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Beato Alfonso Navarrete Sacerdote domenicano, martire

Festa: 1 giugno

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Logroño, Spagna, 21 settembre 1571 - Omura, Giappone, 1° giugno 1617

Nativo della Vecchia Castiglia, entrò nel convento domenicano di Valladolid.Nel 1598 partì per le missioni nelle Filippine, dove si dedicò all'apostolato con tale entusiasmo e zelo che fu colpito da un forte esaurimento e i superiori lo fecero ritornare in Spagna. Nel 1611 ottenne di ritornare in Oriente. Fu prima a Manila e poi in Giappone, dove fondò le confraternite del Rosario e del ss.mo Nome di Gesù e diffuse il libro di fra Luigi de Granada Guida del peccatore in giapponese. Nel 1614 l'imperatore del Giappone iniziò la persecuzione vietando ai suoi sudditi di abbracciare la fede cattolica e intimando a tutti i missionari cattolici di lasciare il paese sotto pena di morte. Da questo momento fino al 1° giugno del 1617, giorno in cui fu decapitato, il b. Alfonso, instancabile come sempre, incoraggiava i cristiani a perseverare nella fede, battezzava, confessava, predicava, celebrava la s. Messa, riconciliava gli apostati.

Emblema: Palma

Martirologio Romano: A Omura in Giappone, beati martiri Alfonso Navarrete, dell’Ordine dei Predicatori, Ferdinando di San Giuseppe de Ayala, dell’Ordine degli Eremiti di Sant’Agostino, sacerdoti, e Leone Tanaka, religioso della Compagnia di Gesù, che in odio alla fede cristiana, per editto del comandante supremo Hidetada, insieme furono decapitati.


Il 7 maggio 1867 Pio IX beatificò 205 confessori della fede, martirizzati in Giappone nella prima metà del secolo XVII. Tra di loro figura pure Alfonso Navarrete, protomartire domenicano nell’impero del sol levante, cugino del B. Alfonso de Mena, ucciso pure lui in odio alla fede il 10 settembre 1622.
Egli nacque il 21 settembre 1571 a Logrono, nella Vecchia Castiglia (Spagna), da nobile famiglia. Ancora giovanotto si fece domenicano nel convento di San Paolo in Valladolid, e, quattro anni dopo, partì per Manila, capitale delle isole Filippine e centro della provincia del SS. Rosario, da dove salpavano i missionari per l\’evangelizzazione della Cina, del Giappone e dell\’Indocina.
Dopo che ebbe imparato la lingua del luogo, i superiori destinarono il Navarrete alla cura spirituale della Nuova Scozia, popolata da indigeni, cinesi, e indiani che professavano diverse religioni. Il beato si diede al ministero della predicazione e delle confessioni con tanto zelo che in poco tempo si esaurì. Il provinciale lo richiamò allora a Manila e poi lo rimandò a Valladolid perché si ristabilisse in salute. Ricuperate alquanto le forze, si recò a Roma (1609) per ottenere dal Maestro Generale, P. Agostino Galamini, la facoltà di cercare nelle province spagnuole cinquanta religiosi, dotti e di vita santa, disposti a seguirlo nelle isole Filippine, dove i domenicani convertivano alla fede cattolica intere città. Il suo viaggio fu coronato da successo.
In Giappone, fin dal 1602, un manipolo di Frati Predicatori lavorava sotto la guida del B. Francesco de Morales (+10 settembre 1622) alla conversione dei pagani. Avendo costui chiesto l’aiuto di altri missionari, il P. Navarrete ottenne il permesso di recarsi a Manila (1611) con un altro confratello. Sostò a Nagasaki per apprendere la lingua, poi si diede con sì grande zelo alla conversione degli abitanti di Meako, alle dipendenze del vicario il B. Giacinto Orfanel (+10 settembre 1622), che cadde in un grave esaurimento. Fu richiamato a Manila perché si rimettesse in salute, ma lo stesso anno (1612) ottenne di fare ritornò in Giappone.
Le crescenti ostilità verso i missionari, da parte dei protestanti e dei bonzi, spinsero il beato a riordinare la Confraternita del Rosario in maniera che potesse funzionare, sotto la direzione di alcuni laici da lui chiamati "maggiordomi", anche nel caso che sia lui che i suoi confratelli fossero stati costretti ad abbandonare il paese. Nei centri missionari in cui passava lasciava la Guida del Peccatore di Luigi di Granada (+1588), tradotta in giapponese, perché nelle adunanze domenicali fosse letta dai fedeli. Per combattere la bestemmia fondò la confraternita del SS. Nome di Gesù e, d\’intesa con il B. Apollinare Franco, francescano (+12 settembre 1622) e il B. Ferdinando di S. Giuseppe, agostiniano, istituì a Nagasaki, con buone rendite, un sodalizio per il soccorso dei poveri, molto numerosi nella regione, ed un ospizio per la raccolta dei bambini esposti ed abbandonati.
Nel 1614 il generalissimo (Shogun) Tokugawa Ieyasu (+1616) proibì ai giapponesi di farsi cristiani e ordinò a tutti i missionari di abbandonare il paese, sotto pena di morte. Essi furono concentrati tutti a Nagasaki per l’imbarco, ma con l’aiuto dei cristiani, al calare delle tenebre molti ritornarono sui propri passi. Il Navarrete per circa tre anni visse nascosto in casa del B. Gaspare Ficogirò (11 ottobre 1617) e Giovanni Mugnos, sempre pronto ad accorrere, sotto mentite spoglie, dove c’erano morenti da assistere, sacramenti da amministrare e liti da comporre.
In ottemperanza agli ordini del Shogun, lo stesso anno 1614 il governatore di Nagasaki ordinò ai soldati, venuti dal regno di Arima, di bruciare sulla pubblica piazza le reliquie e gli oggetti sacri delle chiese, di denudare le donne che si fossero dichiarate cristiane e di portarle così in giro per la città. Il missionario, inorridito a quello spettacolo, cercò d\’impedirlo facendo pressione sui capi, ma fu malmenato tanto barbaramente dai soldati che sarebbe morto se un cristiano giapponese non l’avesse sottratto alle loro mani.
Nel 1615 il Navarrete fu nominato vicario provinciale dei Domenicani rimasti in Giappone. Con l’avvento al potere amministrativo dello Shogun Tokugawa Hidetada (+1632) la persecuzione aumentò di furore. Essendosi egli accorto che, nonostante l\’editto di esilio, nel suo regno e specialmente nel principato di Omura, molti missionari esercitavano ancora il loro ministero, ne fece aspre rimostranze al governatore della città. Costui, mediante l’ausilio di apostati e delatori, cercò di catturarli.
I primi a subire il martirio furono il B. Pietro dell’Assunzione, francescano, e il B. Giovanbattista Machado, gesuita (+22 maggio 1617). Il 24 maggio 1617 il beato, avendo udito parlare della grande costernazione che la morte dei due missionari aveva cagionato nei cristiani, scrisse una lettera ai confratelli che si trovavano ancora in Giappone per avvertirli della decisione, che aveva preso, di recarsi ad Omura per ammonire i caduti e confermare nella fede i vacillanti anche a costo della vita.
Manifestò il suo eroico disegno al B. Ferdinando di S. Giuseppe il quale, essendo l’unico agostiniano rimasto in Giappone, accettò di condividerne le fatiche e i rischi. Costui era nato nel 1575 a Bellestero, nell’arcidiocesi di Toledo (Spagna), dalla nobile famiglia degli Ayala, nel 1594 aveva emesso i voti, a Montilla, nell’Ordine di S. Agostino e, dopo gli studi fatti ad Alcalà, si era dato alla predicazione ed era stato mandato successivamente nel Messico, nelle Filippine e quindi in Giappone (1605) con la qualifica generale di vicario generale del suo Ordine.
Quando i due coraggiosi missionari uscirono da Nagasaki, sostarono in casa di un buon cristiano per trascorrervi la notte. Il B. Francesco de Morales li andò a trovare per informarsi dei motivi che li avevano spinti a prendere quella pericolosa decisione. Appena si divulgò la notizia della partenza dei due missionari, molti cristiani provenienti da Nagasaki e da altre località li raggiunsero nel luogo dove si trovavano, e chiesero di potersi confessare. Giunti nel principato di Omura, i due missionari visitarono il sepolcro di Pietro dell’Assunzione e di G. B. Machado, e, per infondere maggior coraggio nell’animo dei cristiani, indossarono di nuovo l’abito domenicano che avevano deposto tre anni prima. Giunti a Nagoye, fu tale la ressa dei cristiani che volevano confessarsi e fare la comunione, che furono costretti a fermarvisi quattro giorni.
Quell’afflusso di fedeli esacerbò Michele, principe apostata di Omura. Sul far della sera egli mandò in quella città tre piccole imbarcazioni con alcuni soldati armati affinchè arrestassero i due missionari. Gli ordini furono eseguiti con umanità. Il Navarrete ne approfittò per consegnare ad uno dei commissari la lettera che aveva scritto al principe di Omura per rimproverargli l’apostasia dalla fede e l’uccisione di Pietro dell’Assunzione e di G. B. Machado. Il giorno dopo sia lui che il suo compagno avrebbero desiderato celebrare la loro ultima messa, ma non fu ad essi consentito. Mentre venivano condotti alla spiaggia per essere tragittati ad Omura, i fedeli si strinsero loro intorno per riceverne, in lacrime, la benedizione, per baciarne le mani e tagliuzzarne le vesti.
Temendo tumulti da parte dei cristiani, molto numerosi nella regione, il principe Michele pensò di farli decapitare in un’isola disabitata. Lo stratagemma riuscì vano perché i cristiani che accorsero furono talmente numerosi che i due prigionieri dovettero trascorrere diverse ore nell’udire le loro confessioni. Tra gli altri penitenti si notarono la nonna del principe apostata, Maddalena, e la zia materna, Marina, alla quale il Navarrete lasciò come ricordo la medaglia della Madonna che portava al collo.
I due prigionieri furono fatti salire in barca con il B. Leone Tanaca, catechista giapponese, trattenuto in prigione dopo il martirio del B. Machado, suo maestro. Mentre venivano trasportati nell’isola Coguchi con le casse racchiudenti i corpi dissotterrati di Pietro dell’Assunzione e di G. B. Machado, i servi di Dio si confortavano a vicenda tenendo in un mano la croce e nell’altra il rosario e una candela accesa. Giunti al luogo del supplizio P. Ferdinando volle baciare la spada che gli avrebbe reciso la testa e poiché sapeva molto bene il giapponese, parlò in difesa di sé e dei suoi compagni ai presenti ed esortò i cristiani, che erano riusciti a frammischiarsi ai marinai, a restare saldi nella fede. Postisi in ginocchio a poca distanza l’uno dall’altro furono decapitati il 1° giugno 1617 a Tacaxima.
Per impedire che i cristiani venerassero i giustiziati, il principe Michele ordinò ai soldati di mettere i loro corpi nelle casse che racchiudevano già quelli del B. Pietro dell’Assunzione e del B. Giovanbattista Machado, e di gettarli in mare con il corpo di Leone Tanaca, avvolto in un stuoia, piena di pietre. I cristiani fecero numerosi tentativi per ripescare i corpi dei martiri, ma inutilmente. Dopo sei mesi il mare restituì soltanto la cassa contenente i corpo di Pietro dell’Assunzione e di Ferdinando di S. Giuseppe. Essendo "ancora interi nelle carni e nelle vesti" essi furono ricevuti e custoditi con grande venerazione da quella fervente cristianità. Tra i beati martiri del Giappone figurano domenicani, francescani, agostiniani e gesuiti e molti laici appartenenti a tutte le classi sociali.
Piuttosto di rinnegare la propria fede essi a Nagasaki, a Omura, a Scimabara, a Iexdo e a Cocura di Bugen preferirono lasciarsi decapitare, crocifiggere, bruciare vivi a fuoco lento, immergere in acque bollenti o gelate, dilaniare con tenaglie e ferri roventi, sospendere per i piedi con la testa all\’ingiù e immersa in una fossa piena di immondizie. Le vittime della persecuzione furono migliaia, ma soltanto di 205 fu possibile, nei processi istruiti a Manila, a Macao e a Madrid, raccogliere prove sufficienti del loro martirio.


Autore:
Guido Pettinati


Fonte:
www.paginecattoliche.it

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Aggiunto/modificato il 2024-05-15

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