Bolesław, Polonia, 14 dicembre 1869 - Lukov, Repubblica Ceca, 17 gennaio 1953
Ignác Stuchlý nacque a Bolesław, oggi in Polonia, il 14 dicembre 1869. Terminati gli studi ginnasiali nella Slesia austriaca, andò in Moravia a Velehrad per essere accettato dai Gesuiti. Sul treno incontrò un sacerdote conoscente che gli parlò di don Bosco e dei Salesiani. Decise allora di andare a Torino: qui, a Valsalice, fu accolto come figlio di Maria. Dopo il noviziato, a Ivrea fece la filosofia e studiò agronomia ottenendone il diploma. Chiese di andare nelle Missioni, ma don Michele Rua gli rispose: «La tua missione è al Nord!». Nel 1921 don Stuchly fu mandato a Lubiana a dirigere i lavori di costruzione del santuario di Maria Ausiliatrice, terminato e consacrato nel 1924. Poi i superiori lo destinarono alla casa di Perosa Argentina (Italia), dove da alcuni anni si raccoglievano i giovani slovacchi per prepararsi a trapiantare l'opera salesiana in patria. Nel 1927 fu inviato in Cecoslovacchia ad aprire la prima casa a Fryšták, di cui fu direttore dal 1928 al 1934. Passò poi direttore della nuova casa di Moravska Ostrava (1934-35), e intanto fu nominato ispettore, ossia superiore provinciale, della Cecoslovacchia (1935-48). Sotto di lui sorsero in Cecoslovacchia 12 case salesiane con 270 religiosi, tutti boemi e moravi, più 20 altri salesiani che lavoravano nelle Missioni. Questo straordinario successo dell'opera salesiana dipese dal suo spirito di lavoro sostenuto da una pietà semplice e dalla sua bontà con tutti. Nel 1948 tornò nella casa di Fryšták come confessore. La bufera della persecuzione si scatenava sulla Cecoslovacchia e don Stuchly vide la fine dell'opera salesiana da lui creata: i confratelli vennero deportati, mentre lui finì i suoi giorni in una casa di riposo a Lukov, il 17 gennaio 1953. Il 21 dicembre 2020 papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui don Ignác, i cui resti mortali riposano a Fryšták, veniva dichiarato Venerabile.
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Ignazio Stuchly fu un religioso che non scrisse "Regole", ma vi ubbidì. Non tracciò schemi per la propria attività, ma realizzò quelli tracciati per lui dai suoi superiori salesiani. Fu dimenticato, come dicono, perché c'era tanto da fare, e quando lo ordinarono sacerdote aveva i capelli bianchi e la faccia da anziano, tanto che i cristiani affollarono subito il suo confessionale. «Un prete di grande esperienza e santità», dicevano, e non si sbagliavano. Ignazio vide la luce nel lontano 14 dicembre 1869 a Boleslau, un piccolo nido di case, di lavoro e di affetto, che i confini internazionali tracciati dai "potenti della terra" assegnavano di volta in volta all'Austria, alla Germania, alla Cecoslovacchia, alla Polonia. Alle scuole elementari, ebbe un grande maestro, Giovanni Koblaj. In un momento in cui le autorità perseguitavano i preti. egli parlava ai suoi ragazzini della bellezza della chiamata del Signore, a dare la vita per lui e per i fratelli più sfortunati. A 22 anni doveva andare soldato, ma fu scartato. Allora pensò seriamente a farsi prete. La famiglia non aveva nulla in coutrario, ma non aveva neppure denaro per farlo entrare in seminario. Ignazio provò dai domenicani, studiò latino e greco presso un parroco, poi presso un cappellano delle suore Orsoline. Fu lui a dirgli: «Se vuoi riuscire, devi andare in Italia, da Don Bosco ». Partì una lettera per Torino, arrivò un telegramma di risposta dal successore di Don Bosco: «Vieni subito. Rua». Riprese gli studi a Valsalice, accanto alla tomba di Don Bosco e insieme agli aspiranti polacchi. Divenne amico di Augusto Hlond, il futuro cardinale salesiano della Polonia.
Gorizia, città in quel tempo austriaca, è la prima residenza assegnata dai superiori a don Ignazio. Insegna latino e greco e studia teologia per diventare prete. Passano gli anni e gli chiedono di fare anche il vice-direttore, il catechista, il factotum. Nessuno pensa alla sua ordinazione sacerdotale, perché c'è tanto da fare, e Ignazio fa tutto così bene. Se ne accorge don Michele Rua, che nel 1901 è di passaggio a Gorizia. Dice al direttore che, tra le tante cose, pensi anche a far diventar prete Ignazio, che ha ormai 32 anni. 3 novembre 1901. II cardinale Misia pone le mani sui capelli bianchi di Ignazio Stuchly e lo ordina sacerdote per sempre. Il giorno dopo, don Ignazio dice la sua prima messa alle 8, e alle 9 è in classe come sempre a insegnare latino. La domenica dopo è in confessionale nel santuario del Monte Santo dì Gorizia. La gente fa la fila davanti al suo confessionale. Si è sparsa chissà come la voce che è un prete di grande esperienza e santità. E chi esce dal suo confessionale conferma. 13 anni di lavoro umile e silenzioso a Gorizia. Poi don Ignazio viene mandato a Lubiana. Là c'è una giovane comunità salesiana che ha iniziato con entusiasmo un grande santuario a Maria Ausiliatrice. Ma esso è fermo a otto metri di altezza. Non c'è un soldo per far crescere i muri e le torri, e in città c'è tifo e carestia. È il 1910, sta per iniziare la guerra balcanica, e a essa nel 1914 seguirà la sanguinosa prima guerra mondiale. Don Ignazio, incaricato dell'amministrazione della comunità, lotta per la pura sopravvivenza dei confratelli. I tronconi del santuario vengono coperti da grandi fogli di latta, e si attendono tempi migliori. Quando la prima guerra finisce, don Ignazio va a mendicare di casa in casa, di paese in paese per mantenere la comunità e far crescere il santuario della Madonna. Goccia su goccia, mattone su mattone, le mura e le torri sono completate. Nei giorni che seguirono, le lettere di congratulazioni e di ringraziamento si ammucchiarono sul suo tavolo. Le avrebbe lette appena ci fosse stato tempo. Ma ecco giungere preoccupato un salesiano mandato dall'ispettore a chiedergli che cosa rispondeva alla richiesta urgente dei superiori di Torino. Don Ignazio frugò nel mucchio delle lettere, trovò quella di don Pietro Ricaldone e la aperse. C'erano poche parole: « Caro don Ignazio, prendi baracca e burattini e vieni a Torino». Rimase di stucco: aveva 55 anni, era sfinito, e gli chiedevano di lasciare la Jugoslavia, di andare a Torino senza nemmeno dirgli cosa doveva andare a fare. Chinò la testa e rispose: « Se i superiori comandano, io ubbidisco. Preparo il passaporto e mi metto in viaggio». La faccenda del passaporto non fu semplice. A Zagabria, dove don Ignazio si recò, le autorità iugoslave e i consolati italiano, cecoslovacco e tedesco glielo rifiutarono. Il suo paese natale, Boleslav, dopo la grande guerra era stato assegnato per un certo tempo alla Cecoslovacchia, poi alla Germania. Alla fine, di malavoglia, il consolato germanico gli concesse un lasciapassare.
A Torino, i superiori gli comunicarono la sua nuova "obbedienza". Sebbene la Cecoslovacchia gli avesse rifiutato il passaporto, egli era uno dei pochissimi "cechi" esistenti della congregazione salesiana. E siccome si era deciso di iniziare a Perosa Argentina un aspirantato per preparare le future vocazioni della "zona ceca" (che dai trattati internazionali era stata unita alla Slovacchia nello stato "Cecoslovacchia"), don Ignazio doveva recarsi a Perosa Argentina (Torino) a cominciare l'opera. I giovani arrivavano dalla Boemia e dalla Moravia (che insieme formavano la "zona ceca") inviati da due sacerdoti del luogo. Erano mescolati giovanissimi e anziani, ragazzi seri e ragazzi in cerca di avventure. Per don Ignazio fu una fatica disumana usare l'amorevolezza del sistema educativo salesiano, e nello stesso tempo separare il grano dalla zizzania, e senza offendere nessuno rispedire in patria qualcuno. Tutto questo riuscì a realizzarlo per tre auni, mentre l'opera viveva una povertà che rasentava da vicino la miseria. Dopo tre anni, don Ignazio fu sollecitato a partire per la Cecoslovacchia, per trovare la casa in cui trapiantare le vocazioni cresciute a Perosa Argentina. Partì, esplorò con attenzione la zona, e scelse una casa di Frystak, che stava per essere abbandonata da una comunità di suore. Giunse a quella casa dopo ore e ore di viaggio in treno, concluso con un'ora di cammino a piedi. Le suore volevano fargli festa, ma egli imbarazzato chiese loro di avere alcuni fogli di giornale e di potersi appartare nel loro giardino. Era sudato, e siccome aveva solo quella povera camicia che portava, in un angolo del giardino infilò i fogli di giornale tra pelle e camicia, per scongiurare una bronchite. Poi tornò sorridendo e firmò i documenti per il passaggio della casa ai salesiani. I giovani, da Perosa Argentina, giunsero in treno il 28 settembre 1927. La cronaca di quei giorni ricorda: «Era il primo contatto di Don Bosco con la nazione ceca sul suolo ceco. I giovani ebbero un pranzo povero, molto povero. Poi ognuno si cercò un posto per sistemarsi. Molti dovettero per vari giorni dormire sulla paglia ammucchiata per terra». Don Ignazio aveva ormai 58 anni, ed era molto affaticato. Eppure dovette accettare la carica di direttore dal 1928 al 1934.
1935. Le case salesiane in Cecoslovacchia sono ormai sei. I superiori pensano di staccare questa nuova realtà salesiana dall'ispettoria Jugoslava, e di costituirla ispettoria autonoma. Don Ignazio, che sperava in una pausa dall'attività che da anni gli mangiava giorni e notti, fu invece nominato ispettore. Chinò il capo, come sempre. In quel tempo l'ispettoria assisteva a una vera fioritura di vocazioni. I numerosi salesiani avevano un solo difetto: erano incredibilmente giovani, e quindi non tutti ben formati. Ma don Ignazio non esitò: le forze c'erano, e bisognava cominciare a lavorare sul serio per la gioventù. Le difficoltà non mancavano mai. Anche negli anni migliori si sentiva nell'aria la grande bufera che si addensava, e che sarebbe scoppiata con la seconda guerra mondiale. Ma don Ignazio diceva ai confratelli: «Lavoriamo finché c'è giorno. Se la notte verrà, ci penserà il Signore». Nel 1937 don Ignazio poté riferire ai superiori i primi risultati del grande lavoro benedetto da Dio: 18 sacerdoti, 7 salesiani laici, 73 chierici. In tutto, 98 salesiani ben animati nel lavoro giovanile. Ma nel marzo 1939 le armate tedesche di Hitler occuparono la Boemia e la Moravia, e il 1° settembre scoppiò la seconda guerra mondiale, con l'aggressione della Germania alla Polonia. Il 14 dicembre di quell'anno, don Ignazio compì 70 anni. Aveva tristi presentimenti, ma taceva, sorrideva e invitava tutti a lavorare come se la guerra non esistesse. Nel giugno del 1941, la Germania aggredì l'Unione Sovietica, e la situazione anche in Boemia e Moravia precipitò. La sede centrale dei salesiani, a Moravskà Ostrava, fu sequestrata da ufficiali tedeschi "per usi di guerra". Nel giugno 1942 i partigiani, a Praga, uccisero in un attentato il rap presentante di Hitler, R. Heyndrich. Iniziò il regno del terrore: 100 fucilati, 10 mila presi in ostaggio, 50 giovani salesiani furono spediti ai campi di lavoro forzato. Nel 1943 anche la casa di Frystak fu requisita per uso di guerra. Don Ignazio (74 anni) con i salesiani visse momenti di angoscia. Dove andare? Li ospitò in parte il parroco di Frystak, altri si stabilirono in una precaria colonia estiva sulle montagne ceco-morave. Don Ignazio ripeteva: «Prendiamo tutto dalle mani di Dio». La terribile guerra finì nel maggio 1945. Anche i salesiani poterono fare il consuntivo dei durissimi anni: tutti erano usciti da quell'inferno vivi e sani, anche se molto provati.
A 77 anni, don Ignazio chiese invano il cambio. Toccò a lui guidare la seconda, rapida primavera dell'ispettoria salesiana. Si riorganizzarono l'aspirantato, il noviziato, lo studentato filosofico e quello teologico. Si aprirono orfanotrofi e case per giovani operai. Nel 1947 l'ispettoria di don Ignazio contava 6 case nella Moravia e 5 nella Boemia. Il Signore mandava buone vocazioni: nello studentato filosofico studiavano 60 chierici. Il 24 febbraio 1948 giunse finalmente la nomina del nuovo ispettore don Antonio Dvorak. Don Ignazio Stuchly, 79 anni, poté ritirarsi nel silenzio dell'aspirantato di Frystak, sedere in confessionale, e prestare il suo ultimo servizio ai giovani dando loro il perdono di Dio. Ma l'Armata Sovietica non aveva mai abbandonato la Cecoslovacchia. E presto si capì che i sovietici erano i nuovi, terribili padroni. I salesiani iniziarono la loro seconda passione nell'autunno 1948: fu arrestato e imprigionato il direttore di Frystak e gli aspiranti furono dispersi. Da quel giorno tutte le case furono sotto sorveglianza, e si dovette diventare molto cauti nelle comunicazioni. Nel marzo 1950 don Ignazio fu colpito da apoplessia cerebrale; e subito dopo tutte le case salesiane furono occupate dalle forze armate. I salesiani furono internati in campi di lavoro. La seconda, terribile bufera, era scesa silenziosa a stroncare le opere di Don Bosco e di don Ignazio Stuchly. Egli fu ospitato dalle suore francescane, e gli fu così risparmiato lo spettacolo della devastazione. Si riprese parzialmente, ma altre crisi sopraggiunsero, e alla fine Dio venne a prenderlo il 17 gennaio 1953. Aveva toccato gli 83 anni. Lo portarono al cimitero alcuni confratelli che si poterono radunare senza dare nell'occhio, vestiti in borghese. Fu sepolto nella terra come il chicco di grano buono. Si era consumato per la fame di tutti. Attendeva nel nascondimento la nuova fioritura di Dio.
Autore: Teresio Bosco
Note:
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