Arcidiacono della Chiesa catanese, nel febbraio 593 fu designato alla sede di Siracusa da san Gregorio Magno, ansioso di dare un degno successore a san Massimiano, ch’era stato suo precettore nella vita monastica e successivamente suo vicario in Sicilia. Nell’ottobre dello stesso anno il pontefice concesse a Giovanni l’uso del pallio, che tuttavia in quel tempo non era ancora privilegio dei metropoliti, e scrisse al suo rettore, Cipriano, affinché con amabili maniere inducesse Leone, vescovo di Catania, a cedere a Giovanni un sacerdote, che gli fosse di sollievo e di aiuto nel governo della sua Chiesa.
Giovanni fu veramente emulo di san Massimiano e san Gregorio intrattenne con lui rapporti affettuosi, di cui sono testimonianza le moltissime lettere che gli indirizzò.
Alcuni in Sicilia, a proposito di certe usanze introdotte nella riforma liturgica promossa da san Gregorio e credute novità, mormoravano contro di lui quasi volesse abbandonare le tradizioni romane per seguire quelle greche. Il santo pontefice non disdegnò di giustificarsi e incaricò Giovanni di spiegare, a Catania o a Siracusa, dove alternativamente ogni anno si teneva il concilio dell’isola, che le asserite novità altro non erano die antichi riti ripristinati, astraendo dalle consuetudini dei greci.
Per effetto della fervida opera di san Gregorio, alla Sicilia, come nota il Pace, «né prima né poi toccò tanta partecipazione ai negozi della Chiesa universale cui, in meno di cento anni [fra il VII e l’VIII secolo] diede cinque pontefici».
San Gregorio prescelse Giovanni per molteplici incarichi in cui rifulse per prudenza, equità e dottrina. Gli affidò di reggere il patrimonio della Chiesa romana, nella provincia siracusana, che abbracciava allora metà della Sicilia, tagliata trasversalmente dal corso dei due fiumi Imera: l’uno che sboccava nel Tirreno preso l’attuale Termini Imerese, l’altro, corrispondente al Salso, che sfocia nel Mediterraneo presso Licata.
A lui e all’ex console Leonzio, pretore dell’isola, rimise per la decisione una lite tra Domenziano, metropolita dell’Armenia, tutore dei figli dell’imperatore Maurizio, e Decio, vescovo di Lilibeo «perché sono sicuro della santità e sollecitudine di Giovanni, e quando egli giudica, né alcuno può essere ingannato, né la Chiesa aver pregiudizio». Furono parimenti affidati al vescovo di Siracusa i casi delicati di Cremenzio, primate dell’Africa Bizacena e di Lucilio, vescovo di Malta. L’espletamento di affari di tanta fiducia e le lodi uscite dalla penna di un tanto uomo, qual era san Gregorio, il quale arriva a scrivere: «postquam fratrem Ioannem vidistis, in eo et nos vidisse credimus» mostrano bene qual dovesse essere il nostro santo.
Si spiega quindi come il biografo di san Zosimo, che fu anch’egli vescovo di Siracusa, narrando dei lume profetico col quale Giovanni scelse l’ostiario Zosimo ad abate del monastero di santa Lucia, dica che egli «era uomo venerando per la sua santità, singolare per la sua virtù, in grandissima fama per il dono delle profezie e celebrato con ogni elogio».
Secondo il Pirro, Giovanni si addormentò nel Signore circa il 609. La Chiesa siracusana lo ricorda il 23 ottobre.
Una bolla plumbea di Giovanni venne riconosciuta da E. Stevenson nel Museo del camposanto teutonico in Roma, scritta in più righe da ambo i lati.
Autore: Ottavio Garan
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