Ha il nome del legislatore d’Israele, ma la prima parte della sua vita è quella di un pregiudicato violento e astuto. Il Martirologio romano, ricordandolo il 28 agosto, dice che da giovane è stato un “ladrone insigne”. Di origine etiopica e di pelle nera, aveva avuto la fortuna di entrare presto al servizio di un personaggio molto ricco. Ma cominciò a derubarlo, facendosi cacciare, e mettendosi poi a rapinare un po’ tutti, ricchi e poveri.
Conosciamo la sua vita attraverso il racconto di uno scrittore nato in Asia Minore: Palladio, detto poi “di Eliopoli” quando divenne vescovo di questa città della Bitinia, nell’attuale Turchia asiatica, sul Mar Nero. Palladio è noto in particolare come amico e difensore di san Giovanni Crisostomo (350 ca. - 407), il patriarca di Costantinopoli combattuto, esiliato e poi riabilitato da morto; e nella letteratura cristiana ha avuto lunga fama per un suo libro scritto in greco: la Storia lausiaca, intitolata così perché dedicata a Lauso, un dignitario dell’imperatore orientale Teodosio II.
Palladio racconta dunque che il brigante Mosè l’Etiope aveva una sua banda scorrazzante attraverso l’Egitto; nelle campagne indifese, soprattutto. E dopo le rapine si abbandonava con i suoi a sfrenate baldorie. Doveva essere dotato di eccezionale forza fisica: Palladio racconta che, per vendicarsi di un contadino che aveva sventato un furto, loha inseguito attraversando a nuoto il Nilo, "che era in piena e si estendeva per quasi un miglio". Nuotava "tenendo la spada stretta fra i denti". La sua carriera di rapina dev’essere durata piuttosto a lungo, perché Palladio scrive: "Questo grande peccatore tardivamente fu toccato dal pentimento in seguito a qualche grave rovescio". Insomma, più che una fulminea illuminazione, ci dev’essere stato un mutamento graduale. Ma duraturo, infine. E senza alcun ripensamento. Anzi: Mosè riesce a convertire anche uno dei suoi peggiori complici, "colui che condivideva la sua colpa nei misfatti sin dalla giovinezza".
E a questo punto vediamo incominciare la “seconda biografia” di Mosè l’Etiope. Il rapinatore è diventato vero monaco. Vive nella sua cella, prega da solo e con gli altri. Ed essi un giorno lo vedono arrivare in chiesa portando sulle spalle, legati, quattro rapinatori, che avevano fatto irruzione nella sua cella senza riconoscere lui. E Mosè, con l’antico vigore, li ha portati “come un saccodi paglia” davanti agli altri monaci, domandando: "Ora io non posso più fare male a nessuno; allora, che cosa faccio di questi?". E i ladri si convertono a loro volta, dicendo: "Se questo Mosè, un tempo così grande nelle rapine, adesso ha sentito il timor di Dio, noi che cosa aspettiamo a fare altrettanto?".
Ma la sua non è una conversione tranquilla: a volte il passato torna con i suoi richiami: "I demoni lo spingevano all’antica consuetudine di sfrenata lussuria". Sente che da solo non ce la fa a resistere, si fa guidare dal vecchio monaco Isidoro, e riesce gradualmente a liberarsi, "al punto che temeva il demonio meno di quanto noi temiamo le mosche".
Infine, poco prima di morire, diventa anche sacerdote; e lascia settanta discepoli, conclude Palladio. Il “ladrone insigne”, annota il Martirologio romano, si è trasformato in “insignis anachoreta”. Nel Martirologio etiopico, Mosè è ricordato il 18 giugno.
Autore: Domenico Agasso
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