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Beato Bartolo Longo Sposo, Terziario domenicano, Fondatore

Festa: 5 ottobre

Latiano, Brindisi, 10 febbraio 1841 - Valle di Pompei, Napoli, 5 ottobre 1926

Bartolo Longo nacque a Latiano, in provincia di Brindisi, ma si trasferì a Napoli per studiarvi Giurisprudenza. Messo in crisi nella fede dalle idee atee e materialistiche, si lasciò coinvolgere nelle pratiche dello spiritismo. Aiutato da un gruppo di santi amici e da saggi consiglieri spirituali, riprese ad accostarsi ai Sacramenti. Inviato dalla contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco come amministratore dei suoi beni fondiari nella cittadina di Valle di Pompei, si diede alla diffusione della preghiera del Santo Rosario tra i contadini, bisognosi di riscatto morale e spirituale. Convinto che «chi propaga il Rosario è salvo», costruì non solo una chiesa più grande di quella preesistente, ma un vero e proprio Santuario, con opere caritative annesse. Sposò la contessa per mettere a tacere i pettegolezzi sul loro conto: con lei fu padre degli orfani e dei poveri. Fino all’ultimo scrisse, pregò, lavorò instancabile per la Madonna, la sua dolce Regina e Signora. Morì a Pompei il 5 ottobre 1926. È stato beatificato il 26 ottobre 1980. I suoi resti mortali sono venerati nella cappella a lui dedicata, annessa al Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei.

Etimologia: Bartolo = figlio del valoroso, dall'aramaico

Martirologio Romano: A Pompei presso Napoli, beato Bartolomeo Longo: avvocato dedito al culto mariano e all’istruzione cristiana dei contadini e dei fanciulli, fondò, con l’aiuto della pia moglie, il santuario del Rosario a Pompei e la Congregazione delle Suore che porta lo stesso titolo.


Il Santuario della Beata Vergine del Rosario di Pompei si regge su due colonne portanti: carità e preghiera. La prima è esercitata tramite le numerose opere sociali dipendenti dal Santuario stesso: case famiglia, centri educativi, case d’accoglienza. La seconda è la preghiera: anzitutto con il Rosario, la serie di Ave Maria meditate contemplando il volto di Gesù insieme alla Vergine, poi con la pratica dei Quindici Sabati (diventati Venti con l’introduzione, dal 2003, dei Misteri della Luce) e, a mezzogiorno dell’8 maggio e della prima domenica di ottobre, dall’invocazione pubblica e solenne detta Supplica, che fu recitata per la prima volta il 14 ottobre 1883.

Le basi di questi due pilastri sono state poste più di 130 anni fa, quando mise per la prima volta piede in quella località, fino allora conosciuta per gli scavi archeologici scoperti poco più di un secolo prima, colui che avrebbe fondato non solo il Santuario e le opere annesse, ma la città rinnovata: Bartolo Longo.
Nato a Latiano, in provincia di Brindisi, il 10 febbraio 1841, venne avviato alla carriera del foro dal secondo marito di sua madre, che lo mandò a Lecce presso un rinomato avvocato; all’epoca, infatti, anche gli studi universitari erano compiuti in privato. La sua vita, in quel periodo, somigliava grosso modo a quella di un universitario di oggi: feste, goliardia e varie piccole storie d’amore.
Per conseguire la laurea in giurisprudenza, Bartolo, ormai ventenne, si trasferì a Napoli. Continuò a trovare svago nei balli e negli incontri con gli amici, insieme a lunghe passeggiate nella campagna di Afragola. Di lì a poco, però, cadde preda di un pericolo più minaccioso di quei divertimenti tutto sommato tranquilli e leciti. Era l’epoca della «Vita di Gesù» scritta da Ernest Renan, che sconvolse non poco l’opinione di molti credenti e diede l’avvio a opere riparatrici e movimenti di protesta. Anche il giovane studente la lesse e vide crollare, uno dopo l’altro, i principi nei quali era stato educato a credere dalla madre, che lo portava con sé a distribuire vestiti e cibo a persone bisognose. Se, come affermava lo scrittore, Gesù era solo un personaggio importante e non il Figlio di Dio, non valeva più la pena di credere in lui.
Così, come altri suoi contemporanei, Bartolo cominciò a frequentare alcune riunioni dove si raccontava che si riuscisse a colloquiare con gli spiriti dei defunti. Era animato da una certa curiosità, ma anche dalla ricerca di qualcosa che placasse la sua angoscia intima. Per cinque anni fu un partecipante a questi circoli, ma, nonostante fosse riuscito a laurearsi il 12 dicembre 1864, non riusciva a sentirsi in pace.
Ne parlò quindi col professor Vincenzo Pepe, pugliese come lui, che non gli risparmiò sonori rimproveri: se avesse continuato con lo spiritismo, sarebbe finito in manicomio. Gli diede anche un consiglio più pacato: per cercare di uscirne, poteva andare a parlare con il domenicano padre Alberto Radente, esperto direttore spirituale.
Circa in quel periodo, inoltre, era andato a trovare un amico, il marchese Francesco Imperiali, quando s’imbatté in una giovane donna, dal portamento nobile ma vestita in maniera dimessa, ovvero non secondo la moda del tempo. Era Caterina Volpicelli, che da tempo aveva iniziato a ospitare in casa propria riunioni ben diverse da quelle alle quali lui era abituato: avevano, infatti, lo scopo di diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù e di formare i laici attraverso letture e conferenze spirituali. Informata dal marchese, che era suo cognato, decise di pregare e far pregare i suoi amici per la conversione del giovane.
Lui, da parte sua, accettò il suggerimento del professor Pepe. A partire dal 29 maggio 1865, giorno del suo primo colloquio con padre Radente, iniziò a lasciarsi alle spalle le pratiche esoteriche e a ricevere un’istruzione che gli chiarisse tutti i punti rimasti oscuri dopo la lettura del testo di Renan. Il 23 giugno, data in cui cadeva quell’anno la festa del Sacro Cuore, Bartolo si riaccostò all’Eucaristia, dopo che il suo confessore gli aveva concesso l’assoluzione.
Tornato in pace con Dio, doveva ora capire quale strada prendere. Pensò di sposarsi, ma prima un fidanzamento, poi un altro vennero annullati dall’intervento di un altro suo consigliere spirituale, padre Emanuele Ribera, redentorista: era infatti convinto che Dio avesse un piano diverso per lui. Anche padre Radente, cui chiese aiuto, era del medesimo parere. Nel frattempo, Bartolo entrò nel Terz’Ordine di San Domenico, assumendo il nome di fra Rosario, e proseguì la sua formazione nei Cenacoli di preghiera guidati da Caterina Volpicelli, che in seguito fondò le Ancelle del Sacro Cuore ed è stata canonizzata nel 2009.
Improvvisamente, e per un certo tempo, lui che era così assiduo a quegli incontri prese a non venirci. Un’amica della Volpicelli, la contessa Marianna Farnararo vedova De Fusco, s’interessò al suo caso e mandò una sua domestica a controllare: in effetti, era ammalato e non mangiava da giorni, a causa dell’assenza della proprietaria della pensione dove alloggiava. Venne quindi deciso che fosse ospitato da Caterina, mentre avrebbe mangiato a casa della contessa.
Un giorno lei gli fece una proposta lavorativa: doveva occuparsi dell’amministrazione di alcuni suoi possedimenti agricoli, situati in una località detta Valle di Pompei. L’impatto fu decisamente desolante: le rovine dell’antica città romana erano ancora mezze sommerse dalla lava. Non migliore era la condizione dei contadini: i loro figli non avevano un’istruzione, non essendoci scuole, ed erano letteralmente abbandonati; in alcuni casi, avevano perfino i genitori in carcere.
Nell’ottobre 1872 la preoccupazione di Bartolo era giunta al culmine. Uscì dal Casino di caccia (una casa di campagna) dove alloggiava e prese a camminare senza meta. Giunto in una località denominata Arpaja si fermò, col cuore che quasi scoppiava per la pena che sentiva. In quel momento, gli parve di risentire le parole che tante volte padre Radente gli aveva ricordato: «Se cerchi salvezza, propaga il Rosario. È promessa di Maria. Chi propaga il Rosario è salvo!». Sull’orlo della disperazione, alzò il volto e le mani al cielo e supplicò la Vergine: «Se è vero che tu hai promesso a San Domenico che chi propaga il Rosario si salva, io mi salverò perché non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario!».
Da allora, cominciando con piccole lotterie con premi a carattere religioso, l’avvocato cercò di rianimare gli abitanti di Valle di Pompei. Il 13 novembre 1875, a conclusione di una missione popolare, fece arrivare un quadro che aveva rintracciato grazie a padre Radente, dono di una religiosa, suor Maria Concetta De Litala: raffigurava la Madonna in trono, con Gesù Bambino in braccio, che porgeva la corona del Rosario a san Domenico e a santa Caterina da Siena.
La folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rese necessario costruire una chiesa più grande. Su consiglio anche del vescovo di Nola (nel cui territorio cadeva Valle di Pompei), monsignor Giuseppe Formisano, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del nuovo tempio, che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi venne incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose e benedetto da papa Leone XIII.
La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente dalle tante Associazioni del Rosario sparse in tutta Italia: in breve divenne un centro di grande spiritualità, elevato al grado di Santuario e di Basilica Pontificia.
“Don” Bartolo (così era chiamato per rispetto, secondo l’uso del Sud Italia) istituì anche un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Ancora, fondò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerlo i Fratelli delle Scuole Cristiane.
Nel 1884 divenne promotore del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei», che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un avvenire ai suoi orfanelli. Tra i suoi amici speciali c’erano padre Ludovico da Casoria, francescano, conoscente anche di Caterina Volpicelli (canonizzato nel 2014) e Giuseppe Moscati, il famoso medico di Napoli (Santo dal 1986), che lo visitò spesso come paziente.
Tuttavia non mancarono le polemiche, in particolare a riguardo del rapporto tra Bartolo e la contessa Marianna, ma anche circa la gestione amministrativa. Dovette intervenire papa Leone XIII in persona, sciogliendo entrambi dagli impegni presi privatamente (lui voleva restare celibe) e invitandoli a unirsi in matrimonio, cosa che avvenne il 1° aprile 1885. Dal 1906 tutti i beni passarono sotto il diretto controllo della Santa Sede.
La particolarità di quel che si vive a Pompei, quindi, risiede completamente nell’affidamento a Maria facendo passare tra le mani i grani della corona, che la già citata Supplica, composta dallo stesso Bartolo Longo, definisce «catena dolce che ci rannodi a Dio». Lui, che morì il 5 ottobre 1926, l’aveva sperimentato di persona, uscendo, con l’aiuto spirituale e materiale dei suoi amici, dal dubbio e dalle pratiche oscure. La Chiesa ha riconosciuto, mediante un accurato processo canonico, che davvero il Rosario l’aveva salvato: è stato infatti beatificato il 26 ottobre 1980, ad opera di san Giovanni Paolo II.
Per suo espresso volere, era stato inizialmente sepolto nella cripta sotto l’altare maggiore. Nel 1983 i suoi resti sono stati traslati in una cappella adiacente alla cripta e infine, nel 2000, sistemati sotto l’altare di una nuova cappella a lui intitolata, situata nel complesso del Santuario.

Autore: Emilia Flocchini
 


 

Bartolo Longo nacque a Latiano, in provincia di Brindisi, il 10 febbraio 1841. Di temperamento esuberante, da giovane si dedicò al ballo, alla scherma ed alla musica. Intraprese gli studi superiori in forma privata a Lecce; dopo l’Unità d’Italia, nel 1863, si iscrisse alla Facoltà di Giurisprudenza nell’Università di Napoli.
Fu conquistato dallo spirito anticlericale che in quegli anni dominava nell’Ateneo napoletano, al punto da partecipare a manifestazioni contro il clero e il Papa. Dubbioso sulla religione, si lasciò attrarre dallo spiritismo, allora molto praticato a Napoli.
Per sua buona sorte era legato da una solida amicizia con il professor Vincenzo Pepe, suo compaesano e uomo religiosissimo, il quale, saputo del suo tormento interiore, lo avvicinò, convincendolo ad avere contatti con il dotto domenicano padre Alberto Maria Radente, che con i suoi consigli e la sua dottrina lo ricondusse alla fede cattolica e alle pratiche religiose. Intanto, il 12 dicembre 1864, si era laureato in Diritto.
Ritornò al paese natio e prese a dedicarsi ad una vita piena di carità e opere assistenziali. Rinunciò al matrimonio, ricordando le parole del Redentorista padre Emanuele Ribera: «Il Signore vuole da te grandi cose, sei destinato a compiere un’alta missione».
Superati gli indugi, abbandonò quindi la professione di avvocato, facendo voto di celibato e ritornò a Napoli per dedicarsi in un campo più vasto alle opere di beneficenza. Qui incontrò il francescano padre Ludovico da Casoriae Caterina Volpicelli, due figure eminenti del cattolicesimo napoletano dell’Ottocento napoletano, entrambi fondatori di opere assistenziali e congregazioni religiose (canonizzati rispettivamente nel 2014 e nel 2009).
Fu per mezzo loro che conobbeuna contessa, Marianna Farnararo, vedova De Fusco.Da qui Bartolo ebbe una svolta decisiva per la sua vita: divenne compagno inseparabile nelle opere caritative della contessa, nonché divenne istitutore dei suoi figli e amministratore dei suoi beni.
Fu per questo motivo che prese a recarsi spesso nella cittadina di Valle di Pompei, ai piedi del Vesuvio, dove lei aveva dei possedimenti. Resosi conto dell’ignoranza religiosa in cui vivevano i contadini sparsi nelle campagne, prese ad insegnare loro il catechismo, a pregare e specialmente a recitare il rosario.
Una pia suora, Maria Concetta de Litala, gli donò una vecchia tela, molto rovinata, raffigurante la Madonna in trono,con Gesù Bambino sulle ginocchia, in atto di consegnare la corona del Rosario a santa Caterina da Siena e a san Domenico di Guzman. Restauratala alla meglio, Bartolo Longo decise di portarla a Valle di Pompei. Lui stesso raccontò che nel tratto finale posò il quadro su un carro, che faceva la spola dalla periferia della città alla campagna trasportando letame, che allora veniva usato come concime nei campi.Il 13 novembre 1875, il quadro venne esposto nella piccola chiesetta parrocchiale: da quel giorno la Madonna elargì con abbondanza grazie e miracoli.
La folla di pellegrini e devoti aumentò a tal punto che si rese necessario costruire una chiesa più grande. Su consiglio anche del vescovo di Nola (nel cui territorio cadeva Valle di Pompei), monsignor GiuseppeFormisano, iniziò il 9 maggio 1876 la costruzione del tempio, che terminò nel 1887. Il quadro della Madonna, dopo essere stato opportunamente restaurato, venne sistemato su un trono splendido; l’immagine poi venne incoronata con un diadema d’oro, ornato da più di 700 pietre preziose e benedetto da papa Leone XIII.
La costruzione venne finanziata da innumerevoli offerte di denaro, proveniente dalle tante Associazioni del Rosario sparse in tutta Italia: in breve divenne un centro di grande spiritualità, elevato al grado di Santuario e di Basilica Pontificia.
Bartolo Longo istituì anche un orfanotrofio femminile, affidandone la cura alle suore Domenicane Figlie del Rosario di Pompei, da lui fondate. Ancora, fondò l’Istituto dei Figli dei Carcerati in controtendenza alle teorie di Lombroso, secondo cui i figli dei criminali sono per istinto destinati a delinquere; chiamò a dirigerlo i Fratelli delle Scuole Cristiane.
Nel 1884 divenne promotore del periodico «Il Rosario e la Nuova Pompei», che ancora oggi si stampa in centinaia di migliaia di copie, diffuse in tutto il mondo; la stampa era affidata alla tipografia da lui fondata per dare un avvenire ai suoi orfanelli. Altre opere annesse sono asili, scuole, ospizi per anziani, ospedale, laboratori, casa del pellegrino.Il Santuario fu ampliato nel 1933-‘39, con la costruzione di un massiccio campanile alto 80 metri, un poco isolato dal tempio.
Nel frattempo, avevano iniziato ad arrivare calunnie e pettegolezzi circa la sua convivenza con la contessa Marianna.Dopo un’udienza accordata loro da papa Leone XIII, il quale sollecitava una soluzione confacente, i due accettarono di sposarsi,con il proposito di vivere in amore fraterno come avevano fatto fino allora: la cerimonia si svolse nella cappella privata del Vicario Generale di Napoliil 1° aprile 1885.
Nel 1893 Bartolo Longo offrì a papa Leone XIII la proprietà del Santuario con tutte le opere pompeiane e, qualche anno più tardi, rinunciò anche all’amministrazione che il Pontefice gli aveva lasciato. In un pubblico discorso, lasciò le onorificenze ricevute ai suoi orfani e raccomandò di essere sepolto nel Santuario, vicino alla sua Madonna. Quando morì, il 5 ottobre del 1926, fu infatti sepolto nella cripta, in cui tre anni dopo fu traslata anche la contessa sua moglie, morta nel 1924.
Don Bartolo, come lo chiamavano per rispetto, al suo arrivo aveva trovato una zona paludosa e malsana, a causa dello straripamento del vicino fiume Sarno, abbandonata praticamente dal 1659, nonostante l’antica storia di Pompei, città di più di 20.000 abitanti nell’epoca romana, distrutta dall’eruzione del Vesuvio del 24 agosto 79 d.C.Alla sua morte lasciò una città ripopolata, salubre, tutta ruotante attorno al Santuario e alle sue numerose Opere, a cui poi si affiancò il turismo per i ritrovati scavi della città sepolta. Non fece tuttavia in tempo a vederla diventare Comune autonomo, denominato semplicemente Pompei: avvenne il 29 marzo 1928.
È sua l’iniziativa della Supplica, alla Madonna del Rosario di Pompei, da lui compilata che si recita solennemente e con gran concorso di fedeli l’8 maggio e la prima domenica di ottobre.
Bartolo Longo è stato beatificato il 26 ottobre 1980 da papa Giovanni Paolo II.

Autore: Antonio Borrelli
 


 

C’è sempre la speranza che un giovane ritrovi la retta via. Bartolo Longo nasce nel 1841 a Latiano (Brindisi), in una famiglia benestante. Si trasferisce a Napoli e si laurea in giurisprudenza. Cattive amicizie e ambiente universitario lo allontanano dal Cristianesimo, ma grazie all’incontro con alcune persone buone e un sacerdote, Bartolo ritrova la serenità e Gesù. La contessa Marianna De Fusco, rimasta vedova con cinque figli, gli chiede di occuparsi dei suoi terreni nella Valle di Pompei (Napoli). Bartolo, diventato avvocato, accetta.
Un giorno, mentre cammina senza meta, rimugina sul suo passato lontano da Dio ed ecco arrivare una voce che rivela alla sua anima una missione: diffondere la preghiera del Rosario. Il giovane assolve a tale compito per tutta la vita e, siccome per lui la preghiera deve essere accompagnata dalle opere di bene, si prodiga per aiutare i poveri. Bartolo viene deriso dai suoi ex compagni, ma non si scoraggia. Insegna il catechismo ai contadini analfabeti di Pompei e parla loro del Rosario, una preghiera semplice in cui si recitano il Padre Nostro, il Gloria al Padre, tante Ave Maria e si enunciano i “misteri”, attraverso i quali si medita sul Vangelo.
Bartolo si reca, poi, in una piccola chiesa diroccata perché desidera collaborare con il parroco. Intanto si sposa con Marianna De Fusco e insieme fondano orfanotrofi maschili e femminili e si occupano dei figli dei carcerati. Secondo la visione dell’epoca per questi bambini non c’era futuro. Invece per Bartolo essi possono essere recuperati e diventare onesti cittadini. Il primo figlio di carcerati ospitato è un piccolo calabrese che diventa sacerdote. Bartolo e la moglie si preoccupano di insegnare un mestiere agli orfani e istituiscono la Congregazione delle Suore “Figlie del Rosario di Pompei” per l’educazione dei bambini abbandonati.
Grazie alle generose offerte raccolte, l’avvocato fa costruire un santuario intitolato alla “Madonna del Rosario”, dedicato alla “Pace nel Mondo”, che attira pellegrini da ogni dove. Attorno al santuario rinasce la città di Pompei, distrutta dall’eruzione del Vesuvio (79 d.C.). I quadri esposti nella basilica testimoniano le numerose grazie ricevute. Lo stesso Longo viene guarito da una grave malattia. Il quadro della Madonna del Rosario, situato sopra all’altare, era in origine una tela rovinata, donata a Bartolo da una suora di Napoli. Portata fino a Pompei su un carrettino usato per il trasporto del letame, la tela, restaurata, diventa la splendida icona oggi tanto venerata. Bartolo Longo muore nel 1926 a Pompei. Oggi riposa assieme alla moglie Marianna De Fusco nel santuario, vicino alla Madonna.


Autore:
Mariella Lentini


Fonte:
Mariella Lentini, Santi compagni guida per tutti i giorni

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Aggiunto/modificato il 2023-09-12

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