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Sant' Uberto di Tongeren-Maastricht Vescovo
Festa:
30 maggio
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Regione delle Ardenne (?), ca. 685 - Tervuren (Belgio), 30 maggio 727
Nobile di nascita, discepolo di San Lamberto, Uberto ne raccolse l'eredità episcopale guidando la diocesi verso una nuova fase di evangelizzazione. La sua predicazione si snodò tra boschi e genti selvagge, ancora lontane dalla luce della fede. Fondamentale fu il trasferimento della sede vescovile a Liegi, centro nevralgico della sua azione pastorale. La leggenda più nota narra della visione mistica di un cervo con una croce luminosa tra le corna, evento che segnò la sua conversione e l'adozione del cervo come suo simbolo. Uberto si dedicò con instancabile zelo alla sua missione, consacrando chiese e peregrinando per le terre della diocesi. Morì nel 727.
Patronato: Cacciatori, Fonditori, Cani
Etimologia: Uberto = spirito brillante, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale, Libro, Cervo, Cane
Martirologio Romano: A Tervueren sempre nel Brabante in Austrasia, transito di sant’Uberto, vescovo di Tongeren e Maastricht, che, discepolo e successore di san Lamberto, si adoperò con tutte le forze per diffondere il Vangelo nel Brabante e nelle Ardenne, dove estirpò i costumi pagani.
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Il suo nome fa subito venire in mente la leggenda del cervo che gli sarebbe apparso, con un crocifisso splendente sul capo, mentre egli cacciava nei boschi delle Ardenne, in un giorno di raccoglimento: un Venerdì santo. Leggenda, e nemmeno esclusiva, perché cose simili si raccontano di altri santi. Su di lui le notizie certe scarseggiano. Sappiamo che era di famiglia nobile e che fu discepolo di san Lamberto vescovo di Tongres (Belgio), il quale trasferì poi la sua sede a Maastricht (Olanda).
Lamberto lo ordinò sacerdote, e morì tragicamente – forse per una vendetta – ai primi dell’VIII secolo. A succedergli fu chiamato appunto Uberto, che ricevette la consacrazione episcopale a Roma dal papa Sergio I. Questo, non più tardi del 701, perché in quell’anno papa Sergio morì, in settembre. La sua allora era una diocesi di boschi e di gente dei boschi, in parte ancora lontana dal cristianesimo, sicché egli dovette dedicarsi soprattutto alla predicazione. Nel dicembre del 717-718 fece portare il corpo del predecessore Lamberto da Maastricht a Liegi, dov’era stato ucciso e dove ebbe definitiva sepoltura. Nel 722 trasferì a Liegi anche la sede vescovile.
Dopodiché, per anni, ci sono soltanto narrazioni postume e fantasiose. Di certo sappiamo che anche da vescovo Uberto andava a pescare: e che un giorno, trafficando con un amo, si ferì a una mano. Secondo un’altra leggenda, in quel momento una voce dall’alto gli preannunciò la morte vicina. Dopo l’incidente – che deve avere avuto sviluppi infettivi – Uberto dà disposizione di essere seppellito a Liegi. Ma non interrompe la sua attività, e nel maggio 737 consacra una nuova chiesa vicino a Lovanio. Poi crolla. Il male si è aggravato, e lui muore sei giorni dopo quel rito, a Tervuren (una ventina di km da Lovanio). Sepolto in San Pietro a Liegi, è presto venerato come santo in Belgio e Olanda, poi anche in Francia e in Germania. Sedici anni dopo la morte (3 novembre 743) il suo corpo viene trasferito davanti all’altar maggiore della chiesa di San Pietro, e per l’evento è accorso a Liegi addirittura Carlomanno, Maestro di Palazzo, e in sostanza padrone del regno franco: un altro segno di questa diffusa venerazione e del suo “peso” anche politico. Intanto si diffondono leggende sulla sua vita, e lungo il tempo nasceranno confraternite intitolate al suo nome; in Germania, l’Ordine cavalleresco di Sant’Uberto durerà fino al 1918.
Nell’825 i resti del santo vengono portati in un’abbazia benedettina delle Ardenne, che prenderà il suo nome, e vi resteranno fino alle devastazioni e incendi della rivolta dei Gueux (“pezzenti”) nel 1568, scomparendo nel saccheggio del monastero. I cacciatori lo hanno proclamato loro patrono, e così i fonditori e lavoratori di metalli e i pellicciai. Già nel IX secolo la festa di Sant’Uberto si celebrava il 3 novembre, e a questa data lo ricorda il Martirologio romano.
Autore: Domenico Agasso
Fonte:
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