Di nobile famiglia romana, ebbe importanti mansioni nella corte pontificia, ed era diacono sotto il pontificato di papa Stefano III (768-772); alla morte del papa, fu eletto a succedergli il 9 febbraio del 772 con vote unanime. 95° successore di s. Pietro, Adriano I fu una personalità indiscutibilmente multiforme, sul quale proprio per questo, sono stati espressi giudizi storici discordanti. Il suo pontificato, si svolse nel periodo storico dell’affermarsi del potere di Carlo Magno (742-814) e del tramonto del potere longobardo su Roma e l’Italia, durato oltre due secoli. La sua fu una politica comportante alleanze, condanne, richieste di aiuti militari, capacità di adattamento con notevole abilità, alle situazioni contingenti e soprattutto è da considerasi tra i fondatori del dominio temporale della Chiesa. Il primo atto del suo pontificato, fu quello di richiamare a Roma tutti i seguaci del partito filofranco, mandati in esilio dopo l’uccisione del loro capo il primicerio Cristoforo e di suo figlio Sergio, da parte di Paolo Afiarta, rappresentante longobardo a Roma, al tempo di papa Stefano III. Con questa disposizione, fu chiara la sua intenzione di mantenere in piedi la politica d’intesa con i Franchi, nel contempo, quando i legati di Desiderio († 774) ultimo re dei Longobardi, si presentarono per porgergli le congratulazioni del sovrano per la sua elezione, Adriano fece le sue rimostranze esigendo l’immediata restituzione dei territori di S. Pietro da loro occupati. Desiderio si rese subito conto che era inutile insistere per un’alleanza col papa e dopo il rifiuto di Adriano di incoronare la vedova Gerberga sua sorella ed i suoi figli, quali eredi del regno del defunto Carlomanno, fratello di Carlo Magno e da questi incamerato, Desiderio si mosse da Pavia occupando il ducato di Ferrara e mettendo sotto assedio Ravenna che chiese aiuto al papa. Per cercare di convincere il sovrano longobardo a desistere dall’assedio, il papa mandò proprio Paolo Afiarta come ambasciatore; ma agendo d’astuzia, dopo la sua partenza imbastì un processo contro di lui, per la morte di Cristoforo e Sergio, dove venne condannato all’esilio; ma l’arcivescovo di Ravenna Leone, incaricato di arrestarlo ed esiliarlo andò oltre, lo fermò a Rimini e lo fece condannare e giustiziare dai magistrati di Ravenna. Con la riabilitazione della memoria di Cristoforo e Sergio, riesumati e sepolti con onore in S. Pietro, portò a Roma l’affermazione del partito filofranco e l’ascesa di conseguenza, della nobile famiglia di Adriano I, che possedeva un palazzo in via Lata; ad uno zio Teodato ed ai nipoti Teodoro e Pasquale, furono affidate le più alte cariche amministrative e giuridiche, gettando così le basi di quella piaga del nepotismo, che avrebbe caratterizzato la lunga storia dello Stato Pontificio. Con Adriano I, la trasformazione del papato, dal suo originale carattere spirituale a quello politico, comportò anche questa nota negativa, come in tutte le monarchie che intesero il potere come un fatto di famiglia. Desiderio reagì occupando Montefeltro, Senigallia, Urbino, Gubbio e ignorando l’abate ed i monaci di Farfa, che supplicavano di non danneggiare S. Pietro, minacciò di marciare su Roma; si fermò solo quando i vescovi di Albano, Preneste e Tivoli, inviati dal papa, lo ammonirono a non entrare nel confine del ducato romano pena la scomunica. Nel frattempo papa Adriano I chiese aiuto al re franco Carlo Magno, raccontando che Desiderio non voleva restituire i territori pontifici occupati, ma anzi ne aveva occupati altri; in più riferì delle pretese di Gerberga e dei suoi figli sul regno franco. Carlo inviò una delegazione per rendersi conto della realtà e una volta assodato che Desiderio aveva affermato a lui il falso, dicendo di aver restituito i territori e visto nulli i tentativi di conciliazione, riunì a Ginevra il comitato dei dodici Pari (i leggendari Paladini di Francia) e fu decisa l’inevitabile guerra. Nel settembre 773, Carlo Magno scese con il suo esercito fino a Torino, dove Desiderio accampato nei dintorni di Susa, non poté opporre resistenza e quindi si ritirò nella fortezza di Pavia che fu cinta d’assedio; dopo aver sconfitto in campo aperto le truppe di Adalgiso, alleato di Desiderio, provenienti da Verona, Carlo Magno decise di celebrare a Roma la Pasqua, insieme alla moglie Ildegarda e i suoi figli fatti venire dalla Francia, visto che l’assedio a Pavia andava per le lunghe. Arrivò a Roma il 2 aprile 774, sabato santo, accolto dalle autorità romane e da una folla enorme, che agitando ramoscelli di palma e d’olivo, gridava gli onori al ‘patricius Romanorum’. Carlo poi a piedi, attorniato dai Paladini, fece l’ultimo tratto di strada fino alla basilica di S. Pietro, accolto nell’atrio da papa Adriano I, che abbracciatolo entrò con lui in chiesa tenendosi per mano. Le cerimonie religiose e devozionali, estese da S. Pietro, per desiderio del re alle Sette Chiese, continuarono fino al 6 aprile; quando in S. Pietro si ebbero i colloqui politici, scaturiti poi nella solenne firma della “Donazione di Carlo Magno”, andata poi perduta, dove il re franco concedeva la sovranità papale su quasi tutta l’Italia. Ma in realtà, lasciata Roma e concluso l’assedio di Pavia, con Desiderio e sua moglie prigionieri in Francia, determinando così la fine del secolare regno longobardo in Italia, Carlo Magno occupò egli stesso il trono vuoto, cingendo il 10 luglio 774 a Pavia la corona ferrea, prendendo il titolo di “Re dei Franchi e Longobardi” e il titolo di “patricius Romanorum”, prendendo anche le prerogative che un tempo erano state proprie dell’esarca di Ravenna. Si instaurò così una situazione di supremazia di fronte al papa ed al giovane Stato Pontificio, soggetto per la sua realizzazione, alla lentissima donazione di Carlo . In effetti, egli dopo la capitolazione dei Longobardi, non riteneva più logico l’allargamento delle terre pontificie; Adriano in una serie di lettere, che denotano umiliazione e accondiscendenza, scritte in continuazione a Carlo, chiedeva l’adempimento della promessa. In dette lettere, l’accrescimento del potere temporale, era definito come “elevazione della Chiesa”; e le brame o le necessità del tempo di un maggior potere, “erano poste in nome del santo apostolo Pietro, che in vita non aveva voluto possedere ricchezza alcuna e che, da morto, non aveva più conosciuto né tanto meno desiderato, le cose terrene” (Gregorovius Ferdinand, Storia della città di Roma nel Medioevo). Intanto Adriano I veniva assillato dai problemi derivanti dal governo di mezza Italia; la ribellione al papa di Spoleto, che riconosceva la supremazia di Carlo Magno; l’arcivescovo Leone di Ravenna che scacciò vari funzionari pontifici dalle città dell’esarcato, mettendo i suoi, intendendo creare uno Stato episcopale ravennate, in nome di S. Apollinare patrono della città; inoltre il duca longobardo Arichi di Benevento, sobillava le città della Campania a ribellarsi contro il papa e il duca longobardo Reginaldo di Chiusi s’impossessò di Città di Castello e di altre zone della Tuscia. Papa Adriano tempestò di lettere anche mielose, chiedendo l’intervento di Carlo Magno, che alla fine travolto si può dire, dalle quotidiane missive, decise di tornare a Roma nella Pasqua del 781, dopo ultimata la guerra di Spagna. Durante il pontificato di Adriano I ebbe luogo il VII Concilio Ecumenico, il II a Nicea, del settembre 787, indetto dall’imperatrice d’Oriente Irene e da suo figlio Costantino VI, in cui si condannò l’iconoclastia, approvando la venerazione delle immagini; si ripristinò così l’unità tra Roma e la Chiesa d’Oriente, minata dal movimento iconoclasta propugnato dall’imperatore Leone III Isaurico. Al Concilio parteciparono anche dei delegati pontifici; ma la cosa non garbò a Carlo Magno, offeso per non essere stato invitato, lui il più potente sovrano d’Occidente; gli Atti del Concilio, pervenuti in Francia in una cattiva traduzione dal greco, dove il termine ‘venerazione’ era detto ‘adorazione’, sollevarono aspre critiche da parte della corte e dell’episcopato franco (Libri carolini e Sinodo di Francoforte del 794). Alternando contrasti ideologici e dottrinari, tendendo a ribadire la supremazia del papa, contro le ingerenze nel campo ecclesiastico di Carlo Magno e le avventurose vicende del ducato di Benevento, reclamato invano da Adriano I, con lotte tra i Franchi, i duchi longobardi e la corte Bizantina, trascorrevano intanto gli anni del suo lungo pontificato. Si occupò nonostante tutto, efficacemente delle condizioni sociali del ducato romano, interessandosi degli abitanti e rinnovando la città di Roma, abbellendola di opere d’arte, restaurò gli antichi acquedotti, per una distribuzione più razionale dell’acqua; rinnovò le mura che ebbero di nuovo le fortificazioni di un tempo, ristrutturò gli argini del Tevere dopo l’inondazione del 791. Con lui Roma cominciò ad assumere quell’immagine monumentale di città cristiana, che avrebbe gradatamente sostituito quella pagana. Impreziosì di lavori artistici ed architettonici, la basilica di S. Pietro, S. Giovanni in Laterano, S. Giovanni a Porta Latina, S. Maria in Schola Graeca (S. Maria in Cosmedin). Un lato non tanto conosciuto della sua personalità, fu la grandiosa opera di carità che Adriano aveva istituito con un vero e proprio refettorio per i poveri; il cibo proveniva dai prodotti della fattoria di Capracorum, nella zona di Veio, di proprietà della sua famiglia; fattoria che come tante altre erano affidate a coloni, per un ripopolamento della zona soggetta alla malaria. Papa Adriano I, del quale non è riportata la data della nascita, dopo 23 anni di pontificato, tanti per quell’epoca, morì il 25 dicembre del 795 e sepolto in S. Pietro; sulla sua tomba fu applicata una lastra di marmo inviata da Carlo Magno, con incisa a lettere d’oro un’iscrizione composta dal monaco Alcuino; lastra tuttora visibile posta sulla parete dell’atrio della Basilica di S. Pietro. I rapporti tra il papato e Carlo Magno, saranno poi cementati con l’incoronazione ad “Imperatore del Sacro Romano Impero” del re franco, sotto il pontificato del suo successore Leone III nel Natale dell’800.
Autore: Antonio Borrelli
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