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Venerabile Mariano da Torino (Paolo Roasenda) Sacerdote cappuccino

Festa: .

Torino, 22 maggio 1906 - Roma, 27 marzo 1972

«Pace e bene a tutti!», queste parole accompagnate da un sorriso sono risuonate nelle case degli italiani per 17 anni, dal 1955 al 1972. «Pace e bene a tutti»: così terminava in letizia una delle trasmissioni televisive più seguite, definita “la più bella del mondo”. Il frate che ogni martedì all’ora di cena inchiodava al televisore fino a 17 milioni di italiani era il cappuccino padre Mariano da Torino. Riconosciuta l'eroicità delle virtù, è stato dichiarato venerabile il 15 marzo 2008 da Papa Benedetto XVI.



Decise di farsi santo
Nato a Torino il 22 maggio 1906, da illustre famiglia, al secolo si chiamava Paolo di Roasenda. Infanzia serena e tranquilla, cristianamente educato dai suoi familiari. Tra il 1917 e il 1922 frequentò il ginnasio-liceo dove fu costretto a fare le prime scelte di vita... e Paolo decise di farsi santo. A scuola prevaleva la mentalità liberale per cui “o Dio non c’è, o se c’è, non c’entra”. Vi erano professori massoni, occupati ad abbattere la fede cattolica negli alunni.
A costoro, Paolo, facendo gruppo con alcuni compagni animosi come lui, tenne testa con coraggiose e doverose contestazioni. Gli alunni che contagiavano il vizio, semplicemente li schivava... o li avvicinava per portarli a Gesù. Passò così gli anni della scuola pubblica, custodendo la fede e la purezza ereditate dalla sua famiglia.
In quegli anni, si era iscritto all’Azione Cattolica e frequentava il Circolo dell’Immacolata: «Grazie a questo ambiente – scriverà in seguito – ho reso più viva la mia fede; tutto è stato dono dell’Immacolata. Così mi temprai per le lotte della vita». Paolo fu segnato dalla presenza di Pier Giorgio Frassati (1901-1925), più anziano di soli 5 anni, in quella stagione del suo passaggio luminoso che irradiava dovunque Gesù.
Conseguita nel 1923 la maturità classica a soli 17 anni, si iscrisse alla facoltà di Lettere e Filosofia, dove la lotta si fece ancora più dura: seguire Gesù a viso aperto, è sempre andare contro-corrente, contro-vento. Studente universitario, si fece apostolo, adoperandosi attivamente per diffondere la sua visione cristiana della vita e attirare i compagni di studio a Gesù, con la parola e con l’esempio.
Intanto si dedicava con passione illimitata allo studio: il greco, il latino, il mondo antico e moderno, le lingue antiche come l’aramaico. Divoratore di libri, fin dai primi anni di età maturava una cultura sconfinata. A 21 anni si laureò con una brillantissima tesi (La campagna di Costantino in Italia) in Lettere classiche.

Il più giovane professore d’Italia
Decise allora di dedicarsi all’insegnamento tra i giovani. A 22 anni aveva già vinto la cattedra di greco e latino al liceo classico: il più giovane professore d’Italia.
Dal 1928 al 1940 Paolo di Roasenda fu professore colto, ammirato e seguito, nei licei di Tolmino (Gorizia), di Pinerolo (Torino), di Alatri (Frosinone), infine a Roma, prima all’Umberto I, poi al “Mamiani”, dove, dirà: «Con entusiasmo mai spento cercai di spiegare e commentare ai giovani Livio e Cicerone, Orazio e Virgilio, Omero e Platone».
Pubblicò presto, con l’intento di trarne accostamenti cristiani, un commento alle Epistulae di Orazio, alle Tusculanae e al Lelio di Cicerone. Tutto per elevare ai più alti valori e irradiare Gesù ai giovani allievi. «Mi sorride l’idea – scriveva nel 1930 – di un lavoro colossale fatto per rivedere tutto il sapere antico, greco e romano, alla luce di Cristo: commento degli autori che si leggono a scuola, dal punto di vista cristiano».
La scuola non gli bastava per la sua sete di apostolato. Scrisse allora profili biografici di giovani esemplari, collaborò con una cinquantina di articoli al Settimanale studentesco dell’Azione Cattolica. Organizzò convegni di studio, viaggiò per conferenze in diverse città d’Italia. Nel 1939 fu eletto presidente diocesano dell’Azione Cattolica a Roma. Affascinava dove giungeva. I giovani lo seguivano. Lui, Paolo di Roasenda, era lieto e fiero di farsi seguire per portarli tutti alla sequela di Gesù. Simpatico, attraente, intelligentissimo, attivo, spiritoso, sempre allegro. Scherzava volentieri, come quando era studente. Insegnava in modo incantevole e nel medesimo tempo amava giocare a pallone, a tennis, ben voluto dai più.
Tutti, vedendolo, sentendolo, prevedevano per lui una brillante carriera in qualsiasi campo fosse entrato: in politica, negli studi, a livello internazionale. Lui, dentro il cuore era assillato dalla ricerca della volontà di Dio: «Il Signore vede che io intendo dedicare tutta la mia vita come vorrà Lui per il bene delle anime». Gli bruciava dentro il fuoco dell’apostolo: «Molte volte mi viene una voglia matta di percorrere tutto il mondo, di avvicinare tutte le creature per invitarle ad amare sempre e di più il Signore».
Già militante nell’Azione Cattolica, si iscrisse al Terz’Ordine Francescano. Dalla Pasqua del 1933 fino al 1938 visse con i voti religiosi tra i Missionari della Regalità di Cristo, come laico consacrato nel mondo. Perché non si era fatto una famiglia sua propria? Perché Dio lo destinava ad un’altra via, e Gesù da sempre era stato il suo unico amore.

Con il saio di san Francesco
Un giorno dell’estate 1940, il prof. Paolo di Roasenda andò a far visita al collega prof. Boccasino. Il quale non era in casa. Paolo decise di aspettarlo e, per non annoiarsi, prese a sfogliare il primo libro che gli capitò sotto mano: era la biografia del cappuccino sant’Ignazio da Laconi, fratello laico, vissuto nel ’700, illetterato, umile questuante.
Quel religioso semplice e innamorato di Dio affascinò il dotto professore di Lettere classiche, che sentì subito un fortissimo desiderio di imitarlo... Fu allora che Paolo, sotto l’influsso materno dell’Immacolata da lui sempre invocata con fiducia per capire la volontà di Dio, prese la decisione di diventare religioso e sacerdote cappuccino.
Il 22 dicembre 1940 entrava nel Noviziato dei Cappuccini a Fiuggi. L’11 gennaio 1941 vestì l’abito di san Francesco, cambiò nome e volle essere chiamato fra’ Mariano da Torino, in onore della Madonna. Intraprese l’avventura del Noviziato con l’intento di «vivere una vita tutta per Gesù e per le anime», come scrisse di sé. Emessi i santi voti, compiuti gli studi teologici a Roma, il 29 luglio 1945 padre Mariano era ordinato sacerdote e celebrava la sua prima Messa. Scriveva, rivolto a se stesso: «Ora devi farti santo. Essere sacerdote vuol dire essere a servizio di Gesù e delle anime per dare loro Gesù. Sono finalmente sacerdote!». E ancora: «Dare Gesù alle anime, che missione sublime! Tutto il resto com’è misero e di nessun conto! Che io sia fedele al dono!».
Essere fedele per padre Mariano significava camminare veloce verso la santità, diventare trasparenza di Gesù. A questo fine pose al centro di tutto la Santa Messa: «Non posso – annotava – anche se convertissi tutto il mondo fare cosa più grande della Messa. La Messa è tutto. La mia parola darà luce alle anime, ma è solo la Messa che dona alle anime la redenzione di Gesù, perché è solo il Sacrificio di Gesù ripresentato dalla Messa sull’altare che salva il mondo dal peccato».
Iniziò il suo apostolato, parlando sulle piazze, con lo stile di Gesù e di san Francesco d’Assisi, nei cinema, nei cantieri di lavoro, per le strade, al mercato, all’uscita dagli uffici e dalle fabbriche. Sapeva attaccare il discorso con chiunque, chiedendo l’ora o raccontando una barzelletta. Sapeva introdursi con facilità estrema in tutti gli ambienti, una vera arte di inserire Gesù e il suo Vangelo nella conversazione umana, arte che tutti dovremmo imparare. Ma tutto non gli bastava. Era cappellano alle carceri “Regina Coeli” e all’ospedale “Spirito Santo” di Roma, lieto di avvicinare i suoi prediletti, i sofferenti, i peccatori, i malati e i poveri.
Poi lo chiamarono a parlare alla Radio Vaticana e alla Rai, allargando la sua missione e guadagnandosi la stima dei dirigenti.

Gesù in Tv
Nel 1955 fu scelto per una conversazione settimanale in televisione che da un anno aveva avviato i programmi in Italia. «Sento – scrisse – che dovrò rispondere al Signore di tante anime». Diventò subito molto popolare con un successo immediato e inaspettato. Si preparava meditando a lungo sul Vangelo, leggendo tutti gli studi su Gesù, arrivando a farsi leggere da un confratello che sapeva il russo quanto l’enciclopedia sovietica aveva detto di lui, negandolo: quella mattina andò via, dopo aver ascoltato quelle pagine stolte e bugiarde, con il cuore pieno di amarezza.
In Tv indicava dove trovarlo Gesù: sì, presente nei poveri, nei perseguitati, nei piccoli, ma vivo, Lui stesso in persona, nell’Eucaristia, nelle anime viventi della sua grazia santificante. Di lì, le sue conclusioni, sempre con un invito appassionato a vivere di Lui, a farlo entrare nella vita, nella società.
Lo vedevamo apparire sullo schermo, al martedì all’ora di cena e lo seguivamo attentissimi: il suo pubblico era dato da semplici e da intellettuali, da casalinghe, da politici illustri. Era tale il desiderio di ascoltarlo che numerose fabbriche furono costrette a chiudere in anticipo per consentire agli operai di seguirlo. Così padre Mariano cominciò a essere chiamato “il parroco di tutti”, “il missionario del video”, “l’annunciatore di Gesù-Amore”, “la barba del martedì sera”, e ancora di più “il banditore della consolazione di Cristo”.
Il successo fu grandissimo: nel 1962 aveva già 15 milioni di ascoltatori. Nel frattempo, padre Mariano non tralasciava la predicazione itinerante per ogni dove, “bruciato” dal desiderio ardente di far conoscere e amare Gesù e di arrivare ai fratelli più lontani. Sì, aveva cultura e fascino, ma il suo vero segreto era solo il suo amore immenso a Gesù, il pensiero dominante e totalizzante della santità.
All’inizio del suo singolare apostolato, nel 1955, aveva scritto: «Non si dà se non quello che si ha. Se si ha Gesù si dà Gesù». «Facciamoci santi: è l’unico modo per fare il vero Bene alle anime». «Solo i santi potranno salvare il mondo, non le belle parole, sia pure in Tv». Nel 1956 a Granada aveva visitato la tomba di fra’ Leopoldo da Alpandeire, un umile frate laico cappuccino che, morto a 92 anni, senza teologia aveva portato a Dio migliaia di anime, solo con la santità della vita. Padre Mariano commentò: «Fa di più un santo che mille teologi. Con un teologo si può anche discutere e dissentire; di fronte a un santo io chino il capo e dico: ha ragione lui e ho torto io».
A chi gli domandava: «Come devo farmi santo?», padre Mariano rispondeva dallo schermo: «Saper vedere, amare, seguire la volontà di Dio, lasciarsi assorbire dalla volontà di Dio, come Gesù». Gli domandarono: «Chi sono i santi?». Rispose: «Uomini come noi. Spesso, in partenza, peggiori di noi. Ma hanno creduto all’Amore, alla potenza dell’Amore, e si sono sforzati di vivere l’amore di Dio».
Il professore coltissimo, diventato padre Mariano, non posò la penna. Continuò a scrivere: migliaia di lettere in risposta a chi lo interpellava, centinaia di articoli sui più svariati problemi, una serie interminabile di volumetti agili e toccanti: tutto per annunciare e dare Gesù ai fratelli: «Ho tanto desiderio di amare Gesù e di farlo amare».
E un giorno dovette pure rivelare un altro segreto più intimo: durante la sua adolescenza, era stata Maria a conservarlo limpido e puro, poi a condurlo alla vita religiosa. A Lei, ormai ricco di meriti, così rendeva omaggio: «Non ci stacchiamo mai da Maria. La causa di tutti i nostri guai è di non credere abbastanza all’amore della Mamma Immacolata: ogni vita cristiana, ogni vita religiosa, dev’essere vita mariana: quanto più viviamo in Maria, tanto più viviamo in Cristo».
Gli anni erano passati, veloci... Venne la primavera del 1972. Aveva 66 anni il frate della Tv e continuava ad apparire fedele all’appuntamento televisivo ogni martedì. Ma in quel febbraio era diventato tutto giallo. «Sembro Mao Tse Tung» commentava ancora sorridendo. Ma aveva un tumore al fegato, incurabile. Quando lo seppe, abbracciò i suoi confratelli dicendo: «Morire serenamente è l’atto più bello che io possa compiere. Sia fatta la tua volontà, mio Gesù!». Andò incontro a Dio il 27 marzo 1972, dopo una vita intensissima di bene, di conversioni e di rinnovamento per un numero sconfinato di fratelli.
Prima di morire aveva dettato il suo ultimo messaggio per i suoi ascoltatori: «Mando un saluto affettuoso a tutti coloro che soffrono, ricordando loro che di tutto quello che possono fare nella vita, nulla c’è di più grande del dolore offerto con Gesù crocifisso. Vi auguro di accettare sempre la volontà di Dio. Pace e bene a tutti».


Autore:
Paolo Risso

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Aggiunto/modificato il 2020-07-12

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