A volte si fa diventare fratello di san Cucufate, il popolare santo della Catalogna, altre volte viene erroneamente identificato con un altro Felice, diacono di san Narciso, vescovo di Gerona, ecc. In fondo è questione di accertare l’autenticità degli Atti del santo, che sono la base per conoscere la sua vita e il suo martirio. Secondo il Fàbrega, sembra che alla fine del secolo VI o all’inizio del VII, esistesse un testo liturgico generale, che si leggeva come passio de communi, non molto dissimile dagli Atti di san Leocadia, nelle feste di alcuni santi mancanti di passiones proprie. In questa passio si afferma che Felice soffrì il martirio a Gerona ai tempi di Diocleziano, essendo Daziano preside della città. Per questo autore, quindi, la passio di Felice appartiene alla prima metà del secolo VII e in essa si troverebbero i dati più sicuri sulla vita del santo.
Da parte sua il De Gaiffier avanza alcune osservazioni a tali conclusioni del Fàbrega. Partendo dall’idea che l’agiografia spagnola ha fatto sempre nascere questo santo a Scilli, la celebre città dell’Africa, troverebbe in questa passio una reminiscenza di quella di Felice di Tubzak (Thibiuca); sarebbe quindi opportuno collazionare le passiones africane con quelle spagnole, poiché spesso si trovano casi di affinità. Gli Atti di san Cucufate sono pure a suo parere posteriori a quelli di Felice. L’agiografia ha voluto unirli, facendoli nascere tutti e due a Scilli e venire poi in Spagna, l’uno a Gerona e l’altro a Barcellona. Tutti e due avrebbero sofferto il martirio, essendo prefetto Ruffino, mentre Daziano, governatore generale della Spagna, avrebbe avuto a Saragozza il suo quartiere generale. Non è strano che questi Atti siano stati rimaneggiati con un po’ di leggenda e che da essa abbiano preso gli autori posteriori come il Tamayo, il Baronio e gli stessi Bollandisti. Negli Acta Sanctorum viene citata una lettera di Berengario a Valserio dove si afferma: «Munificum munus dirigimus, videlicet ex ossibus et carne et cruore terra mixtis ac vestimentis santissimi doctoris nostri Felicis martyris Christi: scilicet illius quem ut apostolum et prophetam habemus: non illius qui beatissimi Narcisi episcopi diaconus est dictus».
Felice nasce dunque a Scilli nella seconda metà secolo III da nobile famiglia e si dedica interamente allo studio delle lettere a Cesarea di Mauritania. Sentendo parlare della persecuzione di Diocleziano e Massimiano e dei suoi martiri, decide di lasciare patria e famiglia per soffrire insieme con gli altri cristiani e manifestare con essi pubblicamente la fede di Cristo. Con questo desiderio s’imbarca ed arriva a Barcellona dove in quegli anni è più crudele la persecuzione di Daziano, governatore della Spagna. Non soltanto a Barcellona, ma lungo tutto il litorale catalano fino ad Ampurias diffonde la sua parola e la sua azione di carità, ascoltando, aiutando e consolando tutti. Nei suoi viaggi arriva a Gerona, dove si dà con più ardore all'attività apostolica fino al punto che i Gerundensi l'accettano e lo venerano come il loro dottore, apostolo e profeta. Aduna i cristiani in assemblea, per esortarli, incoraggiarli e distribuire fra di loro le sue cure e le sue elemosine. Tutto questo viene presto a conoscenza di Ruffino, uno degli ufficiali di Daziano, che chiama Felice al suo tribunale, cominciando così una serie di interrogatori, sui quali si soffermano lungamente gli Atti.
In principio il prefetto vuole tentare Felice mettendo a sua disposizione ricchezze e onori, coraggiosamente respinti dal santo che rinfaccia al prefetto la sua crudeltà e tirannia. Ruffino lo manda quindi in carcere, e poiché Felice continua a parlare e predicare, ordina che venga flagellato, poi trascinato, appeso alla coda di un cavallo, attraverso le piazze, strade e letamai della città. Di nuovo in carcere, il martire viene consolato da una serie di visioni celesti; si susseguono poi nuovi tormenti e anche nuove consolazioni. Alla fine Ruffino ordina, come dicono gli Atti, «ut eum usque ad ossa exungularent et longinqui itineris labore consumarent».
Questa frase ha dato spunto a qualche polemica. Come morì quindi il martire? Morì a Gerona o piuttosto lontano dalla città? Negli Atti si parla di slogamento delle ossa e di un duro viaggio in cui probabilmente morì. La tradizione aggiunge poi altri dettagli; partendo forse dall’idea del lungo viaggio afferma che il santo sarebbe stato portato prima vicino al mare, a circa trenta kilometri da Gerona, dove oggi sorge la città di San Feliù de Guixols; qui sarebbe stato gettato in acqua e, miracolosamente illeso, portato poi, per una difficile strada di ritorno, verso Gerona; durante il tragitto sarebbe morto. La presenza del mare non è menzionata dagli Atti, per cui alcuni autori misero in dubbio l’autenticità della notizia. Dagli Atti però sappiamo che non morì a Gerona, ma durante un doloroso viaggio, e che, inoltre, le sacre spoglie furono riportate in città dopo che il martirio era stato consumato: «revocatur corpus beatissimi martyris Gerundam».
La tradizione ha invece indicato sempre la località di mare, San Feliù de Guixols, dove Felice fu gettato in acqua; e così anche il paese di Penades o Panedas, vicino a Gerona, dove sarebbe morto, in carcere, oppure con un nuovo martirio. Un inno del Breviario mozarabico, attribuito a sant'Isidoro, dice semplicemente:
«Omnia tormenta forti praecucurrit pectore, postque poenas et catenas, ungulas et verbera, carnea claustra relinquens, migrat ad coelestia».
Anche nella Messa mozarabica, nella preghiera Post Sanctus si legge: «Insaniens itaque victa crudelitas Sanctum interfeci jubet carcere trusum».
Morto per strada oppure in carcere, il corpo fu poi raccolto e portato a Gerona. Si sono avanzate diverse ipotesi anche sul luogo in cui più tardi se ne conservarono le reliquie e sulla data precisa del martirio. Si dà come più probabile l’anno 304, e dagli antichi martirologi a cominciare dal Geronimiano viene commemorato il 1° agosto come data del martirio.
Nel secolo IV i santi martiri Cucufate e Felice a Gerona avevano il proprio sepolcro e forse delle confessiones secondo i versi di Prudenzio:
«Hi, sequestrato tumulis honore,
Proprias aedes adeunt tuendas:
Barcinone hic celebratur aula,
Ille Gerunda».
Il culto di Felice era molto diffuso in Spagna e nella Francia meridionale come ne fanno fede la raccolta di orazioni di Tarragona, il Sacramentario di Toledo, il Martirologio di Lione e i libri liturgici mozarabici. Oltre alla basilica costruita sul sepolcro, san Gregorio di Tours ne conosceva un’altra edificata in suo onore a Narbonne nel 455 dal vescovo Rustico; in questa chiesa, in cui si conservavano anche delle reliquie di Felice, avvenivano dei miracoli e il re Alarico II (484-507) l’aveva fatta alquanto abbassare perché gl’impediva la vista del panorama sulla pianura sottostante il suo palazzo. Anche in Spagna gli si attribuiscono dei miracoli nell’epoca visigotica, uno dei quali diede occasione al re Recaredo di donare al sepolcro del santo la sua corona d’oro.
Sembra che, dopo i primi tempi, la memoria del sepolcro si andò perdendo, forse perché le reliquie dovettero essere nascoste in cripte più profonde per preservarle dalla profanazione degli Arabi. Nel secolo X furono ritrovate insieme con quelle di altri martiri dal vescovo Mirone, conte di Besalù, dopo ferventi preghiere e alla presenza di molti vescovi, abati e illustri signori. Le reliquie così ritrovate furono poi messe in un prezioso scrigno nel secolo XIII, collocato sull’altare della cappella maggiore; trasferite, quindi, al principio del secolo XVIII, furono poste sotto l’ambone dell’epistola, dove rimasero più o meno dimenticate. Nonostante questa incuria, la memoria del santo è stata sempre venerata e ancora oggi a Gerona si celebra con grande solennità la sua festa.
Autore: Francisco Martin Hernandez
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