L’arciprete della pieve di Colle nacque a Chiatina nel 1135, uno dei tanti castelli medievali che sorgeva nelle Crete Senesi, nella giurisdizione ecclesiastica del Vescovado d’Arezzo; oggi al suo posto sorge una villa padronale e rientra nel territorio dell’Abbazia di Monteoliveto Maggiore. Ignoti rimangono i nomi dei genitori che, secondo le agiografie, appartenevano alla piccola nobiltà del luogo. Fin da subito, Alberto mostrò un’indole buona ed un certo ingegno tanto che i genitori pensarono bene indirizzarlo non alle imprese cavalleresche proprie del suo tempo e del suo rango, ma agli studi ed al ministero sacerdotale, che più gli si confacevano. Durante gli anni di studio, egli si rese conto che l’istruzione intellettuale disunita dalla pratica della virtù non lo avrebbe condotto a nulla di buono e così iniziò a trascorrere molte ore, anche di notte, nella meditazione e nella preghiera. All’età di ventotto anni, venne ordinato sacerdote e gli fu affidata la pieve di S. Maria in Pava, poco lontana da Chiatina. Qui, la sollecitudine nell’adempiere al ministero sacerdotale procurò ad Alberto l’affetto e la venerazione di tutto il suo popolo, ma anche la manifesta ostilità del signorotto locale, cosicché, trovandosi ostacolato e vedendo che la propria fermezza diveniva anche pericolosa ai suoi popolani, rinunciò alla pieve e si trasferì in Siena, dove, per la fama di santità che lo aveva preceduto, gli fu affidata la chiesa di S. Andrea dentro le mura urbane (1175). A due anni di distanza, nel 1177, il papa Alessandro III, senese, che probabilmente aveva posto lo sguardo su Alberto, lo nominò arciprete della pieve ad Elsa, posta lungo la Via Francigena, appena fuori dal borgo di Gracciano. Si trattava di una nomina importante: l’Arcipretura era, infatti, da tempo immemorabile nullius Dioecesis, ovvero, pur rientrando formalmente nel territorio diocesano di Volterra, dipendeva direttamente dal Sommo Pontefice. Eletto dai chierici del capitolo con l’approvazione della Santa Sede e senza l’intervento del vescovo di Volterra, l’arciprete giurava fedeltà soltanto alla Chiesa Romana ed, entro i ristretti confini della Plebania, esercitava una giurisdizione quasi vescovile: aveva l’autorità di consacrare chiese e cappelle, di spedire bolle per le parrocchie, promulgare editti e fulminare scomuniche, di far lettere dimissorie per tutti gli ordini sacri e dispense per gli impedimenti matrimoniali, nonché di usare il pastorale nelle celebrazioni delle Messe e dei vespri solenni. Il suo infaticabile apostolato a Gracciano non poté durare che soli quattro o cinque anni, dopo i quali, Alberto si coprì di piaghe e rimase infermo fino alla morte: tra la pelle e le ossa era pieno di putredine maleodorante, che usciva in gran quantità, particolarmente d’estate; gli rimase libera solamente la testa, sicché continuò ad esercitare il ministero sacerdotale dal proprio letto. Non si udì mai un lamento, anzi egli affermava che questo supplizio era dovuto ai suoi peccati. Per questi fatti, sin dalle più antiche agiografie, viene chiamato “il Santo Giobbe della Toscana”. La fama di quel lungo ed eroico martirio, tanto serenamente sofferto, si diffuse anche oltre la Toscana, tanto che alcuni cardinali della Curia Romana, vescovi, abati ed altri illustri personaggi si fermavano a Colle, sia per ammirare la celebrata virtù dell’arciprete sia per chiedere l’intercessione della sua preghiera. Intanto, gli anni trascorrevano senza che la malattia accennasse a scomparire. Nel 1185, avendo raggiunta l’età di cinquanta anni, S. Alberto presentò al papa una supplica per essere esonerato dalla dignità arcipretale e sostituito nella cura delle anime. Dopo un primo rifiuto, la supplica fu accolta, sembra nel 1191. Due successori lo videro ancora sofferente. In quegli stessi anni, teatro di guerre tra opposte fazioni politiche ed opposte città, Gracciano era fatto oggetto di ripetuti attacchi da parte delle milizie senesi. Con il probabile intento di riparare in luogo più sicuro, l’arciprete Alberto spostò la sede plebana da Elsa alla chiesa del SS. Salvatore, posta nel castello di Colle e futura cattedrale. Contemporaneamente gran parte della popolazione abbandonò l’antichissimo insediamento e seguì l’arciprete per unirsi alla popolazione colà residente ed organizzarsi in libero Comune (1195). Gracciano, invece, nella prima metà del Duecento venne raso al suolo dai senesi, i quali rispettarono unicamente la chiesa. Si può, pertanto, osservare che l’unione del popolo nel nascente Comune di Colle di Val d’Elsa ha coinciso con la lungimirante azione del santo arciprete Alberto e non sorprende che, per molti secoli dopo la sua morte, il Comune riconoscente gli tributasse onori e festeggiamenti solennissimi. Liberato del peso e della responsabilità dell’arcipretura, negli undici anni che seguirono all’accettazione delle dimissioni, il Santo volle dedicare tutto il suo tempo all’orazione, alla meditazione ed all’offerta delle proprie sofferenze. La pietà di S. Alberto si esprimeva, in un modo tutto particolare, nei confronti della preziosa reliquia del S. Chiodo, che si reputava indegno di toccare se non attraverso un paio di guanti, i quali si conservano ancora intatti. Nell’iconografia, infatti, egli è rappresentato o nell’atto di venerare il S. Chiodo o con la stampella, segno questa del suo lento e doloroso martirio. Dopo venticinque anni di sofferenze continue, all’età di sessantasette anni, S. Alberto da Chiatina morì: era il 17 agosto 1202. Subito i presenti furono testimoni di un singolare miracolo: il corpo del Santo, fino ad allora ricoperto di piaghe maleodoranti, apparve agli occhi di tutti integro e sano in ogni sua parte. Episodi miracolosi o almeno singolari si verificarono anche presso il suo catafalco funebre. Portato il corpo venerando nella pieve del SS. Salvatore ed esposto alla pietà dei fedeli, la chiesa divenne meta di folle devote che si susseguirono a lungo, chiedendo l’intercessione del Servo di Dio e cercando di tagliuzzarne le vesti sacre. Numerosissime furono le grazie, tra le quali si leggono nelle antiche storie le seguenti: “Una fanciulla detta Buonasera, e con essa lei un altro Atratto furono portati al suo Feretro, et ambedue, hebber quanto desiderarono. Matteo da Sovicille stato 14 anni sordo, udì come prima. Un studente da S. Cerbonio ricuperò un de’Lati, che havea perduto. Lucia, stata otto anni ossessa dal Demonio, fu la prima, non già l’ultima ad esser liberata. Un putto di Riccardino da Colle gravemente infermo, portato alla sua Sepoltura, fuggì da Quello l’Infermità, e la Morte. Gibaldo da Silano, fù consolato havendo menato al Sepolcro del Santo un figlio, et una sua figlia, i quali stracciavano, e rompevano quanto potevano haver nelle mani. Tre Prigioni di Massa con altri furono liberi, portando al Deposito del Santo, i lacci, e le catene. Belcolore, hebbe grazia ancor lei adoprar’non che distender la Mano, Attratta. Un Giovanetto da Travale scherzando con un Coltello in mano, se lo ficcò in uno degli Occhi: la povera Madre lo raccomandò al Santo, e doppo essersi riposato alquanto, si levò di letto, come se mai havesse havuto male alcuno. E Gisia Fanciullina di tre anni di Berlinghieri da Elci scherzando con sue pari, cadde in un Pozzo senza sponde, di altezza di 60 braccia: quando la desideravano, per darle Sepoltura, la cavarono viva, e per più stupore, i suoi panni non erano punto bagnati. A questo vi fu presente L’Arciprete con tutto il Clero per vedere sì gran maraviglia”. Finalmente fu possibile dare sepoltura a quelle spoglie venerate nella chiesa, sulla quale, più tardi, fu eretta la cattedrale. La testa, invece, fin da subito venne conservata in un reliquiario. Nel 1618 il corpo, del quale si era persa l’esatta ubicazione, venne ritrovato inserito dentro l’altare della vecchia cappella del S. Chiodo, sotto la pietra della mensa. Il 1° luglio 1620 la reliquia del S. Chiodo, quelle di S. Alberto e tutte le altre furono trasportate con solenne funzione nella nuova cattedrale e poste in adatti tabernacoli entro la cappella che appunto dal S. Chiodo ebbe nome. In seguito le reliquie di S. Alberto, forse a causa dei nuovi lavori che furono fatti, vennero trasportate nella Sacrestia Capitolare, finché nel 1890 fu eretta la cappella di S. Alberto in quella già sotto il titolo di S. Gregorio Magno (n. X), dove, entro un’urna, riposa il corpo del santo arciprete, che con cura e secondo le leggi canoniche è stato ricomposto e vestito degli abiti sacerdotali, propri della sua dignità ecclesiastica. Oltre che un Santo della Chiesa, Alberto da Chiatina è stato anche un personaggio di fondamentale importanza nella nascita della comunità colligiana e meritatamente, ad oltre sette secoli di distanza, lo ricordiamo quale nostro protettore.
Fonte:
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"La cattedrale di Colle di Val d'Elsa", Colle, 2001, Pro Loco
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