Nato forse in Romagna (a Bologna?) non prima del 1100, morì martire per la difesa dei beni della sua diocesi il 4 agosto 1180. Entrato nel monastero di Fonte Avellana sul Catria (Congregazione Avellanita), allora in diocesi di Gubbio, forse sotto il priore, suo omonimo, Rainerio diacono, divenne grande amico del santo vescovo di Gubbio, Ubaldo, eletto a quella sede fin dal 1129 (nel 1160, ormai vescovo anche lui, sarà presente alla sua morte ed ai solenni funerali).
Nel 1156 (altri 1154), Rainerio veniva eletto vescovo di Cagli, ed esercitò con zelo il ministero pastorale per quasi vent'anni.
Sotto il suo episcopato ebbe il periodo di maggior splendore l'abbazia di san Geronzio, nelle vicinanze di Cagli, fatta oggetto, appunto, il 2 aprile 1170, del privilegio di Alessandro III.
Turbò, verso la fine, il suo episcopato una controversia con il Capitolo cattedrale di Cagli, forse per il conferimento dei benefici; la controversia, portata a Roma, era pendente presso il Consistorium papale, quando a Roma stessa giungeva una missione dell'archidiocesi di Spalato per chiedere un nuovo arcivescovo. Rainerio venne allora trasferito da Cagli a Spalato (1175).
Raggiunta la nuova sede, via mare, partendo da Ravenna, nel 1177, andò incontro, accompagnandolo poi fino a Zara, ad Alessandro III diretto a Venezia, per incontrarsi con Federico Barbarossa.
Sotto il governo di Rainerio si tenne a Spalato un concilio nazionale, a cui presiedette il Cardinale legato, Raimondo de Capella (1177-1178). Egli, inoltre, intraprese un viaggio a Costantinopoli (1178?), alla corte dell'Imperatore Emanuele Commeno, da cui Spalato allora dipendeva. Partecipò al concilio Lateranense III (1179) con i suoi suffraganti e fu tra i firmatari degli Atti.
All'inizio del 1180 si aprì la questione del possesso di alcune terre appartenenti alla Chiesa di Spalato, ma usurpate da membri di una tribù di Gratti. L’arcivescovo tentò innanzitutto le vie pacifiche per la restituzione; ma l’autorità imperiale, per debolezza, non seppe farsi rispettare; Rainerio pensò allora di imporsi con la propria autorità, recandosi personalmente alle falde del Monte Grasso un contrafforte del Misor, dove erano i terreni controversi. Lo ricevettero i lamenti, poi le minacce degli usurpatori che passando a vie di fatto lo lapidarono: era il 4 agosto 1180. Fatti portentosi avrebbero accompagnato il martirio. Chi racconta tutto ciò è a qualche secolo di distanza dagli avvenimenti, mentre il primo fedele biografo, Tommaso da Spalato, ne tace assolutamente.
Le spoglie mortali dell'arcivescovo furono tumulate nella chiesa di san Benedetto fuori le mura, che più tardi prese il nome di san Rainerio: ivi rimasero per lungo tempo "pro martire inde habitum eius miracula comprobant", dice il Lucio.
Un'altra chiesa in suo onore sorse nel villaggio di Dubrava tra due colli del monte Misor, a quindici miglia da Spalato, dove avvenne il suo martirio. Il decreto di Urbano VIII non danneggiò il culto di Rainerio, troppo antico per essere messo in dubbio. Il Farlati, infatti, fa l’elenco di tutti gli scrittori che hanno dato a Rainerio i titoli di santo e martire e Sisto V fece dipingere l’immagine dello stesso arcivescovo, con sotto scritto il titolo di santo, nel Collegio illirico di san Girolamo a Roma.
Nel secolo XVII, sotto l’imperversare del pericolo delle incursioni turche, il corpo di Rainerio fu traslato dalla chiesa di san Benedetto (san Rainerio) a quella di santa Maria de Taurelis; ma nel 1676 fu restituito alla vecchia dimora, ormai compresa entro le mura. Durante questa traslazione, una colomba sarebbe volata sul feretro ed alcuni l’avrebbero veduta; ma il Farlati stesso non si sente di garantire ciò.
Il culto fu espressamente riconosciuto da Alessandro VIII, che nel 1690 approvò l’Ufficio con ottava del santo per l’archidiocesi di Spalato, dichiarandolo insieme compatrono, accanto a san Domnione, della medesima archidiocesi: la concessione fu poi estesa a Cagli (9 febbraio 1819). La festa si celebra il 2, il 4 o l’11 agosto.
Non è frequente trovare nel martirologio cristiano l’esempio di un martire caduto per la difesa di interessi materiali della Chiesa, essendo l’aureola più comune del martire la difesa della propria fede. Teologicamente, però, rientra nella difesa della dottrina fidei anche quella delle immunità ecclesiastiche, come difesa, col sacrificio della vita, dei sacrosanti diritti della Chiesa sui beni che la pietà dei fedeli ha messo nelle Sue mani.
Quanto alla coscienza del martirio fa fede la narrazione lasciataci dall’arcidiacono Tommaso, che parla di minacce fatte al santo da parte dei suoi carnefici, immediatamente prima dell’atto criminale: dal che è facile dedurre che Rainerio dovette aver chiara, prima di affrontarla, la visione della sorte che lo attendeva, se avesse persistito, come fece, nel suo atteggiamento di intrepida difesa.
Autore: Giuseppe Palazzini
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