Come in tutte le storie umane, ci furono luci ed ombre sul suo pontificato, ma fra le luci risplendono senz’altro, le opere fatte eseguire dal grande Lorenzo Bernini, come il maestoso colonnato di Piazza S. Pietro, la “Cathedra Petri” nella Basilica Vaticana, la ‘Scala Regia’, a cui si aggiunse lo splendido monumento funebre, realizzato dopo la sua morte nella Basilica di S. Pietro, da un Bernini ormai vecchio. Fabio Chigi nacque a Siena il 13 febbraio 1599 da Flavio Chigi e Laura Marsili, appartenenti alla celebre famiglia di banchieri senesi. Frequentò l’Università di Siena, completando un corso quinquennale di filosofia e scienze giuridiche e un corso quadriennale di teologia, e nel 1626 conseguì la laurea in teologia. Proseguì a Roma come uditore altri studi; ordinato sacerdote, nel 1629 entrò nella prelatura romana, diventando referendario del Collegio di Grazia e Giustizia. Ebbe poi gli incarichi di vicelegato a Ferrara e come Visitatore Apostolico a Malta; fu vescovo a Nardò (1635-1639); dal 1639 al 1651 fu Nunzio Apostolico a Colonia in Germania; rappresentò la Santa Sede al Congresso di pace di Münster (1643), che mise fine alla Guerra dei Trent’anni, ma si rifiutò di firmare i protocolli finali di Westfalia (1648), in quanto contrari agli interessi della Chiesa; provocando così l’inimicizia del potente ministro francese, cardinale Giulio Mazarino (1602-1661) successore del Richelieu. Nell’ottobre 1651, dopo dodici anni in Germania, papa Innocenzo X lo richiamò a Roma, dandogli l’importante carica di Segretario di Stato, al posto del defunto card. Panciroli e nel febbraio 1652 lo nominò cardinale. Il 7 gennaio 1655, morì dopo lunga agonia, papa Innocenzo X, ne seguì un inconsueto conclave, per l’assenza di cardinali nipoti del defunto papa, capaci di controllare l’elezione; la maggioranza dei cardinali votanti si sentiva più libera di decidere secondo coscienza e per fini puramente religiosi, respingendo la solita influenza degli Stati stranieri. Ma in realtà non fu così; c’era la candidatura del card. Giulio Sacchetti, già bocciato nel precedente conclave, appoggiato dal governo francese di Mazarino, ma con il veto della Spagna; l’ex Segretario di Stato Fabio Chigi, aveva invece il veto dei francesi, contrari già dal tempo di Westfalia. Le trattative andarono avanti per ottanta giorni, finché il Sacchetti personalmente, convinse il ministro di Luigi XIV a togliere il veto al card. Chigi, che così poté essere eletto papa il 7 aprile 1655 con il nome di Alessandro VII, in omaggio al suo concittadino papa Alessandro III (Rolando Bandinelli di Siena, 1159-1181), fu consacrato il 18 aprile 1655. Uomo di profondi sentimenti religiosi e pieno di umiltà; riferiscono le cronache che avrebbe voluto evitare la rituale sottomissione dei cardinali con il bacio del piede, non potendo farlo, per tutta la cerimonia tenne fra le mani un grosso crocifisso, a significare che il gesto di venerazione era rivolto a Cristo e non alla sua persona. Per la presa di possesso del Laterano, non volle archi trionfali, addobbi e sfarzo nelle strade, insomma dimostrò da subito uno sprezzo per le vanità umane, specie per il potere. Si fece costruire dal Bernini, per la sua pietà e umiltà, una bara che teneva nella camera da letto, sullo scrittoio teneva un teschio, e si dichiarò antinepotista, piaga che da secoli, affliggeva l’opera dei papi e radicata profondamente nella consuetudine dell’epoca. Ma poi cominciarono a dirgli:” che non era conveniente che parenti del papa vivessero da privati cittadini”, “non si poteva impedire che a Siena rendessero onori principeschi alla sua Casa, perché poteva apparire un oltraggio al Granducato di Toscana”; veniva rimproverato di non adattarsi alle usanze del tempo, doveva dare il buon esempio, ecc. Molto titubante sulla questione, papa Alessandro VII, finì per presentare il quesito nel concistoro dell’aprile 1656: era opportuno o meno che negli affari della Curia, un pontefice si servisse dei parenti? Erano gli stessi scrupoli che avevano agitato il pontificato di Urbano VIII; bisogna ricordare che i papi di quell’epoca, provenivano quasi tutti da nobili famiglie romane o potenti famiglie degli Stati italiani. La risposta non poté che essere affermativa, anche se fu consigliato al papa di stabilire dei limiti di potere. Salvate le apparenze, cominciò così la ‘calata’ dei parenti da Siena, ossia la ‘processione’, come la chiamò satiricamente Pasquino; il papa ne rimase travolto e coinvolto, forse oltre le sue intenzioni. Suo fratello don Mario, ottenne cariche redditizie, dall’Annona all’Amministrazione della Giustizia in Borgo, il nipote Flavio Chigi, dopo il noviziato presso i Gesuiti, divenne cardinale nipote e affiancò nella Segreteria di Stato il card. Giulio Rospigliosi, il giovane i cui interessi erano soprattutto per il teatro, la caccia, il piacere della tavola, badò essenzialmente ad accaparrare rendite ecclesiastiche, che in breve raggiunsero i 100.000 scudi. Un altro nipote, Agostino, fu scelto invece per iniziare la famiglia principesca dei Chigi; rimasto allo stato laicale, divenne Castellano di Castel Sant’Angelo, ricevendo man mano ricchi e splendidi possedimenti, come Ariccia, il palazzo di famiglia in Piazza Colonna, oggi sede del Governo e sposò Maria Virginia Borghese. In effetti da convinto oppositore, alla fine papa Alessandro VII si lasciò prendere la mano, ma non trovando poi tra i parenti, quella figura politica che aveva giustificato il ritorno alla piaga del nepotismo. Così tornarono in voga le Congregazioni di Stato, accantonate dai precedenti pontefici, e giacché al papa non interessava il potere politico, furono queste Istituzioni a prendere decisioni, sull’ordine pubblico, la guerra e la pace, le tasse e i problemi internazionali; papa Alessandro badò alle questioni religiose e alle opere di pietà. Nel maggio 1656 durante un’epidemia di peste, organizzò personalmente l’assistenza degli appestati, sorvegliò gli approvvigionamenti, eresse un ospizio nell’Isola di S. Bartolomeo per isolare i contagiati. In campo internazionale, i rapporti fra la Santa Sede e la Spagna e la Francia furono abbastanza tesi, anzi con la Francia si sfiorò una spedizione militare contro lo Stato della Chiesa, arrivando ad espellere il Nunzio Apostolico da Parigi. Il papa nel 1664 con l’avvilente Trattato di Pisa, dovette piegarsi alle richieste francesi, facendo erigere fra l’altro una piramide commemorativa fuori la caserma dei soldati pontifici, dove si erano scontrati soldati francesi e soldato còrsi pontifici, scontro che diede origine alla grave crisi politica già latente, fra i due Stati. Papa Alessandro VII si impegnò, ma senza successo, per un’alleanza fra i principi cattolici contro i turchi. Dovette a lungo occuparsi del giansenismo, contro il quale pubblicò vari documenti di condanna. (Dottrina di Giansenio (1565-1638) e dei suoi seguaci; il Movimento sorto in seno al cattolicesimo del XVII e XVII sec. vide coinvolti in gravi conflitti dottrinari e disciplinari, gesuiti, Santa Sede, monarchie europee e i più noti nomi della teologia dell’epoca. Le teorie del giansenismo erano esposte nell’opera postuma di Giansenio, vescovo di Ypres, “Augustinus”, apparsa nel 1640 a Lovanio e così chiamata perché secondo l’intendimento dell’autore, esponeva la dottrina di s. Agostino, sulla Grazia e la predestinazione, che venivano contrapposte alle contemporanee teorie dei teologi gesuiti. Ritenuta dagli avversari, riallacciata alle tesi di Calvino, l’opera fu condannata più volte dai papi, specialmente da Alessandro VII). Un episodio dirompente, nella tranquillità tanto desiderata dal papa, fu l’invito fatto alla principessa Cristina di Svezia, che aveva rinunciato al trono e si era convertita al cattolicesimo, ella accettando, si trasferì nel 1655 a Roma. Il papa l’accolse con tutti gli onori, le conferì la Cresima con il nuovo nome di Alessandra, ma questa donna procurò gioie e dolori al papa. Orgogliosa, colta ed eccentrica, comprese subito di poter dominare in mondanità nella Roma barocca del Seicento. Non ci sono dubbi sulla sincerità della sua conversione dal protestantesimo e dei suoi sentimenti religiosi; ma in effetti andò molto a guadagnare lasciando la gelida e noiosa Svezia, per una spensierata e calda città come Roma. Diventò la regina delle feste del gran mondo romano, prese dimora nel Palazzo Farnese; in suo onore l’alto clero e la nobiltà romana organizzarono ricevimenti fastosi, tornei, concerti, feste in maschera; nel 1656 vi fu il Carnevale, che furoreggiò in un tale clima d’immoralità, da far pentire Alessandro VII di aver invitato a Roma quella “pecora smarrita”, che essendo stata ritrovata, avrebbe dovuto essere d’esempio a conversioni di massa. Cristina di Svezia, con il suo agire in politica, allacciando rapporti e rompendo alleanze con ministri e politici stranieri, procurò non poche seccature diplomatiche al papa, il quale respirò, quando si allontanò da Roma un paio di volte. Il suo salotto comunque fu frequentato da letterati ed artisti, istituendo così una specie di Accademia, che un anno dopo la sua morte, avvenuta nel 1689, avrebbe preso il nome di Arcadia; fu sepolta in S. Pietro. Alessandro VII nominò durante il suo pontificato 38 cardinali, con una predilezione per gli italiani e senesi, fra loro lo zelante vescovo riformatore Gregorio Barbarico, poi santo nel 1960, il dotto gesuita Pietro Sforza Pallavicino, autore di una storia del Concilio di Trento. Proclamò santi Tommaso da Villanova agostiniano e il grande s. Francesco di Sales vescovo di Ginevra e fondatore dell’Ordine della Visitazione. Oltre le opere d’arte già citate, realizzate in Vaticano, fece restaurare l’Università della Sapienza, abbellì le sale del Palazzo del Quirinale e quelle della villa di Castelgandolfo, sistemò la Piazza del Pantheon, fece erigere in Piazza della Minerva, l’obelisco sul dorso di un elefante di marmo, edificò le chiese di Piazza del Popolo; inoltre fece costruire l’Arsenale di Civitavecchia e la Zecca presso il Vaticano. Consumato dal solito “mal della pietra”, calcolosi renale e biliare, che già aveva afflitto altri papi, morì il 22 maggio 1667 a 68 anni e fu sepolto in S. Pietro, nel grandioso mausoleo realizzato dal Bernini. Il solito Pasquino, che accompagnava con prose ironiche gli avvenimenti di Roma, lo ricordò così: “Consolati, Alessandro / se la tua dura sorte / in fra le pietre t’ha condotto a morte, / morte propria di ladri e non d’eroi, / sogliono i pari tuoi / da stato sì giocondo, / solo a furia di pietre uscir dal mondo”.
Autore: Antonio Borrelli
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