Israele, VIII sec. A.C.
San Osea è il profeta ebraico Hoseah (=salvato dal Signore), vissuto nell'VIII secolo prima di Cristo. Figlio di Beerì, Osea è originario del regno del nord, Osea inizia la sua predicazione sotto Geroboamo II e la prosegue sotto i successori di questo. Il dramma personale di Osea, che lo spinge alla sua azione profetica è raccontato nei primi tre capitoli del libro della Bibbia che porta il suo nome. Probabilmente Osea aveva sposato una donna che amava e che l'aveva abbandonato, ma egli ha continuato ad amarla e l'ha ripresa dopo averla messa alla prova. E' evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d'Israele, che conme una donna infedele ha provocato le ire del suo sposo divino. Osea condanna le classi dirigenti di Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo al loro ministero, conducendo il popolo alla rovina. Egli tuona contro le ingiustizie e le violenze, ma soprattutto contro l'infedeltà religiosa, un messaggio vecchio di quasi tre milleni, ma sempre attuale.
Etimologia: Osea = salvato dal Signore, dall'ebraico
Martirologio Romano: Commemorazione di sant’Osea, profeta, che, non solo con le parole, ma anche con la vita, mostrò all’infedele popolo di Israele il Signore come Sposo sempre fedele e mosso da infinita misericordia.
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Il ‘Martirologio Romano’, ricorda al 17 novembre il profeta Osea, l’ebraico Hoseah, il cui nome significa “salvato dal Signore”.
Osea apre nella Bibbia la serie dei cosiddetti “Profeti Minori”, ma in realtà la sua è una testimonianza di alto profilo e si basa su un’esperienza personale e familiare, che viene presa a simbolo religioso per tutto il popolo ebraico.
Contemporaneo del profeta Amos, Osea visse e operò nel regno settentrionale d’Israele, di cui era anche originario, nella seconda metà dell’VIII secolo a.C.; più precisamente predicò al popolo la Parola di Dio, in un periodo di tempo racchiuso tra il 750 e il 754 a.C., mentre si maturava la rovina di quel regno scismatico (721 a.C.) che si era separato dal regno di Giuda, dopo la morte di Salomone (931 a.C.).
Figlio di Beeri, Osea scrisse i suoi oracoli profetici al tempo di Ezechia re di Giuda e di Geroboamo II re d’Israele; il libro omonimo consta di 14 capitoli, i cui primi tre, sviluppano la sofferta storia personale e familiare del profeta.
Dietro ordine di Dio, egli sposò una prostituta di nome Gomer, figlia di Diblaim (forse era una sacerdotessa dei culti della fertilità a sfondo sessuale, del dio Baal dei cananei), dalla quale ebbe tre figli dai nomi simbolici, il primo Izreel, dal nome della città dove abitavano d’estate i re d’Israele; la seconda figlia ebbe il nome chiesto da Dio di “Non-amata” e il terzo il nome sempre dettato da Dio, di “Non-popolo-mio”.
E la situazione familiare di Osea sarà il filo conduttore di tutto il Libro, perché la moglie Gomer, pur essendo amata dal profeta, dopo qualche tempo riprese a prostituirsi con numerosi amanti, abbandonando il marito ed i figli; i cui nomi simbolici riflettono la dolorosa situazione familiare.
Ma l’amore di Osea per la moglie infedele, gli fa superare il furore che ne scaturiva, convincendo Gomer a ritornare in famiglia dove c’era amore e perdono; nel capitolo 3 egli descrive così la ricongiunzione:
[Il Signore mi disse: “Và di nuovo, ama la donna amata da suo marito, benché adultera, come il Signore ama i figli d’Israele, benché essi si volgano verso altri dei e amino le schiacciate di uve passe”. Io dunque me la comprai per quindici pezzi d’argento e una misura e mezza di orzo. Poi le dissi: “Per un lungo periodo rimarrai al tuo posto con me, non ti prostituirai e non sarai di un altro e neppure io verrò da te”.
Perché per un lungo periodo i figli d’Israele saranno senza re e senza principe, senza sacrificio e senza stele… Dopo ciò i figli d’Israele si convertiranno, cercheranno il Signore loro Dio e Davide loro re, trepidanti accorreranno al Signore e ai suoi beni, alla fine dei giorni].
È evidente il parallelismo tra Dio e il popolo d’Israele, che come una moglie infedele ha provocato le ire del suo Sposo divino; per la prima volta nella Bibbia, Dio viene esaltato come lo Sposo del suo popolo, perché l’alleanza che lo lega ad esso, è un patto d’amore.
Il profeta Osea nei capitoli successivi, condanna le classi dirigenti d’Israele, i re che hanno fatto scelte laiche e mondane e i sacerdoti che hanno abbandonato lo zelo, trascurando il loro ministero, portando il popolo alla rovina.
Egli si scaglia contro le violenze e le ingiustizie, soprattutto contro l’infedeltà religiosa, ma poi il profeta, con pagine di eccezionale vigore, descrive l’amore di Dio con mirabili accenti di intimità e tenerezza, che sebbene tradito, continua vivo e pieno di sollecitudine, al fine di ricondurre a sé il popolo infedele.
A partire da Osea, la raffigurazione dell’alleanza tra Jahvé e Israele, non sarà più modellata, come al Sinai, sulla base di un rapporto tra un re e un suo vassallo, cioè un rapporto ‘politico’ tra due personaggi; viene invece rappresentata come una relazione d’amore tra due sposi, con aspetti di comunione, spontaneità, intimità; tema che verrà ripreso dai profeti successivi, sia pure in forme diverse, costituendo un simbolismo efficace anche per il Nuovo Testamento.
Al di là del simbolismo, con cui Osea ha scritto il suo oracolo profetico, per richiamare l’infedele popolo d’Israele, gli studiosi sono concordi nel ritenere vere le disavventure familiari del profeta, che egli trasfigura facendole diventare una parabola dell’intera vicenda del popolo, che di fronte all’amore fedele da parte del Signore, la “sposa” Israele, aveva risposto con l’infedeltà dell’idolatria cananea, definita appunto come prostituzione e adulterio.
Autore: Antonio Borrelli
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