São João del Rei, Brasile, 11 febbraio 1886 - Carpina, Brasile, 14 agosto 1974
Antônio de Almeida Lustosa nacque l’11 febbraio 1886, da famiglia della borghesia contadina di São João del Rei (nello Stato brasiliano del Minas Gerais). A sedici anni entrò nel collegio salesiano di Cachoreira do Campo. Fu ordinato sacerdote nel 1912. Nel 1925 fu nominato Vescovo di Uberaba, diocesi del cosiddetto “Triangolo minerario”. Volle essere consacrato l'11 febbraio, giorno che gli ricordava la presenza della Madonna nella sua vita. Entrò nella sua diocesi, accolto da una popolazione doppiamente in festa: per la venuta del nuovo pastore, dopo due anni di sede vacante, e per una pioggia diluviante, attesa dopo mesi di siccità e di arsura. Trovò il seminario minore vuoto; in quello maggiore c'era in tutto un solo diacono. L'anno successivo aveva intorno a sé una trentina di seminaristi del ginnasio. Nel 1928, dopo neppure quattro anni, venne trasferito a Corumbá nel Mato Grosso, sede più grande e con più grandi difficoltà per l'evangelizzazione. Dopo solo due anni veniva nominato Arcivescovo di Belém do Pará, immensa diocesi del nord del Brasile. Vi rimase dieci anni prodigandosi con la generosità di sempre. Nel 1941 fu trasferito all'importante sede di Fortaleza, capitale dello stato di Ceará. Qui diede il meglio di sé in 22 anni di permanenza. Tra le sue fondazioni: il Pre-seminario “Curato d'Ars”; l'Istituto “Card. Frings”; l'Ospedale “S.Giuseppe”; il Santuario “Madonna di Fatima”; la Stazione radio “Assunzione Cearense”; la Casa del Bambin Gesù; varie scuole popolari; ambulatori; circoli operai ecc. Espressione della sua valida azione spirituale e pastorale fu la fondazione della Congregazione delle “Giuseppine” attualmente presenti in vari stati del Brasile. Monsignor De Almeida fu uno scrittore prolifico nei settori più svariati: teologia, filosofia, spiritualità, agiografia, letteratura, geologia, botanica. Fu molto dotato anche in campo artistico: sono sue le vetrate della Cattedrale di Fortaleza. Nel 1963, dopo 38 anni di attività episcopale, chiese ed ottenne di essere esonerato dall'onere pastorale. Scelse la Casa salesiana di Carpina dove trascorse gli ultimi suoi quindici anni di vita e dove morì il 14 agosto 1974. Il 22 giugno 2023 papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto sulle virtù eroiche di monsignor De Almeida, i cui resti mortali riposano nella Cattedrale di Fortaleza.
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Nella sua fattoria di São João del-Rei (stato brasiliano di Minas Gerais) Giovanni Battista Lustosa a ogni figlio che Dio gli mandava piantava una palma da cocco. Ne piantò dieci, che crebbero vigorose, alte fino a 25 metri. La decima affondò le radici nella terra alla nascita di Antonio.
La sua patria, il vastissimo e ricchissimo Brasile stava vivendo gli anni del difficile passaggio da impero coloniale a repubblica moderna. Nel 1888 furono dichiarati liberi gli ultimi 700 mila schiavi. L'anno dopo l'imperatore Pietro abdicò, e il Brasile divenne repubblica federata formata da 20 stati. Il centro dell'economia del paese, dalle piantagioni coloniali del Nord si trasferiva agli stati del Sud, dove si coltivava caffè e nasceva l'industria.
Come i fratelli, Antonio de Almeida Lustosa avrebbe imparato sui libri questi avvenimenti. Crebbe nell'atmosfera serena ed equilibrata della sua famiglia. La mamma, donna Delfina, lo nutrì del suo latte e della sua fede. Nato l'11 febbraio 1886, giorno anniversario dell'apparizione dell'Immacolata a Lourdes, fu considerato sempre dalla madre 'un dono della Madonna'. Si irrobustì nella famiglia patriarcale dalla vita cristiana austera e solida, dalla dedizione al lavoro che non temeva il sudore e la fatica.
Antonio aveva 9 anni nel novembre 1895, quando i giornali riportarono la tragica notizia di uno scontro ferroviario. In esso aveva perso la vita un giovanissimo vescovo della congregazione salesiana, che arrivata nell'America del Sud da pochi anni, stava aprendo le prime sue opere nel Brasile. Monsignor Luigi Lasagna, il nome di quel giovane vescovo, fu forse il primo salesiano che Antonio sentì nominare. Ma la parola "salesiani" tornò a rimbalzare sulla sua vita l'anno seguente, poiché essi vennero ad aprire il collegio Don Bosco a Cachoeira do Campo: una scuola che brillò subito per serietà di studi e per la preferenza data alle famiglie povere e numerose dei contadini.
A 16 anni Antonio Lustosa entrò nel collegio Don Bosco. A 18, affascinato dalla figura di Don Bosco, chiese a papà e mamma di entrare tra i salesiani. Papà chiese solo ad Antonio che la sua decisione fosse seria, e che quindi ci pensasse bene prima di decidere. La mamma lo benedì.
A 19 anni Antonio Lustosa entrò nella casa salesiana di Lorena come novizio, e fu ordinato sacerdote a 26 anni. Prima che ne compisse 27 fu designato alla delicatissima carica di maestro dei novizi. Ladislao Paz, che diverrà vescovo, testimonia di lui: «Antonio Lustosa era un santo vero. L'anima dominava interamente il corpo e lo rendeva obbediente. Questo impegno di perfezione affinerà anche i suoi lineamenti, conferendogli un inconfondibile aspetto di asceta, che però la candida serenità dello sguardo e il costante sorriso renderanno ricco della vera amorevolezza salesiana».
Nel 1916 don Antonio aveva 30 anni, e il noviziato fu trasferito nella nuova casa di Lavrinhas, non lontano da Lorena. Don Lustosa continuò ad essere maestro dei novizi e divenne direttore e padre spirituale di un centinaio di aspiranti salesiani, degli studenti di filosofia (che erano già stati sui novizi), degli studenti di teologia e di un gruppo di coadiutori tipografi. Insegnava filosofia e teologia, e affinava la sua salesianità nella lettura meditata delle Memorie Biografiche di Don Bosco che venivano editate in quegli anni (nel 1917 veniva pubblicato il volume nono). L'esempio e la parola di Don Bosco, vissute ogni giorno, diedero alla spiritualità e all'azione di don Lustosa un'inconfondibile impronta salesiana.
Durante gli anni di Lavrinhas portò a compimento diversi lavori edilizi nella vasta casa. Ottenne aiuti dai benefattori, ma allenò anche i suoi giovani chierici alla laboriosità salesiana, precedendoli con l'esempio. Ad alcuni che gli mostravano le mani con le tracce del duro lavoro manuale rispondeva con un sorriso di incoraggiamento: «Anche le mani di Don Bosco erano così». Le parrocchie vicine conobbero il prezioso aiuto dei sacerdoti e dei chierici salesiani, con alla testa il loro direttore. Iniziarono il primo oratorio festivo a Cruzeiro, con un pallone e sei ragazzi in un prato. Poi fecero sorgere quelli di Pinheiro, di Queluz, di Campo Belo (oggi Itatiaia), e naturalmente quello di Lavrinhas. La formula era: pallone, catechismo e simpatia. Funzionò talmente bene che a Campo Belo i ragazzi lasciarono solo il giocoliere di un circo per correre incontro a don Lustosa e ai suoi chierici che stavano arrivando nel pomeriggio di una domenica.
La responsabilità di essere vescovo, successore degli apostoli nella sua terra, lo faceva tremare. Invitato segretamente ad accettare la nomina, rifiutò. Ma essa gli fu ripetuta dal nunzio apostolico all'inizio del 1925, accompagnata da un bonario "divieto di rinuncia". E don Lustosa accettò di cingere ai fianchi, come Gesù, il grembiule del servo dei suoi fratelli. Fu consacrato l'11 febbraio, giorno in cui sua madre l'aveva dato alla luce e in cui la Madonna era apparsa a Lourdes. Aveva 39 anni. Diventava pastore della diocesi di Uberaba, grande città agricola. Iniziò immediatamente la visita pastorale. I viaggi lunghi e molto disagiati lo portarono in tutte le parrocchie e in tutti i nuclei abitati della diocesi estesissima. Accanto alla gente silenziosa e ai loro padroni, sentì l'urgenza della giustizia sociale, insegnata dalla Chiesa. Di ritorno dalle visite pastorali, riservava a sè il compito di fare il catechismo ai piccoli nella cattedrale. Come primo, confortante frutto, dopo un anno accolse nel seminario una trentina di giovanissimi aspiranti al sacerdozio.
Ma le autorità della Chiesa, dopo la prima prova positiva di Monsignor Lustosa, avevano disegni più grandi da affidare alla sua realizzazione. Potrà dire: «Ho ricevuto più lettere d'ubbidienza da vescovo che da semplice salesiano». 1928. E' trasferito a Corumbá, grande città dello stato del Mato Grosso (significa 'foresta grande' e si estende per 1.379.651 kmq, quanto il Sud-Europa comprendente Italia, Francia e Spagna). Corumbá è ai confini della Bolivia, dove la povertà tocca in certe zone limiti intollerabili. File di persone, come silenziose formiche, passano il confine accampandosi attorno a Corumbá. Le difficoltà che il vescovo deve affrontare sono di genere diverso, ma hanno la stessa sostanza: miseria e insicurezza che umiliano la dignità di questi figli di Dio; indifferenza delle autorità civili e politiche.
1930. Monsignor Lustosa è nominato arcivescovo e trasferito a Belém, sulla foce del vastissimo Rio delle Amazzoni. File interminabili di famiglie approdano qui durante le terribili siccità del Nordest brasiliano. Cercano una casa e un lavoro, e magari una piccola imbarcazione con cui agganciarsi ai grandi vapori che risalgono ogni giorno la corrente del fiume. 1941. Viene inviato arcivescovo a Fortaleza, capitale del Ceara, nel travagliato Nordeste, sulla costa dell'Atlantico. Vi giunge nella piena maturità dei suoi 55 anni. Vi resterà 22 anni, e darà il meglio della sua vita nell'impegno spirituale, pastorale e sociale. L'archidiocesi di Fortaleza comprendeva allora anche le attuali diocesi di Quixadà, Itapicoca e parte di Iguatu, con territori immensi quali solo le diocesi del Terzo Mondo conoscono.
In quegli anni iniziava lentamente in Brasile (sotto la spinta degli Stati Uniti) lo sviluppo del "modello di capitalismo totale". E' il modello che oggi vediamo diffondersi (sempre sotto la spinta degli Stati Uniti e del Fondo Monetario Internazionale) in tutti gli stati europei. Un modello economico che avrebbe portato la nazione a un massimo progresso tecnico, ma anche alla divisione della popolazione in due parti nette: i super-ricchi e la vasta turba della gente povera, sempre più spinta ai margini della società. Sensibilissimo ai problemi della giustizia sociale, monsignor Lustosa fu portatore della Parola di Dio e padre spirituale delle sue comunità cristiane. Ma fu anche un energico realizzatore della dottrina sociale della Chiesa. Il primo problema che occorreva risolvere a favore della gente povera era la salute. Alimentazione, igiene, cure mediche erano gli obiettivi concreti che occorreva far raggiungere al popolo povero, al popolo sofferente. Mentre si batteva con le autorità politiche e civili perché facessero tutta la loro parte, monsignor Lustosa creò una catena di Posti arcivescovili della salute. Fondò il primo con il coinvolgimento di 17 medici e quattro dentisti cristiani. Ne seguirono altri dodici. Nel decimo anniversario del loro funzionamento, nel gennaio 1956, il quotidiano O Norte riconosceva: «Le postazioni mediche e dentistiche nelle periferie della nostra capitale sono un'iniziativa molto meritoria a vantaggio della nostra gente. Sono dirette da religiosi, e contano sull'abnegazione di medici, dentisti e infermieri cristiani».
Nel 1948 l'arcivescovo inaugurò la Minestra dei poveri. I posti di distribuzione, coordinati dai Servizi Sociali dell'Archidiocesi furono un contributo notevole alla sopravvivenza della gente più sfortunata. La Casa del Bambino Gesù, fondata da padre Waessen, fu presa sotto la protezione dell'arcivescovo. Presta assistenza medica e ospedaliera alle ragazze madri. Con l'aiuto delle Suore di San Vincenzo ha potuto moltiplicare la sua opera di assistenza cristiana. Su Radio Iracema appoggiò L'Ora del Povero, trasmessa da padre Paixão, con lo scopo di creare negli ascoltatori una coscienza cristiana sociale. Essa potè avere riconoscimento giuridico e beneficiare degli aiuti governativi e privati.
Il secondo problema che l'arcivescovo tentò di risolvere fu l'istruzione gratuita per i poveri. Essa faceva riscoprire la propria dignità ai lavoratori, e dava l'inestimabile diritto a votare (negato per legge agli analfabeti). Monsignor Lustosa aprì tredici scuole popolari funzionanti i due turni giornalieri: al mattino e alla sera. In tre di esse riuscì a inserire un terzo turno, funzionante di notte. La Scuola di servizio sociale fu l'opera più impegnativa, che coinvolse professori di livello universitario. Più tardi fu incorporata nell'Università Federale del Ceara. Da questa scuola uscirono centinaia di assistenti sociali con mentalità cristiana. Essa diede il frutto più vistoso con l'organizzazione della Prima Settimana Sociale nel maggio 1957, presieduta dall'arcivescovo.
Un altro ambito di impegno sociale per monsignor Lustosa fu il problema agrario. Egli mobilitò tutte le forze della chiesa e dello stato per migliorare decisamente le condizioni difficilissime della gente contadina, perseguitata dalla siccità periodica. Fece studiare canalizzazioni, laghi artificiali. Fece giungere esperti statunitensi per suggerire colture per terre povere d'acqua. Per assistere le famiglie contadine fondò anche una congregazione di suore, le Giuseppine. Esse svolgono un apostolato silenzioso e prezioso.
Nel 1963, a 77 anni e 38 di attività episcopale, monsignor Lustosa presentò le sue dimissioni al Papa. Sentiva che nel campo di Dio occorrevano lavoratori più giovani e vigorosi di quanto lui era in quel momento. Rimanere alla direzione di tante opere con forze sempre più esili, significava condannarle alla sterilità, mentre dovevano continuare a essere feconde e a moltiplicarsi.
Si ritirò nella casa salesiana di Carpina, e negli anni che Dio ancora gli concesse, visse la vita del salesiano anziano, che prega e lavora nei limiti che la salute gli concede. La Madonna venne a prenderlo il 14 agosto 1974. Aveva vissuto 88 anni. Chi aprì il suo testamento lesse tre parole: «Non ho nulla». Aveva donato tutto a Dio e ai suoi fratelli.
Autore: Teresio Bosco
Note:
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