Verona, 8 ottobre 1873 - Verona, 4 dicembre 1954
È il 1900. In una nebbiosa sera di novembre, Giovanni Calabria, giovane studente veronese di teologia, scorge un mucchietto di stracci in un anfratto del portone: è un piccolo zingarello costretto a elemosinare e portare ogni giorno una certa somma per sfuggire a botte e soprusi; non sapendo dove altro rifugiarsi, cerca - come può - di difendersi dal freddo. È un disperato come tanti, uno di quelli per cui non esiste la parola futuro. Giovanni lo porta nella sua casa e lo affida alla madre, abituata a condividere la generosità del figlio. Quella notte non riesce però a prendere sonno, e gli nasce l'idea di pregare, ma soprattutto di lottare per opporsi a ingiustizie come questa. Lo farà per oltre 50 anni, promuovendo tramite la fondazione dell'Opera Don Calabria, attività di assistenza presenti in ben 12 nazioni e 4 continenti. Nato l'8 ottobre 1873 e ordinato sacerdote nel 1901, Giovanni Calabria morirà il 4 dicembre 1954, a 81 anni.
Etimologia: Giovanni = il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: A Verona, san Giovanni Calabria, sacerdote, che fondò la Congregazione dei Poveri Servi e delle Povere Serve della Divina Provvidenza.
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Certi signori della San Vincenzo, entrando a casa sua, si prendevano la libertà di andare a sollevare i coperchi per controllare “cosa bolliva in pentola” e rimproveravano suo papà perché fumava, come se da quel vizio dipendesse la rovina della famiglia. C’è, in questo suo ricordo, tutto lo spessore della povertà in cui è nato e cresciuto, perché papà, con il lavoro da ciabattino, non riesce a procurar pane per tutti e neppure mamma, anche se si sfianca come lavandaia e stiratrice. La situazione si aggrava con la morte prematura di papà e allora deve cercarsi un lavoro, ma la famiglia è sul lastrico, sfrattata e ospitata per pura carità. Mamma è soprattutto preoccupata per quel suo ragazzo, che non riesce a trovare un lavoro adatto a lui: vuole farsi prete, è troppo sognatore e idealista, combina pasticci in ogni attività che intraprende, tanto da venir sempre licenziato dopo qualche mese.
È un prete di Verona, don Scapini, a dargli credito e ad impegnarsi a prepararlo privatamente per farlo entrare in seminario. E ci riesce, a dimostrazione che quel ragazzo tonto non è, anche se pesano sul suo bagaglio culturale le tante lacune di studi non fatti e nozioni mai acquisite. Così anche in seminario non entusiasma nessuno perché, se pur da tutti riconosciuto come buono, devoto e sensibile, resta come ostacolo insormontabile la sua scarsa preparazione. Ci si domanda se sia o meno opportuno fargli indossare la talare ed iniziare gli studi teologici e, per prendere tempo, lo mandano a fare il servizio militare. Con la divisa addosso non si smentisce: impacciato con le armi, maldestro nelle esercitazioni, del tutto inadeguato a dare ordini e farsi ubbidire, ne scoprono invece tutta la delicatezza e la sensibilità nel curare e consolare soprattutto sifilitici ed infettivi. La partita sulla sua ordinazione si riapre con il rientro in seminario, con i detrattori che continuano a rimarcare le sue lacune e con i “fans” (in primis il solito don Scapini) che ne esaltano le doti e le qualità. Sono questi ultimi, alla fine, ad avere la meglio e arriva al sacerdozio alla soglia dei 28 anni, l’11 agosto 1901.
L’episodio che orienta decisamente la sua vita sui binari della carità ha come protagonista, esattamente come per don Bosco, un bambino, uno zingarello scappato ai suoi padroni, che egli accoglie in casa sua, affidandolo alle cure di sua mamma. Dopo questo, tanti altri, strappati alla strada e ad una vita di miseria, e che sono il più delle volte un concentrato di monelleria al limite della delinquenza, anche se li chiama “Buoni fanciulli” e per loro nel 1907, apre la prima istituzione, perché in casa sua non ci stanno più tutti. Cominciano a piovere commenti per niente lusinghieri e giudizi non propriamente benevoli, soprattutto da parte di confratelli, che definiscono pazzia bella e buona questa sua sollecitudine per i poveri. Così come sono malevoli i commenti sulla sua nomina a confessore dei chierici, voluta dal vescovo, al quale non è sfuggito come la gente stia assediando il suo confessionale per cercare assoluzione e consiglio, evidentemente fiutando in lui quella santità sacerdotale, che al Popolo di Dio di norma non sfugge mai.
Nascono così i “Poveri Servi della Divina Provvidenza”, seguiti qualche anno dopo dal ramo femminile, tutti chiamati a “mostrare al mondo che la divina Provvidenza esiste, che Dio non è straniero, ma che è Padre, e pensa a noi”. Li vuole attivi nelle zone più povere, "dove nulla c'è umanamente da ripromettersi” ed indica come loro tesori “le creature abbandonate, reiette, disprezzate: vecchi, malati, peccatori”, avendo come obiettivo principale di “ravvivare nel mondo la fede e la fiducia in Dio, Padre di tutti gli uomini, mediante l’abbandono totale nella sua divina Provvidenza per tutto ciò che riguarda le cose necessarie alla vita”. Pur insegnando ai suoi figli che “la prima Provvidenza è la testa sul collo”, li sprona e li incoraggia: “Urge il ritorno pratico alle pure sorgenti del Vangelo… O si crede, o non si crede; se non si crede, si stracci il Vangelo”.
Una frangia dei suoi figli non gli risparmia amarezze e delusioni, anche mediante un ricorso in Vaticano che provoca una “visita apostolica” durata ben 12 anni. Il 3 dicembre 1954 compie il suo ultimo gesto di carità, offrendo la sua vita al Signore per il papa Pio XII, agonizzante. Muore il giorno successivo, mentre il Papa, misteriosamente e improvvisamente, ricupera la salute, vivendo in piena efficienza per altri quattro anni. Don Giovanni Calabria è stato beatificato nel 1988 e canonizzato il 18 aprile 1999.
Autore: Gianpiero Pettiti
Note:
La sua memoria è celebrata a Verona, sua diocesi di origine e dove visse gran parte della vita, l'8 ottobre.
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