Giovanni Battista Pamphili, originario di Gubbio e nativo di Roma, era figlio cadetto di una nobile famiglia legata al governo dello Stato Pontificio: educato dai Gesuiti, seguì gli studi di diritto sotto la guida dello zio, il cardinal Girolamo Pamphili, amico di san Filippo Neri e decano della Sacra Rota.
Nel 1604 anche il giovane sacerdote entrò come uditore nel Tribunale romano: ferreo nella disciplina, sollecito nel lavoro, era però incerto nelle decisione e insicuro di carattere. Tuttavia, nel 1621 fu nominato nunzio apostolico per il Regno di Napoli e poi in Spagna, nonché Patriarca di Antiochia. Nel 1627, Urbano VIII lo proclamò cardinale ed alla morte del pontefice nel 1644 ascese al Soglio petrino col nome di Innocenzo X.
Appena eletto, si trovò a fare da arbitro tra i vari Stati europei: il Portogallo aveva appena dichiarato l’indipendenza dalla Spagna, ma il Papa si rifiutò di riconoscerla poiché avvenuta in seguito a fatti di sangue; nel frattempo, inviò armi e denari nell’Irlanda cattolica per combattere gli scozzesi protestanti che l’avevano invasa nel 1642. Finanziò anche la Repubblica di Venezia per respingere i Turchi che avevano conquistato Creta, e cercò di ostacolare la Francia di Mazzarino nella sua politica autonomistica dalla Chiesa di Roma.
Una buona notizia arrivò dalla Westfalia, regione tedesca dove nel 1648 venne firmata la pace tra i Paesi europei a conclusione della guerra dei Trent’anni, che aveva dilaniato il Vecchio Continente e di cui il papa aveva incessantemente invocato la fine anche attraverso la mediazione pratica. Ma la gioia di Innocenzo X fu subito spenta quando venne approvato il principio cuius regio, eius religio: i sudditi di ogni regno avrebbero dovuto professare la religione del loro principe, il che poneva tutte le confessioni – cattolicesimo, calvinismo, luteranesimo – sullo stesso piano. Ciò fu inaccettabile per il pontefice, che si scagliò contro questa decisione per assicurare la salvezza alle anime, possibile solo con la fede nel Cristo risorto: ma rimase inascoltato.
In Italia, il suo amore per l’arte lo portò a fare di Roma l’apogeo del Barocco, complice la presenza nell’Urbe dei più grandi artisti del Seicento, Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini. A quest’ultimo confermò il progetto della Chiesa di Sant’Ivo nel complesso universitario della Sapienza, che con la sua insolita, simbolica forma e le sue mirabolanti volute testimonia l’abilità dell’architetto ticinese.
Contemporaneamente, Borromini restaurò San Giovanni in Laterano, dove racchiuse le vecchie colonne in nuovi pilastri, realizzò camere di luce per illuminare al massimo gli spazi architettonici e li arricchì di eleganti fregi e ornamenti marmorei; dal 1644 lavorò anche al completamento del Palazzo di Propaganda Fide in cui realizzò la Cappella dei Magi.
Al suo rivale, Gian Lorenzo Bernini, Innocenzo X commissionò nel 1653 la costruzione di Palazzo Montecitorio, oggi sede della Camera dei Deputati, e sotto la sua protezione lo scultore portò a compimento la spettacolare Estasi di Santa Teresa, opera magistrale della cappella Cornaro.
Nel 1650, Innocenzo X celebrò l’Anno Santo che vide la presenza di quasi un milione di pellegrini, numerose conversioni e cerimonie insuperabili per fasto e magnificenza: per l’occasione, lo scultore Alessandro Algardi scoprì la pala con l’altorilievo raffigurante Attila fermato da Leone I nel 452.
Instancabile mecenate, protesse il pittore spagnolo Diego Velazquez, che realizzò nell’Anno giubilare il suo celebre ritratto, Pietro da Cortona, Francesco Allegrini, Gaspard Dughet, i quali affrescarono il sublime Palazzo Pamphili fatto edificare dal papa a seguito dell’elezione. Qui Innocenzo X istituì la Galleria che porta il nome della sua famiglia ed ospita opere dei maggiori artisti barocchi.
Capolavoro da lui voluto fu la totale ricostruzione di Piazza Navona così come possiamo ammirarla oggi: al centro fece posizionare l’Obelisco agonale – così chiamato perché in epoca romana la piazza era sede dello Stadio di Domiziano – che venne circondato dalla Fontana dei Fiumi opera del Bernini. Arricchita di due stemmi pontifici e di figure di piante e animali, la fontana rappresenta le allegorie del Nilo, del Danubio, del Gange e del Rio della Plata, i fiumi principali dei quattro continenti allora conosciuti: un’idea di vera universalità romana. Si narra che all’inaugurazione, nel 1651, tutti rimasero stupefatti e lo stesso Innocenzo X esclamò: «Cavalier Bernini, con questa vostra piacevolezza ci avete accresciuto di 10 anni di vita!».
Fu però al Borromini che il papa affidò l’ultima creazione: la chiesa di Sant’Agnese in Agone nella Piazza dove, dopo la morte nel 1655, le sue spoglie trovarono posto in un maestoso sepolcro.
Autore: Lorenzo Benedetti
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Corrispondenza Romana
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