La Vita prima Remacli del|a prima metà del secolo IX, è opera, in stile barbaro di un anonimo monaco di Stavelot, infatuato della gloria del suo eroe e nel contempo avaro di informazioni valide. Questo testo è stato ripreso, corretto e sviluppato da Erigerò di Lobbes in una Vita secunda redatta tra il 972 e il 980, che altro non è che una compilazione di opere conosciute e sconosciute e di tradizioni orali. La lettera a Werinfride, indirizzata da Erigerò all’abate di Stavelot, doveva servire da prefazione alla Vita secunda, mentre a torto figura all’inizio delle Gesta Pontificum Leodiensitim.
Una Homilia in Natale san Remagli, composta a Stavelot da un anonimo poco dopo la Vita prima ch’essa utilizza, fa prima di tutto l’elogio del suo eroe e tende verso uno sviluppo completo della leggenda/Altra fonte, di prim’ordine questa, sono i Aliracitla sancii Remacli, iniziati tra l’851 e P861 e ultimati dopo il 1008. Opera collettiva intrapresa dai monaci di Stavelot su richiesta di Airico, abati di Cornelimunster, è di capitale importanza per la storia della vita e dei costumi dei secoli IX e X, e illustra, con grande profusione di dettagli, di aneddoti e di quadretti dal vivo, il posto importanti che prese rapidamente il culto di san Remaclo nella vita e nell’economia della comunità stavelotana.
Una Vita tertia sancti Remacli del secolo XV riassume quelle anteriori. Attenendosi ai fatti storicamente fondati, ecco ciò che si conosce di Remaclo. Egli nacque alla fine del secolo VI o all’inizio del VII, senza dubbio in Aquitania. Secondo il suo principale storico, F. Baix, «Remaclo è senza padre, senza madre e senza genealogia». Entrò ancora giovane nell’abbazia di Luxeuil, nei Vosgi, sotto la regola di Colombano e, nel 632, Eligio lo chiamò a capo del monastero di Solignac da lui appena fondato.
Verso il 645-647, con l’appoggio di Sigeberto III d’Austrasia, Remaclo partì per Cugnon (Belgio, provincia di Lussemburgo, comune del cantone di Paliseul) con alcuni dei suoi monaci, per costruirvi un monastero; non tardò tuttavia ad abbandonare il progetto, poiché verso il 650 lo ritroviamo a Nord della foresta delle Ardenne, dove fonda i monasteri di Malmédy (diocesi di Colonia) e di Stavelot (diocesi di Tongres) che diviene ben presto per lui luogo di soggiorno abituale.
Capo di queste nuove comunità, Remaclo (lat. Remaclus, Remaglus, Rimagilus) fu consacrato vescovo-abate, sembra da sant'Amando, cosa che valse alle due case l’esenzione totale di fronte agli ordinari del luogo, cioè ai vescovi di Colonia e di Tongres. Remaclo adottò all’inizio della sua fondazione la regola di san Colombano, ma in seguito preferì le pratiche d’una regola mitigata, frutto delle sue letture, improntata alle sue tendenze ed essenzialmente ispirata dalla regola di san Benedetto.
La dotazione fondiaria regia, accordata all’epoca della fondazione, era stata generosa, e ben presto, con il loro lavoro, i monaci la svilupparono e la utilizzarono nel miglior modo. Il 6 dicembre 670, Remaclo ne fece confermare le delimitazioni precise dal vescovo di Liegi, Teodrado, dal domesticus Odone e dai forestali regi.
Si ammette generalmente che la morte di Remaclo avvenne un 3 settembre, dopo il 671 e prima del 23 dicembre 676.
Intorno alla sua memoria il culto dovette svilupparsi rapidamente se già il 25 giugno del 685 le sue reliquie furono elevate dall’abate Goduino (il corpo deposto in una cassa, tolto dall’oratorio di san Martino, fu posto nella chiesa abbaziale dietro l’altare dei SS. Pietro e Paolo) e ben presto da più parti si volle entrare in possesso di qualche sua reliquia o ricordo (l’abate di Kornelimiinster, Airico, si fece rimettere nel secolo IX una cuppa che si riteneva appartenuta al santo; Marche-en-Famenne e le abbazie di san Bavone di Gent e di san Gallo in Svizzera si vantavano di possedere reliquie del santo). Stavelot fece eseguire nel secolo XIII uno splendido reliquiario (attualmente conservato nei Musées Royaux d’Art et d’Histoire a Bruxelles), meravigliosa testimonianza dell’arte mosana. Il sarcofago fu ancora aperto nel 1610, nel 1657 e nel 1698, come attestano alcuni inventari e processi verbali.
Il culto di Remaclo non rimase però locale: se ne trovano tracce a Colonia (nelle litanie della cattedrale composte sotto il vescovo Ildebaldo [785-819]), Solignac, Germigny, Caen, Corbie e, in generale, nelle regioni in cui l’abbazia aveva delle proprietà: nel Belgio orientale (particolarmente nell’attuale diocesi di Namur, a Deulin, a Gérin, a Purnode, a Schaltin, ecc.), in Renania e nelle Ardenne francesi.
Per quanto riguarda le forme di questo culto nei secoli IX, X e XI, i Miracula Sancii Remacli riportano numerose scene verificatesi vicino alle reliquie o accanto ad una fontana che il taumaturgo avrebbe fatto sgorgare: i malati varcano una balaustra per raggiungere la tomba del santo circondata di ceri accesi; guariti, essi gettano grida, le campane suonano, i monaci intonano il Te Deum, poi si appendono i loro ex-voto baculi et scabelli alle porte della chiesa abbaziale.
Fra le diverse date in cui si festeggiava Remaclo ricordiamo: la commemorazione, il 10 maggio, la traslazione o dedicazione della chiesa, il 25 giugno e, la più importante, il 3 settembre, dies natalis o depositio sancii Remagli, giorno in cui era letta l'Homilia in Natale sancti Remagli e in cui avvenivano sovente dei miracoli. Ai nostri giorni l’Ufficio di Remaclo figura nel Proprio della diocesi di Namur alla data tradizionale del 3 settembre.
Remaclo è sovente rappresentato accompagnato da un lupo a ricordo di quello che, dopo aver divorato l’asino del santo, sarebbe divenuto il suo fedele compagno.
Autore: Mireille De Somer
ICONOGRAFIA
Del secolo XIII è l’urna reliquiaria, opera di scuola lotaringia, nella parrocchiale di Stavelot. Il santo appare anche nella cassa reliquiario di sant'Adelina, suo discepolo, del secolo XII, nella chiesa di St-Martin de Visé, nel Belgio: in essa sant'Adelina è rappresentato nell’atto di rendere omaggio al suo maestro. A Stavelot si trova anche una sua statua lignea, del secolo XVI. Purtroppo perduto è il paliotto di Wibald di Stavelot, in cui erano rappresentate otto scene della sua vita.
Autore: Antonietta Cardinali
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