalle il suo mantello. Eliseo fu anche l'unico testimone della misteriosa fine di Elia, avvenuta verso l' 850 a.C., su un carro di fuoco.
Autore: Piero Bargellini
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Aggiunto/modificato il 2015-08-19