Emilio Altieri nacque nel 1590 a Roma, in una nobile famiglia che sovente aveva prestato i propri servigi al Papato ed aveva dato alla Chiesa numerosi chierici, letterati e condottieri. Avviato agli studi canonici e giuridici presso La Sapienza, intraprese la carriera di avvocato e dal 1623 lavorò presso la nunziatura in Polonia. Ordinato sacerdote, fu nominato vescovo di Camerino, governatore dell’Umbria e nunzio apostolico nel Regno di Napoli.
Nel 1667 Clemente IX lo designò suo maestro di camera, incarico di grande prestigio a coronamento di una vita spesa al servizio della Chiesa: il Papa lo considerò suo uomo di fiducia e furono anni di stretta collaborazione tantoché, pochi giorni prima di morire, lo fece cardinale. Emilio Altieri aveva 79 anni e il papa, nel conferirgli la berretta rossa, gli profetizzò: «Sarai il nostro successore»; e, in effetti, fu eletto Sommo Pontefice nel successivo conclave. Con veemenza rifiutò la nomina, conscio della propria salute precaria e dell’onere dell’incarico, e dovette esser trascinato a forza dalle sue stanze per essere incoronato: in lacrime, accettò la volontà dello Spirito Santo e in memoria del suo benefattore assunse il nome di Clemente X.
Si circondò di collaboratori esperti che potessero sostenerlo nel governo dello Stato Pontificio, migliorò le condizioni di vita dei suoi sudditi e abbellì l’Urbe. «Adoperava con parsimonia i denari della Chiesa, di cui diceva di non essere padrone, ma amministratore», scrive l’ambasciatore veneziano: ciò nonostante, non riuscì a contrastare la corruzione e gli abusi dei suoi ministri, di cui spesso era ignaro. Sul fronte politico e religioso, il Papa condannò le ingerenze del Re Sole nel governo degli episcopati e le tendenze all’autonomia della Chiesa francese e si occupò della difesa dell’Europa dai Turchi: nel 1672 il sultano Maometto IV aveva invaso i Balcani, e il Pontefice finanziò Giovanni III di Polonia che ne fermò l’avanzata in Occidente.
«Gioite, o popoli, ed esultate, o genti, perché con l’autorità della parola apostolica annunziamo a tutti i cristiani una grande gioia: (…) si avvicina, infatti, l’anno del Giubileo, anno santo di remissione, di grazia e di perdono»: nonostante la salute malferma, Clemente X non rinunciò alla celebrazione del XV Giubileo, che indisse nel 1674 con la bolla Ad apostolicae vocis oraculum. Dal 1475, il Giubileo aveva assunto cadenza venticinquennale, e così è rimasto fino ad oggi: il giorno dell’Ascensione fu annunciato al mondo cattolico l’Anno di penitenza e remissione dei peccati. Per evitare speculazioni, fu vietato di alzare i prezzi di merci e alloggi, e Roma fu ripulita e abbellita: il grande scultore Bernini offrì ai visitatori uno dei suoi ultimi doni artistici, il Tabernacolo del Ss. Sacramento in San Pietro, e furono approntate camere con letti e coperte di lana per tutti i pellegrini.
Il 24 dicembre, il Papa aprì la Porta Santa – introdotta per la prima volta nel Giubileo del 1500 – dando l’avvio a fastose celebrazioni che coniugarono l’aspetto devozionale e liturgico a quello spettacolarmente barocco. Le splendide cerimonie furono organizzate magistralmente, le solenni processioni si susseguirono quotidianamente, animate da fiaccolate, cortei di popolo e cavalieri e macchine celebrative: queste erano apparecchiature teatrali meccanizzate che raffiguravano scene evangeliche, capaci di produrre suoni ed effetti speciali, in uno sfoggio destinato a stupire e incantare lo spettatore: una magnificenza volta a celebrare la gloria del Signore e sorprendere i fedeli.
A rinfocolare il fervore religioso furono chiamati numerosi predicatori, e si registrò l’afflusso di quasi un milione di pellegrini: tra questi, molti aristocratici e una regina, Cristina di Svezia. La sovrana protestante infatti aveva abdicato e si era convertita al cattolicesimo, trasferendosi a Roma: visse intensamente il Giubileo, e durante la Settimana Santa lavò i piedi a 12 pellegrine lasciando grandi offerte in abiti e denaro.
Le Confraternite ospitarono oltre mille romei al giorno, provenienti da ogni angolo del mondo, prova tangibile di come Roma fosse veramente cattolica, universale: le conversioni furono innumerevoli e le piazze non riuscivano a contenere i fedeli. Clemente X, malfermo, partecipò raramente alle cerimonie liturgiche che caratterizzarono quelle giornate di preghiera ed espiazione, ma la sua carità si fece sentire: il Venerdì Santo, ad esempio, offrì la cena a ben 13.000 pellegrini, e non vi fu giorno che non domandasse se vi era povero o peccatore che avesse bisogno di aiuto.
Autore: Lorenzo Benetti
Fonte:
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Corrispondenza Romana
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