Tra i dodici «Cavalieri di Madonna Povertà» (così Francesco era solito chiamare i suoi primi frati) era anche Angelo Tancredi di Rieti.
Era il 1209, quando il santo assisiate, allora missionario nella Valle reatina, incontrò il giovane Angelo, mentre si pavoneggiava nel nuovo vestito da cavaliere.
E Francesco, tramanda lo Iacobilli, «disse per istinto Divino: Signor'Angelo, t'hai lungo tempo cinto la spada, et altre armi militari; hora ti conviene portare in vece di cingolo una ruvida fune; per spada la croce di Christo, e per li stivali, e speroni calpestar la polvere, et il loto delle Piazze. Seguitami dunque; e ti farò Cavaliero di Christo. Mirabil cosa! Subito lo Spirito Santo piegò il cuore di quell'huomo alla volontà del Santo, che abandonate tutte le cose, subito lo seguì; et il giorno seguente si vestì dell'habito de' Minori; e compì il numero duodecimo de' Discepoli di esso S. Francesco, e con esso andò a Roma; e gli fù compagno in tutte le fatiche, penitenze, e tribolationi» (L. Iacobilli, Vite, I, 243).
Angelo divenne, quindi, uno dei compagni più intimi del santo: «a lui molto diletti», scrive il Celano.
«Era questo beato di sì dolce, e piacevole conversatione; che di lui diceva S. Francesco; che quello sarà stimato vero frate Minore, ch'haverà la fede del B. Bernardo Quintavalle; la semplicità, e purità del B. F. Leone, la mortificatione, e disprezzo del B. F. Ginepro, e la benignità del B. F. Angelo da Rieti; con la quale allettava gli huomini all'opere buone, e dava grand'essempio di patienza, e carità: massime per esser molt'humile, e disprezzatore di se stesso» (L. Iacobilli, Vite, I, 243).
All'inizio della sua vita religiosa, frate Angelo subì continui e gravi attacchi da parte dei demoni; narra ancora lo Iacobilli: «Non potendo star la notte in oratione in luogo solitario, per timor de' Demonij, che molto lo molestavano; lo conferì con S. Francesco; et egli gli comandò ch'andasse a meza notte sopra un'alto Monte, e che dicesse ad alta voce queste parole. Superbi Demoni, venitevene hor tutti, e fatemi quanto mal potete. Il che facendo puntualmente per obedienza, non tornò mai più alcuno di essi a molestarlo, e però rimase libero dal timore» (L. Iacobilli, Vite, I, 243).
La cortesia e la discrezionalità di Angelo, tanto lodata da s. Francesco, era un insieme di doti naturali e spirituali, che si traducevano nella gentilezza nel parlare e nei tratti squisitamente umani, capacità di ascolto, rispetto per gli altri e maturità di giudizio.
Per queste qualità Francesco scelse frate Angelo come suo guardiano personale, al quale volle ubbidire in tutto.
Tra i due, si instaurò un rapporto assolutamente fraterno, che aiuta a ricostruire, come in filigrana, due anni importantissimi della vita di frate «Agnolo» di Rieti: gli ultimi due di Francesco.
Il delicato incarico di guardiano del poverello di Dio, lo poneva in una posizione di privilegio, ma anche di grande responsabilità. Soprattutto nel periodo che va dalla venuta a Rieti del santo, inizi estate 1225, sino al momento della morte dello stesso, alla Porziuncola, il 4 ottobre 1226.
Bene ricordare che frate Angelo «l'an. 1224 andò con detto S. Francesco e con li Beati Leone, e Masseo, suoi discepoli al Monte della Verna, ove esso serafico Padre ricevè le sacre stimmate» (L. Iacobilli, Vite, I, 243).
I biografi accennano frequentemente al guardianato di Angelo Tancredi. Questi lo ebbe graditissimo ospite nella sua città natale di Rieti, quando vi giunse per essere curato agli occhi.
Fu senza dubbio Angelo a provvedere a tutto, a risolvere, ad esempio, il problema del trasporto di un ammalato in condizioni tanto gravi e su strade poco agevoli, su animali da sella o su una barella portata da frati o da due cavalli.
Sarebbe troppo lungo narrare gli episodi che si susseguirono in quei giorni, ritenuti giustamente tra i più belli e toccanti dell'intera vita di Francesco.
Come, per citarne solo alcuni, quello della donna di Machilone (oggi Posta, in provincia di Rieti), in cura dallo stesso oculista, alla quale il santo donò il mantello; il cuscino di piume stregato, che rendeva inquieti i suoi sonni, presso l'eremo di Greccio; il suono della cetra misteriosa in casa del canonico Tebaldo; la guarigione e punizione del prebendario Gedeone; il miracolo dell'uva a S. Fabiano (La Foresta); quello intensissimo e umanissimo della cauterizzazione a Fontecolombo.
Avvertendo imminente la morte, Francesco volle che frate Angelo e frate Leone gli cantassero il Cantico di frate Sole, con l'aggiunta della strofa a «Sorella morte». Fu l'ultimo omaggio che il frate reatino rese al suo amatissimo padre. E' possibile ben capire di quali sentimenti struggenti era ripiena la sua anima in quei momenti.
Angelo di Rieti sopravvisse trent'anni a Francesco; un periodo di profonda evoluzione dell'Ordine serafico, un cammino percorso assieme a frate Leone, all'insegna della continuità e fedeltà alla Regola.
E, fatto ancor più interessante, le poche notizie certe che abbiamo del frate reatino sono collegate direttamente a Chiara e alla sua comunità di S. Damiano, indice, questo, di una stretta comunione di vita e di partecipazione viva alla lotta che la santa stava sostenendo per amore alla povertà.
Chiara ebbe un ruolo non secondario all'interno delle prime dispute dell'Ordine francescano, che derivava dall'autorità spirituale che le era riconosciuta da tutti.
Frate Angelo visse le trasformazioni in seno all'Ordine, certamente non da protagonista, come lo fu frate Elia e lo stesso frate Leone. Per carattere e formazione non gli si addiceva il titolo di contestatore, bensì quello del moderatore.
Spirito concreto, non eccelse neppure nella contemplazione e in forme penitenziali.
Con ciò non si vuol dire che la sua adesione agli ideali degli zelanti della Regola sia stata fiacca e indecisa. Al contrario egli è rimasto sempre fedele al gruppo dei sodi, ma con una collocazione propria, in linea con quella che era la sua virtù caratteristica: la cortesia.
Angelo visse per lo più alla Porziuncola, assieme alla sua anima gemella, frate Leone, e fedele al pendolarismo eremo-città, che era stato l'ideale di vita di Francesco.
Nell'agosto del 1246 lo si incontra a Greccio, a firmare la famosa lettera indirizzata al padre generale, Crescenzio da Iesi.
Un documento interessante, non solo come fatto storico-letterario, in rapporto al problema delle fonti, ma anche come scelta di vita, avendo tutto il sapore di una fuga da Assisi.
Fuga da chi? E perché?
Frate Elia, benché accusato di aver favorito un certo lassismo nell'Ordine, aveva però difeso l'uguaglianza tra laici e chierici. Con l'elezione a generale di Aimone di Faversham e di Crescenzio da Iesi si ebbe quella che è stata definita la clericizzazione dell'Ordine francescano.
Il massiccio arrivo di chierici e di dotti ad Assisi dovette creare disagi ai «solitari» della Porziuncola.
Da qui la fuga di Angelo, Leone e Rufino, all'eremo di Greccio, dove, con l'incanto della natura, si poteva respirare l'esperienza della primitiva fraternità francescana.
Sostando nella celletta, «saxo prominente costructa», come Francesco, anche fra Angelo poteva «attendere liberamente alle cose celesti», ricordando, tra l'altro, la magica notte del Natale del 1223.
Gli abitanti di Greccio, poi, sembravano tanti frati e monache, come dalla descrizione che ne fa la Leggenda Perugina.
La lettera che i tre indirizzarono a Crescenzio da Iesi, faceva da introduzione ad uno scritto biografico su s. Francesco. Ci tenevano ad affermare che «in passato erano stati compagni, senza esserne meritevoli, del beato padre Francesco».
Furono, forse, le notizie non buone che giungevano da S. Damiano, circa l'aggravarsi della malattia di Chiara, a determinare il ritorno dei tre ad Assisi.
Accanto alla santa abbadessa morente, nell'agosto del 1253, troviamo loro, gli amici di sempre: Angelo e Leone.
Come scrive la Leggenda: «Sono presenti quei due benedetti compagni del beato Francesco, dei quali uno, Angelo, lui stesso in lacrime consola le afflitte; l'altro, Leone, bacia il giaciglio di Chiara» (Leggenda di S. Chiara Vergine, n. 45).
Francesco morente alla Porziuncola, esclusa Chiara, aveva aperto la clausura alla vedova Jacopa dei Settesoli. Ora Chiara si prendeva la sua bella rivincita: chiese accanto a sé i suoi frati.
Una comunanza di «fratres» et «sorores minores», che continuò anche dopo la morte della santa assisiate, come testimonia il cosiddetto Breviario di s. Francesco, donato da Leone e da Angelo alla abbadessa Benedetta, conservato come preziosissima reliquia nel protomonastero di S. Chiara.
A rappresentare l'Ordine minoritico nel processo di canonizzazione di s. Chiara troviamo ancora loro due: Angelo e Leone, chiamati a far parte della commissione presieduta da Bartolomeo, vescovo di Spoleto.
Frate Angelo si addormentò serenamente nel Signore il 13 febbrario 1257, alla Porziuncola.
Fu sepolto nella basilica di S. Francesco; oggi le sue ossa riposano, assieme a quelle di Rufino, Masseo e Leone, nella cripta della chiesa inferiore, come sentinelle d'onore all'arca di pietra che racchiude i resti di Francesco.
Autore: Paolo Rossi
Fonte:
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