Nord-Africa, III secolo
La leggenda di San Maurizio, San Giorgio e San Tiberio, soldati tebei martirizzati a Pinerolo, affonda le sue radici nei secoli XVI-XVIII, alimentando un culto locale che si intreccia con altre leggende tebee del Piemonte. La storicità della loro origine tebea è stata tuttavia messa in discussione, ipotizzando un martirio locale ad opera di Saraceni nel X secolo. La mancanza di documenti compromette la certezza storica, alimentando il mistero attorno a questi santi. La tradizione indica le valli di Angrogna e Luserna come luoghi del martirio, con la cappella di Pralafera dedicata a San Giorgio. La devozione verso i santi, testimoniata da chiese, cappelle e località pinerolesi a loro intitolate, si basava principalmente sulle reliquie conservate nell'abbazia di Santa Maria di Pinerolo. Solenni traslazioni e ricognizioni ne attestano l'importanza fino al XVII secolo.
Emblema: Palma
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Un’antica leggenda locale, raccolta dagli scrittori subalpini dei secc. XVI-XVIII e ormai quasi completamente spenta, assegna a Pinerolo tre santi: Maurizio, Giorgio e Tiberio, i quali, scampati all’eccidio dei loro commilitoni della legione tebea, sarebbero pervenuti nelle terre presso Pinerolo e qui avrebbero trovato gloriosa la morte, dopo averne cristianizzato gli abitanti. Questa tradizione si collega ad altre leggende locali, secondo cui anche altri soldati tebei, quali s. Secondo e s. Valeriano, avrebbero incontrato il martirio rispettivamente nei vicini paesi di S. Secondo e di Cumiana.
Tuttavia l’attribuzione dei nostri santi alla legione tebea è stata messa in forse, al principio del XX secolo, da F. Alessio, il quale ha supposto una loro origine locale, ritenendo che, probabilmente, essi vennero martirizzati ad opera di qualche banda saracena durante una delle tante tremende scorrerie a cui quei predoni sottoposero il Piemonte nel corso del sec. X. D’altra parte anche il Baldesano aveva ascritto fra i tebei soltanto s. Tiberio, ignorando gli altri due.
In verità dei predetti santi non sappiamo nulla di certo. Gli stessi scrittori che se ne sono occupati hanno sempre dovuto rilevare la mancanza di documenti, anche se hanno giustificato il fatto con le devastazioni, effettivamente subite, dall’Archivio e dalla Biblioteca dell’abbazia di S. Maria di Pinerolo, principale centro di culto dei tre santi, durante le lotte di religione e le guerre che insanguinarono il Piemonte nei secc. XV-XVII.
Una tradizione, ancora viva al principio del secolo scorso, indicava come luoghi del martirio le valli di Angrogna e di Luserna e precisava che s. Giorgio era morto a Pralafera, dove successivamente la pietà dei fedeli innalzò una cappelletta in suo onore. Inoltre una famiglia signorile del luogo, i Luserna-Bigliori, che fin dal 1200 godevano del patronato sulla cappella, avevano aggiunto al proprio nome l’appellativo di S. Giorgio.
Comunque non è difficile trovare chiese, cappelle e località pinerolesi intitolate a s. Giorgio e a s. Maurizio nelle antiche carte e pergamene, a partire dalle primissime del 999 e del 1064.
Ma il principale fondamento al culto dei nostri santi era costituito dalle reliquie che da tempi remoti gelosamente si custodivano nella chiesa maggiore dell’abbazia di S. Maria di Pinerolo. Abbiamo notizia di una prima e solenne loro traslazione avvenuta al tempo dell’abate commendatario, card. V. Lauro (1585-1589), il quale le aveva fatte riporre presso l’altare di S. Biagio. Una seconda traslazione e ricognizione fu fatta per disposizione del card. Borghese il 22 settembre 1627 dal vescovo di Vercelli, Giacomo Goria, ed infine una terza, il 5 aprile 1657, da mons. Michelangelo Broglia.
Per i secc. XV-XVIII documenti e scrittori attestano la grande devozione prestata alle reliquie da numerose schiere di fedeli provenienti da tutte le parti del Pinerolese con enorme concorso di pubblico il 24 aprile, festa dei santi.
Dopo la soppressione del monastero, avvenuta durante la dominazione napoleonica, anche la devozione cominciò ad attenuarsi progressivamente fino a scomparire. Vi contribuì l’incuria dei parroci, uno dei quali nel 1877 tolse le reliquie dalla custodia e le lasciò in abbandono. Oggi, risultano disperse.
Autore: Antonio Parisi
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