Una terra... una famiglia
"C'era una volta, e ancora c'è, con volto nuovo, un villaggio chiamato Pozzaglia, nei colli della Sabina... e c'era là una casa o benedetta, nido pieno di voci infantili, tra le quali, quella di Oliva, chiamata poi Livia, che cambierà il nome domestico in quello religioso di Agostina... ".
La breve vita di Suor Agostina, che ha ispirato a Paolo VI, il Papa della sua beatificazione nel 1972, accenti di straordinaria poesia per tracciarne il percorso, prende avvio e si dipana così: " semplice, limpida, pura, amorosa... e alla fine... dolorosa e tragica... anzi... simbolica ".
27 marzo 1864. Nel piccolo paese di Pozzaglia Sabina, 800 metri di altitudine, nella bella zona geografica tra Rieti, Orvinio, Tivoli, nasce e viene battezzata Livia: seconda di 11 figli! Francesco Pietrantoni e Caterina Costantini, i genitori, piccoli agricoltori, lavorano la loro terra e qualche appezzamento in affitto. L'infanzia e la giovinezza di Livia respirano i valori della famiglia onesta, laboriosa, religiosa, e sono segnati soprattutto dalla saggezza di nonno Domenico, vera icona patriarcale nella casa benedetta, dove "tutti badavano a fare bene e si pregava spesso... ".
A quattro anni, Livia riceve il sacramento della Cresima e intorno al 1876 fa la sua prima comunione, con una consapevolezza certamente straordinaria a giudicare dalla sua vita successiva di preghiera, di generosità, di donazione. Presto impara da mamma Caterina le attenzioni e i gesti della maternità che esprime con dolcezza tra i numerosi fratellini, nella grande famiglia, dove tutti sembrano avere diritto al suo tempo e al suo aiuto. Lavora nei campi e si prende cura degli animali... Conosce perciò poco i giochi e... la scuola, eppure riesce a trarre un grande profitto dalla sua irregolare frequenza, tanto da meritare, dalle sue compagne, il titolo di " professora".
Lavoro e... fierezza
A sette anni inizia a " lavorare ", con altri bambini, trasportando a migliaia, secchi di ghiaia e sabbia per la costruzione della strada Orvinio-Poggio Moiano. A dodici, parte con le altre giovanette " stagionali " che nei mesi invernali si recano a Tivoli, per la raccolta delle olive. Livia, precocemente saggia, assume la responsabilità morale e religiosa delle giovani compagne, le sostiene nella durezza del lavoro, lontano dalla famiglia e dal paese, tiene testa con fierezza e coraggio a " caporali " prepotenti e senza scrupoli.
Vocazione e distacco
Livia è una ragazza piacevole per la saggezza, il senso dell'altro, la generosità, la bellezza... e diversi giovani, in paese, hanno gli occhi su di lei. A mamma Caterina non sfuggono gli sguardi di ammirazione e sogna una buona collocazione per la figlia. Ma Livia cosa pensa? Quale segreto custodisce? Perché non sceglie? Perché non decide? "Livia... fatta audace dalla voce che parla dentro, la vocazione, si arrende: Cristo sarà l'amore, Cristo lo Sposo... ". La sua ricerca si orienta verso una vita di sacrificio. A chi, in famiglia e nel paese, vuole distoglierla dalla sua decisione, definendola una fuga dalla fatica, Livia risponde " Voglio scegliere una congregazione dove c'è lavoro per il giorno e la notte " e tutti sono certi dell'autenticità di queste parole. Un primo viaggio a Roma, in compagnia dello zio fra Matteo, si conclude con una delusione cocente: il rifiuto di accoglierla. Qualche mese dopo però, la Superiora generale delle Suore della Carità di S. Giovanna Antida Thouret, la Madre Giuseppina Bocquin, le fa sapere che l'aspetta nella Casa generalizia di Via S. Maria in Cosmedin. Livia avverte che questa volta l'addio è per sempre. Con emozione saluta i paesani, ogni angolo del villaggio, i luoghi di preghiera: la Parrocchia, la Madonna della Rifolta; abbraccia i suoi famigliari; in ginocchio riceve la benedizione di nonno Domenico, " bacia la porta della sua casa, vi traccia un segno di croce, e corre via".
Formazione e servizio
23 marzo 1886. Livia ha 22 anni, quando arriva a Roma, via S. Maria in Cosmedin. Alcuni mesi di Postulato e di Noviziato bastano per provare che la giovane ha la stoffa della Suora della Carità, cioè della " serva dei poveri ", secondo la tradizione di S. Vincenzo de' Paoli e di S. Giovanna Antida. Livia porta infatti in convento, dall'eredità famigliare, un materiale umano particolarmente solido, che offre ogni garanzia. Quando veste l'abito religioso e le viene imposto il nuovo nome di Suor Agostina, si accorge che dovrà essere lei ad incarnare una santa con tale nome: non le risulta infatti una Santa Agostina!
Inviata all'ospedale S. Spirito, glorioso per la sua storia di 700 anni e definito " il ginnasio della carità cristiana ", Suor Agostina aggiunge il suo contributo personale sulle orme dei santi che l'hanno preceduta tra i quali Carlo Borromeo, Giuseppe Calasanzio, Giovanni Bosco, Camillo De Lellis... e in quel luogo di dolore esprime la carità fino all'eroismo.
Silenzio, preghiera e bontà
Il clima in ospedale è ostile alla religione: la questione romana avvelena gli animi: vengono cacciati i Padri Cappuccini, viene bandito il Crocifisso e ogni altro segno religioso... Si vorrebbero allontanare anche le Suore, ma si teme l'impopolarità: a loro si rende la vita " impossibile " ed è proibito parlare di Dio. Suor Agostina però, non ha bisogno della bocca per " gridare Dio " e nessun bavaglio può impedire alla sua vita di annunciare il Vangelo! Il suo servizio, prima nel reparto dei bambini e, dopo il contagio mortale, da cui miracolosamente guarisce, nella corsia di disperazione e di morte dei tubercolosi, esprime la sua totale dedizione e la sua straordinaria attenzione ad ogni paziente, soprattutto ai più difficili, violenti e osceni, come il " Romanelli ".
In segreto, in un piccolo angolo nascosto, ha trovato un posto alla Vergine Maria perchè rimanga nell'ospedale; a lei affida i suoi " raccomandati " e le promette altre veglie, maggiori sacrifici, per ottenere la grazia della conversione per i più ostinati. Quante volte le ha presentato Giuseppe Romanelli? È il peggiore di tutti, il più volgare ed insolente, soprattutto con Suor Agostina che moltiplica, a suo riguardo, le attenzioni ed accoglie con grande bontà la mamma cieca quando viene a visitarlo. Da lui ci si può aspettare di tutto, tutti ne sono infastiditi. Quando, dopo un'ennesima bravata a danno delle donne della lavanderia, il Direttore lo espelle dall'ospedale, la sua rabbia vuole trovare un bersaglio e la inerme Suor Agostina è la vittima designata. " Ti ucciderò con le mie mani! ", " Suor Agostina, non hai più che un mese da vivere! " sono le minacciose espressioni che le fa giungere a più riprese, attraverso biglietti.
Romanelli non scherza affatto, ma neppure Suor Agostina fissa limiti alla sua generosità per il Signore... È pronta a pagare perciò, con la sua vita, il prezzo dell'amore, senza fughe, senza accuse... Quando il Romanelli, la sorprende e la colpisce crudelmente, senza scampo, quel 13 novembre 1894, dalle sue labbra escono solo l'invocazione alla Vergine e le parole del perdono.
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