E' il ventiquattresimo vescovo di Ravenna, secondo il catalogo episcopale di questa Chiesa tramandatoci da Agnello nel secolo IX, ma di età antica. Succedette ad Aureliano, morto il 26 maggio 521, e nel 523 ricevette la donazione da una certa Ildevara; possiamo quindi supporlo eletto nello stesso anno 521 o poco dopo, e siccome il suo pontificato, secondo la testimonianza di Agnello, durò dieci anni, cinque mesi e sette giorni, si può ritenerlo morto nel 532. Sono gli anni, assai gravi per le Chiese d’Italia, nei quali il vecchio re Teodorico, in seguito ad una riappacificazione tra Roma e Costantinopoli dopo lo scisma di Acacio, diviene sospettoso e crudele contro i romani, fa uccidere i senatori Albino e Boezio (523-24), costringe Giovanni I a recarsi a Costantinopoli (525-26) per patrocinare la causa degli ariani, contro i quali l’imperatore Giustino aveva emanato severi provvedimenti; poi al ritorno lo fa chiudere in carcere a Ravenna, dove il santo pontefice muore il 18 maggio 526. Ma pochi mesi dopo muore anche Teodorico e gli succede la reggenza della conciliativa Amalasunta. Il vescovo Ecclesio Celio, che aveva accompagnato il papa a Costantinopoli, al suo ritorno, o almeno dopo la morte del re goto, potè godere di un periodo di relativa tranquillità e con l’aiuto finanziario di Giuliano Argentario (probabilmente una longa manus della corte bizantina in Ravenna) innalzò la grande basilica di Santa Maria Maggiore, continuò la costruzione del Tricolì ed iniziò quella di san Vitale. Non meno operosa fu la sua attività volta a ristabilire la disciplina ecclesiastica, gravemente pregiudicata dalle vicissitudini politiche di cui era stata teatro la città. Alcune misure particolarmente energiche, che egli prese a questo scopo, incontrarono serie opposizioni da parte del clero ravennate e classense, ma l’intervento di Felice IV (526-30), il cui Constitutum è riportato da Agnello, pure accettando le rivendicazioni economiche presentate dai chierici dissidenti, nel campo disciplinare ed amministrativo non fece che approvare la linea di condotta di Ecclesio Celio.
La tradizione ravennate fissa la memoria del santo al 27 luglio, ma tale nota non appare nel Liber Pontificalis di Agnello. Il Testi Rasponi spiega questo silenzio con l’ipotesi che Ecclesio Celio venisse sepolto sottoterra nel monasterium Santi Nazarii et Celsi (e cioè nella protesi della basilica di san Vitale) e solo nel secolo IX venisse esumato e collocato nel sarcofago dove rimase fino al 1731 e che da questa esumazione del secolo IX, ma posteriore ad Agnello, avesse origine il culto e la memoria eortologica di Ecclesio Celio. Senonché lo studio di M. Mazzotti sul sarcofago di san Ecclesio nella Basilica di san Vitale ha dimostrato che il sarcofago in cui rimasero le reliquie del santo sino al secolo XVIII è del secolo VI e che quindi esse vi furono collocate fin dal principio. Riteniamo dunque più probabile che la mancanza della data obituale in Agnello sia dovuta a difetto di trascrizione (il codice estense del Liber Pontificalis non è che del secolo XV e quello Vat. lat. 5834 del secolo XVIII); conferma l’ipotesi la constatazione che di tutti i vescovi della sede ravennate (e cioè escludendo quelli classificati fino a Liberio) Agnello riporta la data obituale, all’infuori dei due, Ecclesio Celio ed Ursicino, di cui peraltro conosce l’esatta durata di pontificato: e tale silenzio non poteva certamente essere dovuto ad ignoranza, quando sappiamo che di tutti, anche di quelli non venerati, la Chiesa ravennate conservava ricordo liturgico. Le reliquie di san Ecclesio Celio ebbero una ricognizione nel 1581 e almeno da questa data il sepolcro del santo costituisce la mensa dell’altare del Sancta Sanctorum, ma nel 1731, come si è detto, esse vennero tolte dal sarcofago originario e, con quelle di san Ursicino, collocate nell’arca di san Vittore. Nel 1903 furono traslate provvisoriamente in arcivescovado, dove però si trovano tuttora. L’immagine del santo appariva frequentemente nei mosaici ravennati: sono purtroppo rimasti distrutti quelli di Santa Maria Maggiore e del Tricolì, che lo riguardavano, ma sono tuttavia rimasti quelli splendidi dell’abside di san Vitale (dove Ecclesio Celio è raffigurato nell’atto di offrire una chiesa a Cristo) e dell’abside di sant'Apollinare in Classe, ambedue di poco posteriori alla sua morte e con spiccate caratteristiche di ritratto.
Autore: Giovanni Lucchesi
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