E' il primo dei venticinque martiri uccisi nel Tonchino Centrale (Vietnam) durante la persecuzione che infierì dal 1857 al 1862, e beatificati da Pio XII il 29-4-1951. Giuseppe nacque, primo di cinque fratelli, il 28-10-1818 a Vigo, villaggio della parrocchia di Santa Eulalia di Suegos, nella provincia di Lugo (Spagna), da benestanti agricoltori. Poiché fin dall'infanzia diede segni di vocazione ecclesiastica, fu mandato in seminario, dove, a dodici anni, vestì l'abito chiericale e ricevette la prima tonsura.
Quando, a motivo dei rivolgimenti politici, il seminario di Lugo fu chiuso, il santo fu costretto a ritornare in famiglia. Non se la sentiva però di lavorare la terra. Al padre che un giorno gliene muoveva lamento, egli disse con franchezza: "Io non sono fatto per questi lavori; altri me ne sono riservati in paesi lontani". Dopo tre anni, il seminario riaprì i battenti e Giuseppe poté farvi ritorno per lo studio della teologia e del diritto che andò poi a perfezionare all'università di Compostela.
Nel fiore degli anni, nonostante l'opposizione del padre, il santo risolvette di farsi domenicano per potere più facilmente realizzare le sue aspirazioni di vita missionaria. Di lui Don Giovanni Carrera, parroco di San Martin de Ferreiros, testimoniò: "Lo conosco da quando era ancora assai giovane, e ho sempre notato in lui una vita esemplare, austera e frugale, una grande inclinazione alla virtù e alla vocazione sacerdotale". I Domenicani lo ammisero alla vestizione religiosa a Ocana, in provincia di Toledo, nel 1842, alla professione solenne l'anno successivo perché si era mostrato "religioso esemplare, ubbidiente, penitente ed umile" e all'ordinazione sacerdotale nel 1844.
Poiché P. Sanjurjo sospirava la vita missionaria, i superiori lo mandarono con cinque fratelli nelle Filippine. A Manila fu nominato professore di lettere nell'università di San Tommaso, ma dopo alcuni mesi egli confidò al P. Provinciale che avrebbe preferito andare a predicare il Vangelo nelle missioni più pericolose.
Fu destinato al Tonchino dove regnava Thiéu-Tri (1840-1847), figlio del re Minh-Manh, il quale aveva pubblicato numerosi editti di persecuzione contro i cristiani per cui la vita e la morte di essi erano poste nelle mani dei mandarini. Il P. Sanjurjo, che anelava al martirio, non ne fece caso. Giunse sul campo del lavoro nella Pasqua del 1845. Suo primo compito fu quello di dirigere il seminario minore di Luc-Thuy, nella provincia di Nam-Dinh. Da poco ne era stato eletto rettore quando la squadra navale annamita fu distrutta da due navi da guerra francesi. Il re Thiéu-Tri se ne vendicò infierendo contro i cristiani anche se non avevano niente a che vedere con quel disastro. Rinnovò difatti la proibizione di appartenere alla religione cristiana, e raccomandò ai mandarini la rigorosa osservanza dei decreti emanati da suo padre.
Il santo fu costretto a disperdersi con i seminaristi nei distretti vicini perché a Luc-Thuy furono fatte perquisizioni per arrestarli. Alla morte del persecutore regnò il secondogenito di lui, Tu-Dùc (1847-1883) il quale, invece di fare rispettare l'anno di lutto regolamentare con la pace, promise un premio a coloro che fossero riusciti a catturare qualche europeo. Il seminario di Luc-Thuy fu devastato e depredato. Il rettore riuscì a mettersi in salvo con i seminaristi a Cao-Xà, dove era stato già preceduto da altri confratelli. Confidò in una lettera ad un amico: "Sono rimasto senza casa, senza libri, senza vesti, senza nulla, ma sono tranquillo e sereno, anzi, godo di poter imitare in qualche modo il nostro divin Maestro che disse di non avere una pietra su cui reclinare il capo". Delle sue peregrinazioni così scrisse a Don Carrera: "Mi trovai in molti pericoli, essendo molte le spie che percorrevano il paese alla caccia dei missionari. Ciò nonostante, con marce e contromarce, mascherato e talvolta con la pelle coperta di bitume, potei eludere la loro attiva vigilanza fino al giorno dell'Assunzione della Vergine, giorno in cui ricevetti una lettera del Vescovo domenicano di questa missione che mi ordinava di venire qui a Cao-Xà".
Il santo aveva appena riaperto il seminario indigeno quando il re Tu-Dùc pubblicò un decreto col quale incitava i sudditi a far catturare i missionari stranieri perché "falsari, seduttori, barbari, tonti, sciocchi, vili" e prometteva trecento once d'argento a chi ne scoprisse qualcuno. Per provvedere meglio al bene delle anime, il Vicario Apostolico del Tonchino Orientale, Mons. Girolamo Hermosilla OP. (+l-11-1861), ot- tenne da Pio IX il permesso di smembrare il suo territorio con l'erezione del Vicariato del Tonchino Centrale sotto la dirczione di Mons. Domenico Marti, residente a Bùi-Chu, nella provincia di Nam-Dinh, al quale fu dato come Coadiutore, con diritto di successione, il P. Sanjurjo (1849). Costui ne diede notizia a Don Carrera in questi termini: "Questo suo infelice servo per ragioni ineluttabili ha dovuto accettare la mitra episcopale con l'enorme peso di una croce tanto grande quanto è grande la cura di pascere 150.000 anime, che sono già entrate nell'ovile del Signore, senza contare gli oltre 4.000.000 di abitanti che stanno ancora fuori". A suo padre scrisse: "Qui le dignità accrescono lavoro... Devo sempre andare a piedi, sovente anche scalzo e a volte con il fango fino alle ginocchia per fuggire più speditamente nel caso che il nemico ci voglia rincorrere. Ma ciò nonostante sono allegro e contento, e mi sacrifico assai volentieri con la speranza di rivederci in cielo, dato che qui in terra sarà molto difficile".
Dopo la morte di Mons. Marti (+1852), Mons. Sanjurjo dovette fissare la sua residenza a Bùi-Chu. "Allora - attestò di lui Mons. Onate, suo successore - si dimostrò vero pastore vigilantissimo del clero, padre misericordioso della sue pecorelle, consolazione per tutti i bisognosi, e, in una parola, era tutto per tutti, uomo pieno di scienza, costante nei suoi propositi e prudente nelle sue risoluzioni... La sua urbanità e il suo tratto distinto erano tali che i mandarini della capitale lo rispettavano e apprezzavano, gradivano i suoi omaggi e accoglievano le sue domande a favore della religione".
Principale preoccupazione del vescovo fu di promuovere l'insegnamento del catechismo e di difendere il cristianesimo mediante conferenze. Nel 1854 il re Tu-Dùc pubblicò un decreto di persecuzione ancora più iniquo dei precedenti. Difatti confermava il premio di 300 once d'argento a colui che arrestava o denunciava un europeo; minacciava la pena di morte ai capi dei villaggi che nascondevano gli europei; ordinava alle autorità di distruggere le chiese e le case dei missionari; comandava ai cristiani di presentarsi entro sei mesi al loro rispettivo mandarino per abiurare la religione e calpestare il crocifisso. Appena ne ebbe notizia Mons. Sanjurjo si mise in relazione con il governatore e con i mandarini di Nam-Dinh, e ottenne la sospensione dell'iniquo decreto. In quel tempo alcuni facinorosi cercarono di sollevare il popolo contro Tu-Dùc, e promisero la libertà religiosa ai cristiani se li avessero aiutati, ma il Vicario Apostolico glielo proibì. Prevedendo il suo imprigionamento, egli ottenne da Pio IX di poter eleggere come Coadiutore, con diritto di successione, Mons. Melchiorre Garcia Sampedro, che lo avrebbe seguito tosto sulla via del martirio (28-7-1858).
Crescendo il pericolo della persecuzione il vescovo inviò alcuni catechisti nella capitale della provincia perché salutassero da parte sua il governatore. Costui non solo li accolse bene, ma promise che avrebbe prevenuto il Vicario Apostolico qualora fosse stato costretto ad adottare misure contro di lui. Difatti, avendo dovuto fare eseguire il decreto del re a causa della denuncia di un mandarino bramoso della promozione di grado e della ricompensa promessa, incaricò un messo di andarlo ad avvertire dell'arrivo dei soldati a Bùi-Chu, ma quando costui vi giunse il villaggio era già circondato. Il presule cercò rifugio prima nella casa di un soldato cristiano che era in buoni rapporti con un ufficiale del comando superiore, poi tra le piantagioni dell'orto. Arrestato, fu condotto senza croce pettorale e anello a Nam-Dinh. Nell'interrogatorio, al quale fu sottoposto dai mandarini, si mostrò fermo nella professione della propria fede, motivo per cui fu gettato in prigione, dove rimase per due mesi segregato da tutti.
Sebbene fosse legato con una catena, e di giorno portasse la canga al collo e di notte avesse il ceppo ai piedi, cosi si accomiatò dai suoi missionari: "II mio spirito trabocca di gioia, e spero di versare il mio sangue perché, unito a quello di Gesù Cristo, purifichi tutte le mie iniquità. Confido nell'aiuto delle loro preghiere per conseguire il dono della fortezza e della perseveranza finale. Credo che non mi rimarranno che pochi giorni di vita, ma, tra questi leopardi-sanguisughe come sembra lungo il tempo! Voglia Iddio che questi tormenti siano il purgatorio per i miei peccati!".
Mons. Sanjurjo fu condannato alla decapitazione perché "maestro principale" della "falsa religione di Gesù". Il 20-7-1857 egli si avviò al luogo del martirio sereno, benché ridotto a pelle ed ossa, leggendo e meditando un libro. Quando vi giunse ottenne di rivolgere alcune parole ai presenti.
Poi disse al capo dei manigoldi: "Il re e i mandarini hanno decretato che io oggi sia decapitato. Ho lasciato per voi trenta monete affinchè non mi uccidiate con un colpo solo, ma con tre. Il primo colpo lo riceverò in ringraziamento a Dio che mi creò e mi fece venire nel Tonchino a predicare la religione; il secondo in riconoscenza ai miei genitori che mi dettero la vita; il terzo in testamento alle mie pecorelle, affinchè stiano ferme e costanti nell'affrontare la morte a imitazione del loro pastore, e così siano degne di godere in cielo la beatitudine senza fine in compagnia dei santi".
Mentre lo legavano ad un palo, che era stato inchiodato a forma di croce, il martire disse: "Me ne sto qui in ginocchio perché mi tronchiate la testa". Poi continuò a predicare, ma tutti piangevano così forte che non si poteva intendere tutto quello che diceva. Tuttavia furono udite distintamente queste parole: "Io me ne vado in cielo; voi, figli miei, avrete da patire molti travagli, e sarete afflitti dalla fame, dall'inondazione, dalla peste, dalla guerra". Dopo che fu decapitato, la sua testa fu gettata per aria come monito e minaccia a tutti gli altri e il suo corpo lanciato nel fiume.
Le predizioni del martire si avverarono alla lettera. Nella notte stessa di quel giorno la capitale rimase allagata per la rottura di una diga. Il corpo del giustiziato non fu più ritrovato. Dopo un mese fu ripescata la testa con il cesto pieno di pietre nel quale era stata collocata. In seguito fu trasportata a Ocana, ma nella guerra civile spagnuola del 1936 andò smarrita.
I 125 martiri beatificati da Pio XII sono tutti tonchinesi, fatta eccezione dei due Vicari Apostolici, Mons. Diaz Sanjurjo e Mons. Garcia Sampedro, di nazionalità spagnuola. I laici martirizzati furono 19. Provenivano da tutti i ceti sociali: nobili, professionisti, contadini e operai. Furono decapitati o bruciati vivi in varie località delle Missioni Domenicane del Tonchino centrale (Vietnam) perché si rifiutarono energicamente di calpestare la croce come i mandarini volevano.
Tra i martiri del Tonchino centrale figurano anche Domenico Màu e Giuseppe Tuàn, due sacerdoti domenicani. S. Domenico Màu, nacque a Phù-Nhai, nella provincia di Bùi-Chu. Diventato sacerdote, chiese e ottenne di essere ammesso nell'ordine dei frati Predicatori. Amministrò vari distretti con zelo, senza temere la persecuzione. Catturato in tarda età, fu rinchiuso nel carcere di Hung-Yén, dove rimase per due mesi portando la corona del rosario al collo ed esortando i cristiani che lo andavano a trovare alla frequenza dei sacramenti. Andò al martirio pregando con le mani giunte, come se si avviasse all'altare per celebrare la Messa. Fu decapitato il 5-11-1858 presso il fiume che da il nome alla città. Le sue reliquie sono venerate nella chiesa di Mai-Linh.
Nello stesso carcere di Hung-Yèn fu rinchiuso per diversi mesi anche S. Giuseppe Tuàn, nato nel 1821 a Tràn-Xà, nella provincia di Hung-Yèn. Fattosi sacerdote, chiese e ottenne di essere ammesso all'Ordine dei Frati Predicatori.Dopo avere esercitato il ministero con grande soddisfazione dei superiori in diversi distretti, fu tradito da un cattivo cristiano, avido di denaro. Lo fece catturare dopo che lo aveva chiamato per amministrare i sacramenti a sua madre gravemente malata. Condannato alla decapitazione, nel viaggio verso il luogo del martirio, si rifiutò di calpestare la croce che era stata posta sul suo cammino. Fu martirizzato nell'aprile del 1861.
Altri due sacerdoti martiri tonchinesi, che vollero soltanto professare la regola del Terz'Ordine di S. Domenico, furono S. Domenico Càm, nato a Càm-Chuong, nella provincia di Bàc-Ninh, tenuto chiuso per diversi mesi in una gabbia del carcere di Hung-Yèn e decapitato l'11-3-1859; e S. Tommaso Khuòng, figlio di un mandarino, ex-governatore di Hung-Yèn. Essendo di famiglia nobile, più volte fu arrestato e rimesso in libertà dopo che era diventato sacerdote e terziario domenicano al tempo del re Minh-Manh. Un giorno, per sfuggire ad ulteriori arresti, cercò rifugio nel Vicariato Orientale. Quando giunse sul ponte di Tràn-Xà, avendo visto tracciata per terra una croce grande quanto tutta la larghezza della strada, si rifiutò di passarvi sopra. Le spie poste a custodia del ponte si avvidero che era cristiano. Lo arrestarono con chi lo accompagnava, e lo condussero nel carcere di Hung-Yèn. Fu giudicato dal governatore della città in persona con altri quattro cristiani molto ragguardevoli. Il governatore gli promise che, se avesse convinto i suoi compagni a rinnegare la propria fede, lo avrebbe rimesso in libertà. Gli rispose il martire: "Ho raggiunto ormai gli 80 anni. Come sacerdote della religione cattolica ho sempre cercato di aiutare i cristiani ad osservarne fedelmente i precetti. Se ora li consigliassi di apostatare, il mio comportamento sarebbe inqualificabile e mostrerei di non essere un vero uomo. Tanto io quanto i miei compagni non desideriamo altro che spargere il sangue anche centomila volte per la religione che professiamo".
Il santo fu decapitato il 30-1-1860. Si avviò al martirio servendosi come bastone di una canna alla quale aveva conferito la forma di croce. Mons. Sanjurjo e i suoi compagni furono canonizzati il 19-6-1988 da Giovanni Paolo II con altri 112 martiri del Vietnam.
Autore: Guido Pettinati
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