Infanzia e famiglia
Maria Anna Rosa Caiani nacque a Poggio a Caiano, in provincia di Prato e diocesi di Pistoia, il 2 novembre 1863. Suo padre, Iacopo Caiani, era fabbro e fontaniere della Villa Medicea di Poggio a Caiano, mentre sua madre, Luisa Fortini, era dedita alla casa e alla cura dei figli: ne nacquero cinque, di cui Marianna, come la chiamavano tutti in famiglia, era la terza.
Fu battezzata il giorno dopo la nascita, nella chiesa parrocchiale di Santa Maria a Bonistallo, frazione di Poggio a Caiano. Ricevette la Cresima, invece, nel 1868, a circa cinque anni. Bambina vivace, accanita nei giochi, sapeva prendere le difese dei più deboli, a volte ricorrendo anche alle maniere forti.
In chiesa era assidua alle funzioni, che accompagnava con la sua bella voce. Era anche laboriosa e rapida nell’intrecciare la tipica paglia fiorentina, così da poter avere più tempo libero per la sua passione più grande: l’assistenza ai malati, che incoraggiava ad accostarsi ai Sacramenti.
«Quella che vendeva i sigari»
Il 22 marzo 1884, mentre si trovava a Firenze per cercare lavoro per il figlio Ugo, Iacopo Caiani morì improvvisamente. Alla famiglia fu concesso un appalto per la rivendita di sali e tabacchi, di cui si occupò Marianna insieme al fratello Osea, che si era sposato: gli altri figli, infatti, erano andati via di casa e si erano formati delle famiglie proprie. La casa divenne ancora più vuota dopo la morte della madre, il 23 ottobre 1890.
Anni dopo, quando ricordava quella sua esperienza, che le aveva fatto maturare un notevole senso pratico e una certa accortezza nel maneggiare denaro, Marianna amava definirsi «Quella che vendeva i sigari»; in fin dei conti, era un modo per non darsi troppa importanza.
Approfittava poi del lavoro per avvicinare i clienti e dare loro non solo la merce, ma anche qualche parola di conforto: in questo modo, provava a riportare a Dio tante persone che si dicevano lontane o indifferenti.
Appassionata del Rosario
Un’altra maturazione, ancora più profonda, si era compiuta in lei, a causa dei lutti familiari (prima del padre, era morto anche il fratellino Gustavo): era diventata più pensierosa e concentrata nella preghiera. In particolare, aveva scoperto la ricchezza del Rosario dopo aver sentito parlare della costruzione, a quell’epoca appena cominciata, del santuario della Madonna del Rosario a Pompei, e delle pratiche che il fondatore, l’avvocato Bartolo Longo (beatificato nel 1980) aveva rilanciato in appoggio a quel progetto: i Quindici Sabati del Rosario e l’Ora di Guardia.
Marianna recitava quotidianamente il Rosario insieme a chiunque volesse unirsi a lei, sia in casa, sia nella parrocchia di Bonistallo, dove importò le devozioni pompeiane. Chiese poi di essere iscritta al Terz’Ordine domenicano, per essere ancora più capace di amare la Madonna.
Sante amicizie
Nella sua ricerca di una vita più perfetta, Marianna aveva molti appoggi. Anzitutto il parroco di Bonistallo, don Giovanni Battista Cappellini, che la seguiva sin dal Battesimo. Poi don Carlo Torrigiani, presso il quale, a Comeana, viveva la zia Amalia Caiani, e don Fortunato Luti, che andava spesso a trovare quest’ultimo perché era rettore di una cappella gentilizia non lontana. Nella stessa casa erano poi di passaggio altri sacerdoti e vescovi: grazie alla loro frequentazione, la giovane capì che la Chiesa era qualcosa di ben più grande della sua parrocchia.
Ancora sconvolta per la perdita della madre, conobbe ai Bagni di Casciana, visitando la chiesa del paese, una giovane che, come lei, seguiva i Quindici Sabati. Era Teresa Papanti, la quale, di lì a poco, entrò nel monastero fondato da monsignor Pio Alberto Del Corona (beatificato nel 2015) a Firenze, col nome di suor Caterina.
La sera dell’11 gennaio 1891, Marianna decise di vegliare la zia Teresa, gravemente malata. Con sé aveva un libro, «Il culto di S. Giuseppe», di cui pensava di servirsi per assistere l’agonizzante. Appena arrivata, vide che era stata preceduta da un’altra ragazza, che aveva con sé lo stesso libro: si chiamava Maria Fiaschi.
Grazie a un’altra amica, Fabiola Berti, di Campi Bisenzio, conobbe poi suor Maria Teresa della Croce, al secolo Teresa Manetti fondatrice delle Suore Carmelitane di Santa Teresa di Firenze, dette “Bettine” dal soprannome che lei aveva sin da piccola (beatificata nel 1986).
Tra le Benedettine a Pistoia
Marianna, come anche le sue amiche, sentiva di dover servire Dio, ma non sapeva ancora come né dove. Insieme a Maria, pensò allora di fare domanda presso le Benedettine di Pistoia: il 4 ottobre 1893, accompagnata dai parenti, fece il suo ingresso.
Tuttavia, dopo pochi giorni, divenne ancora più pensierosa e pallida in volto. Quando però la badessa, donna Cristina Carobbi, le propose di pregare per un malato che non voleva ricevere i Sacramenti, trasalì e chiese di essere inviata ad assisterlo. L’altra ribatté che, essendo in clausura, non poteva uscire, ma la postulante incalzò di essere mandata comunque: la sua permanenza, in effetti, non sarebbe durata per molto.
Per cercare di farla rimanere, fu affrettato l’ingresso di Maria Fiaschi e venne chiamata anche suor Teresa Maria della Croce. Il suo commento, però, fu che Marianna avrebbe dovuto tornare a Poggio a Caiano. Lo fece 5 novembre, un mese dopo l’ingresso; di lì a poco, la raggiunse anche Maria.
In cerca di consigli
In paese, le due ragazze erano definite “smonacate” e, pertanto, si vergognavano quasi di uscire di casa. Tra i pochi che le aiutavano c’era Redenta Frati, giovane come loro, accomunata dal medesimo ideale.
Il 13 maggio 1894, domenica di Pentecoste, Marianna e Maria si confessarono dal padre cappuccino Raffaello Salvi da Firenze, che in quei giorni predicava a Bonistallo. Secondo lui, avevano fatto la scelta giusta: era volontà di Dio, infatti, che facessero del bene nel loro paese. Suggerì poi di rivolgersi a suor Elena Guerra, fondatrice a Lucca delle Oblate dello Spirito Santo (beatificata nel 1959): iniziò quindi una nuova amicizia spirituale.
La scuola itinerante
Le loro stesse compaesane suggerirono come dare seguito alla proposta del Cappuccino: avrebbero dovuto aprire una scuola dove insegnare ai bambini a leggere e a scrivere, nonché a prepararli ai Sacramenti.
Cominciarono presto, nella camera che Maria Fiaschi mise a disposizione, ma che presto risultò troppo esigua. Cambiarono più volte sede, cercando in pari tempo l’appoggio del vescovo di Pistoia, monsignor Marcello Mazzanti. In loro appoggio, lui decise di mandare un nuovo cappellano o viceparroco, don Marino Borchi.
Marianna non trascurò di pregare e di offrire sacrifici per ottenere la sede stabile. Una delle sue idee in tal senso fu indossare un abito penitenziale, di stoffa scura e pesante, durante la processione del Corpus Domini, a cui solitamente andava vestita di bianco; sul cuore, lei e Maria avrebbero portato un biglietto in cui avrebbero scritto una preghiera per chiedere la casa, o almeno una stanza.
Tempo dopo, passando di fronte a un gruppo di case situato di fronte alla Villa Medicea, lesse un cartello su cui era scritto che il proprietario concedeva delle stanze in affitto: pensò quindi che la sua preghiera era stata esaudita. Il 6 novembre 1896, quindi, salutò i familiari e si trasferì in quei due locali, insieme a Maria.
Una maestra mandata dal Sacro Cuore
La scuola era ormai ben organizzata; tuttavia, mancava una maestra diplomata, così da rientrare nei piani statali. Marianna, che alternava le sue giornate tra lezioni, visite ai malati, offerta delle fatiche quotidiane e di qualche sacrificio in aggiunta, continuava a chiederlo in particolare al Sacro Cuore di Gesù, cui era molto devota. Faceva anche pregare i bambini della scuola per quest’intenzione.
Nel gennaio 1891 due visitatrici bussarono alla porta. Venne ad aprire Marianna stessa, che domandò a una di loro: «È lei quella che ci manda il Cuore di Gesù?». «Sì, sono io», rispose Doralice Bizzaguti, quarantacinquenne, che era stata indirizzata lì da monsignor Del Corona.
Verso la nascita di un nuovo Istituto
Il 19 marzo 1901 venne approvato il Primo Regolamento. Doralice spingeva perché il loro gruppo diventasse un Istituto religioso vero e proprio, mentre Marianna pensava più ad aggregarlo a qualche congregazione già esistente. Intanto, per ordine del vescovo, dovette compilare un Regolamento, che fu approvato dal vescovo il 7 dicembre 1901, per un triennio di prova.
Un’altra sua riluttanza era relativa all’uso di un abito religioso: già lei e compagne avevano una sorta di divisa comune e pensava che bastasse. Le altre, però, lo chiedevano con ostinazione. Alla fine fu adottato un abito molto simile a quello dell’Ordine della Visitazione, a cui apparteneva l’allora Beata Margherita Maria Alacoque, depositaria delle rivelazioni del Sacro Cuore di Gesù.
Un tempo di ritiro prima della vestizione
I tentativi di Marianna per ottenere la fusione con un’altra realtà si orientarono verso le Suore “Bettine”. Il 6 ottobre 1902, dunque, lei e altre quattro compagne partirono per Campi Bisenzio, sede della loro casa madre.
Suor Teresa Maria della Croce, però, decise di non inserirle subito nella sua comunità, ma di far vivere loro gli Esercizi Spirituali come esterne. Otto giorni dopo, concluso il corso di Esercizi, Marianna comunicò alle altre che sarebbe tornata a Poggio a Caiano; anche loro fecero la stessa scelta.
Nascita delle Minime del Sacro Cuore
Il 15 dicembre 1902, due mesi dopo il loro ritorno, le cinque compagne iniziarono il loro nuovo cammino. Con la vestizione religiosa, Marianna divenne suor Maria Margherita del Sacro Cuore, sempre in onore alla Beata visitandina e al Cuore di Gesù. Il 12 ottobre 1905 fecero tutte la prima professione religiosa.
Restava da stabilire il nome dell’Istituto e la spiritualità da seguire. I bambini allievi delle nuove suore le chiamavano “le monache del Sacro Cuore” (nella parlata toscana non si fa differenza, chiamando “monache” anche le religiose non claustrali). Suor Maria Margherita confermò la loro intuizione, ma con un’aggiunta particolare.
Alla spiritualità domenicana, che pure non aveva abbandonato del tutto, si era affiancata quella francescana, grazie anche all’influsso di padre Raffaello. Come san Francesco e i suoi compagni si chiamarono “frati”, ossia fratelli, e “minori”, per indicare che volevano essere i più piccoli servitori del popolo, le suore dovevano essere ancora più piccole, quindi “minime”. Il nome definitivo fu quindi Minime del Sacro Cuore di Gesù, Terziarie Francescane.
Le prime case
Intanto, venne costruita una casa più grande, mentre i servizi richiesti alle suore, tra impegni nelle parrocchie e nelle scuole, quasi non si contavano più. «Vorrei che ogni suora fosse come una fata benefica che silenziosa e soave portasse l’ordine dovunque passa: una buona parola da confortare, da incoraggiare», auspicava suor Maria Margherita.
Aiutata da Doralice, in religione suor Maria Giuseppina, e dalle consorelle, completò la stesura delle Costituzioni, che furono approvate dal vescovo di Pistoia. Il 3 gennaio 1910 accompagnò alcune suore a Lastra a Signa: quella fu la prima casa filiale. La seconda fu anche la prima al di fuori della Toscana, perché le Minime del Sacro Cuore erano state chiamate dal vescovo di Lodi.
Durante la prima guerra mondiale, la loro assistenza negli ospedali da campo, nonché nelle loro stesse case trasformate in ospedali, le spinse fino a Milano. Lì il cardinale arcivescovo Andrea Carlo Ferrari (beatificato nel 1987), che favoriva l’arrivo di nuove congregazioni femminili nella sua diocesi, chiese loro di restare anche dopo il conflitto, come infermiere a domicilio.
Il 17 ottobre 1915 fu eletta madre generale a vita nel primo Capitolo generale dell’Istituto. Da tempo, però, era già chiamata “la Madre” da suore e bambini.
Madre Maria Margherita e il Sacro Cuore
Ogni volta che si apriva una nuova casa, madre Maria Margherita manifestava una certa preoccupazione, che lasciava presto il posto a una rinnovata fiducia nella Provvidenza e nel Cuore di Gesù. Farlo conoscere e amare era il suo scopo principale e voleva che fosse lo stesso per le sue figlie.
Nella lettera circolare del 13 giugno 1917, in occasione della solennità del Sacro Cuore, le incoraggiava così: «Non vi rammento, o carissime, la qualità delle offese che il Cuore suo riceve oggi dalla maggior parte anche di quelle dell’eletta sua schiera! No! Mi taccio e soffro. Almeno noi mie care figlie, amiamolo con pura e santa vita. Ripariamo coll’esatta osservanza dei nostri sacrosanti doveri. Ungiamo quelle ferite preziose, sanguinanti dell’incarnato Verbo Sposo nostro Divino, col balsamo della carità, dell’umiltà, della modestia e del vero spirito di abnegazione e di sacrificio».
La Madre e le sue figlie
Subito dopo, nella stessa lettera, scrive: «Manteniamo la nostra mente, per l’unione con Dio, sempre scevra da pensieri meno che santi, conserviamo nel nostro cuore puri e santi affetti pel prossimo: sia questo per noi o le nostre Consorelle, la cara gioventù, i bambini che il Sacro Cuore si degnò affidarci; e più ancora la parte del nostro prossimo più straordinaria che il Signore ci chiamò ad assistere nei poveri fratelli feriti negli ospedali». Usa toni simili in altre lettere dell’epistolario, dove esorta le consorelle anche a restare serene di fronte alle critiche, come lei stessa cercava di fare.
Non mancano poi punte di autoironia e di sincerità nel descrivere la propria condizione, come nella lettera scritta da Orio Litta il 29 aprile 1913 e indirizzata a suor Maria Giuseppina: «Se lo crede, io sono proprio ad una vera commedia o meglio tragedia con me stessa, a momenti sono rianimata da un certo spirito che mi solleva e mi rende facile e bello l’avvenire di quest’opera, un altro momento, cado in una fogna buia che mi leva il respiro».
Gli ultimi anni e la morte
Negli ultimi anni di vita, madre Maria Margherita soffrì di angina pectoris, a cui probabilmente, data la sua insolita inappetenza, si erano aggiunti problemi al fegato. Non poté neppure andare alla canonizzazione della Beata Margherita Maria, avvenuta il 16 ottobre 1920. Si accontentò quindi del resoconto di una consorella, offrendo anche quella rinuncia insieme alle critiche, alle mormorazioni e ai contrasti, compresi quelli con suor Maria Giuseppina, tanto diversa da lei di carattere.
Agli inizi del 1921 fu costretta a letto da una febbre persistente. Fu inviata alla casa sulla collina di Montughi, a Firenze, in convalescenza, sperando che si potesse riprendere in tempo per un pellegrinaggio di terziari francescani verso Roma.
Il 7 agosto, giorno della partenza, avrebbe dovuto essere riportata in casa madre, ma si aggravò talmente da sconsigliare il trasferimento. Poco prima, benedisse suor Maria Giuseppina, partita in sua vece.
La mattina dell’8 agosto sembrò migliorare, tanto che continuamente si rivolgeva alle suore: «Come siete buone voi tutte, figlie mie! Quanto è buono il Cuore di Gesù! Amatevi tanto e amate tanto il Cuore di Gesù!». Chiese quindi la Comunione come viatico e l’Unzione degli Infermi.
Più tardi si aggravò di nuovo, ma ebbe ancora la forza di affidare l’Istituto al Cuore di Gesù. Le sue ultime parole furono: «O Crux, ave, spes unica!» («Ti saluto o Croce, unica speranza», dall’inno «Vexilla Regis»), accompagnate dallo sguardo e dalle mani rivolte verso l’alto.
Morì dopo una breve agonia, alle 22 dell’8 agosto 1921, a cinquantotto anni, diciannove dei quali trascorsi nella vita consacrata. Lasciava tredici case e centoventiquattro suore.
La causa di beatificazione e canonizzazione fino al decreto sulle virtù eroiche
La santità di madre Maria Margherita, riconosciuta popolarmente già in vita, fu esaminata nell’apposita causa di beatificazione e canonizzazione, il cui processo informativo si svolse dall’8 agosto 1952 al 13 novembre 1957, presso le diocesi di Firenze e Pistoia.
Il 5 marzo 1970 si ebbe il decreto sugli scritti, mentre l’introduzione della causa, che nella legislazione del tempo segnava l’inizio del processo apostolico, ossia della fase romana, avvenne il 15 dicembre 1981. Gli atti del processo informativo e di quello apostolico furono convalidati il 25 gennaio 1985, anno nel quale fu presentata la “Positio super virtutibus”.
Il 7 febbraio 1986 si svolse la Consulta dei Teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, seguita, il 6 maggio seguente, dalla plenaria dei cardinali e dei vescovi della stessa Congregazione. Il 5 giugno 1986, il Papa san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui madre Maria Margherita Caiani veniva dichiarata Venerabile.
Il miracolo per la beatificazione
Come presunto miracolo per ottenere la sua beatificazione fu esaminata la guarigione di Alice Poli Mariti. Nel novembre 1946 era ricoverata all’ospedale Tabarracci (ora non più esistente) di Viareggio, per una tubercolosi all’ultimo stadio. La donna chiese subito l’intercessione di madre Maria Margherita, perché le concedesse la grazia della guarigione.
La notte del 20 novembre, le parve di vederla in sogno mentre le parlava e le tracciava un segno di croce sulla parte malata. Al risveglio, fu riscontrato un repentino miglioramento: il 6 dicembre, la donna fu dimessa in buone condizioni di salute.
L’inchiesta diocesana sull’asserita guarigione si svolse presso la diocesi di Lucca e fu convalidata il 7 marzo 1986. La Consulta Medica della Congregazione delle Cause dei Santi, il 7 marzo 1986, si pronunciò circa l’impossibilità di spiegare scientificamente l’accaduto. I Consultori Teologi, l’11 dicembre 1987, confermarono invece il nesso tra la guarigione e l’intercessione della fondatrice delle Minime del Sacro Cuore. Di parere positivo furono anche i cardinali e i vescovi membri della Congregazione, il 2 febbraio 1988.
Una settimana dopo, l’8 febbraio 1988, san Giovanni Paolo II autorizzò la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Alice Poli era dichiarata un miracolo avvenuto per intercessione della Venerabile Margherita Maria Caiani.
La beatificazione
Lo stesso Pontefice presiedette la sua beatificazione, avvenuta in piazza San Pietro a Roma il 23 aprile 1989. Insieme a lei furono elevati agli onori degli altari altri quattro Beati. La sua memoria liturgica fu fissata all’8 agosto, giorno della sua nascita al Cielo, ma le suore ottennero di poterla trasferire al 3 novembre, anniversario del suo Battesimo, in quanto la data precedente era già occupata dalla memoria obbligatoria di san Domenico di Guzmán.
I suoi resti mortali, dopo la beatificazione, furono composti in un simulacro, esposto alla venerazione dei fedeli in un’urna di cristallo collocata nella cappella della casa madre delle Minime del Sacro Cuore, in via Giuliano da Sangallo 2 a Poggio a Caiano.
Le Suore Minime del Sacro Cuore oggi
Il 25 aprile 1921, ossia poco prima della morte della fondatrice, l’Istituto fu aggregato all’Ordine dei Frati Minori. Il 3 febbraio 1926 ottenne il decreto di lode, diventando quindi di diritto pontificio. Le Costituzioni vennero definitivamente approvate dalla Santa Sede il 21 novembre del 1933, mentre il nome fu modificato in Suore Francescane Minime del Sacro Cuore.
La loro azione oggi si svolge in quattro continenti e in cinque nazioni: Italia, Egitto, Israele, Brasile e Sri Lanka. Molte fraternità, come quelle di Milano, hanno dovuto chiudere, ma nelle altre continua il loro ascolto dei bisogni dei fratelli, specie nell’educazione dei piccoli e nell’assistenza degli anziani, a domicilio e nelle case di riposo.
Autore: Emilia Flocchini
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