A quasi 1300 metri di altezza, nella catena del Partenio, nell’Appennino irpino, tra vette gigantesche che formano autentici baluardi dell’altopiano, sorge il più famoso santuario dell’Italia Meridionale, sul posto che ai tempi del grande poeta latino Virgilio, sorgeva un tempietto dedicato a Cibele, dea della natura e della fecondità. Virgilio che era un intenditore, salì varie volte su questo altopiano che porta il suo nome, lasciando i suoi impegni a Napoli, per trovare le pianticelle aromatiche per distillare gli elisir di lunga vita, che poi nei secoli successivi e ancora oggi, i frati produssero distillando i liquori benedettini tipici del luogo. Non era facile arrampicarsi lassù su quei monti dell’Irpinia, ma alle dovute soste per riposarsi, ci si poteva ritemprare lo spirito con le vedute mozzafiato che da lì si ammiravano, dal Vesuvio, alla vicina Avellino, l’intero golfo di Napoli con le meravigliose isole di Capri, Ischia, Procida e poi la vasta pianura della fertile Campania. Nei primi anni del 1000, arrivò su questa montagna un giovane pellegrino diretto in Palestina, ma per volere di Dio dirottato qui, Guglielmo da Vercelli. Con addosso un saio visitò i Santuari dell’Italia settentrionale, poi andò in Spagna a S. Giacomo di Compostella e al suo ritorno decise di percorrere tutta la penisola per andare in Terrasanta; ma proprio quassù Gesù gli apparve dicendogli di fermarsi e di erigere un tempio alla Vergine al posto di quello dedicato alla Gran Madre pagana. Guglielmo non era di carattere facile e dopo aver distrutto il preesistente tempio con l’idolo, si impose a vescovi e papi, per mettere in atto il suo intento e costruì una piccola chiesa alla Vergine Maria. Fondò una Organizzazione monastica germogliata dal tronco benedettino che chiamò Congregazione Verginiana; la fama di questi eremiti - monaci si sparse in tutta l’Italia Meridionale e Sicilia. San Guglielmo espose nella chiesetta alla venerazione dei fedeli, una piccola immagine della Madonna, che negli ultimi decenni del XII secolo fu sostituita da una bellissima tavola, dove la Vergine appare incoronata e in atto di allattare il Bambino, questa tavola è conservata nel museo del Santuario ed è detta ‘Madonna di s. Guglielmo’. Il santo monaco fondatore si spense probabilmente il 25 giugno del 1142 nel monastero di S. Salvatore in Goleto (AV), mentre i primi pellegrini salivano il monte Partenio, sempre più numerosi. Ben presto Montevergine diventò la casa madre di 50 piccoli monasteri che erano stati via via fondati, poté così imporre la realtà della propria esistenza ai papi ed ai re di Napoli, chiedendo la propria indipendenza. I re normanni ed angioini fecero a gara a dare all’abbazia, sorta vicino alla chiesetta, una autosufficienza economica, esentandola da tributi e donandole feudi e un castello per l’abate. Sotto gli angioini (1266-1435) la chiesa di stile romanico fu trasformata notevolmente nelle strutture ed ampliata in stile gotico, con altare maggiore cosmatesco e a tre ordini di colonne. La tavola della Madonna fu sostituita intorno al 1300 da una immagine imponente, su una tavola di notevoli proporzioni, rappresentante la Madonna, che prenderà il titolo di Montevergine, seduta su una grande seggiola, con il Bambino sulle ginocchia. L’icona giunse a Montevergine circondata da leggenda e devozione; si diceva dipinta addirittura da s. Luca, che aveva conosciuta la Madonna e aveva osato ritrarla, egli sarebbe soltanto l’autore del capo, ma sgomento non aveva finito il viso; addormentatosi, l’aveva trovato completato il mattino dopo da misterioso intervento celeste. Il quadro sarebbe stato prima esposto a Gerusalemme, poi trasferito ad Antiochia, poi a Costantinopoli, infine a Napoli, qui finì nelle mani di Caterina II sposa di Filippo di Taranto, la quale lo fece completare, si dice, da Montano d’Arezzo e lo donò al Santuario di Montevergine. Studi espletati nei secoli successivi, hanno escluso la pittura sia di s. Luca che di Montano d’Arezzo, attribuendo l’esecuzione dell’opera a Pietro Cavallino dei Cerroni, pittore di corte di Carlo II d’Angiò, che l’avrebbe dipinta fra il 1270 e il 1325, egli era portato per le opere di grandi dimensioni, infatti il quadro del santuario misura metri 4,60 x 2,10 e pesa otto quintali, con linee bizantineggianti e con intonazione personale proprio dello stile del Cavallino. Al popolo non è mai interessato chi l’avesse dipinta, essa piacque subito e nella semplicità della fede che gli venne tributata, la chiamarono la “Madonna Bruna” o anche “Mamma Schiavona”, etimologia incerta ma di sicura presa.. C’è tutta una letteratura descrittiva dei pellegrinaggi a Montevergine, con quadri e disegni di illustri viaggiatori che ne descrivevano il folklore, specie per quelli provenienti da Napoli; su carretti addobbati con cavalli e i suoni e feste che accompagnavano il ritorno; fino agli anni ’60 del nostro secolo i carretti erano stati sostituiti da auto decappottabili, tutte addobbate, come i pellegrini compreso l’autista noleggiatore, vestivano abiti uguali e tutti dello stesso colore sgargiante degli addobbi dell’auto. Oggi si sale con una comoda funicolare e con un agevole strada per auto e i bus; i pellegrini sono calcolati sul milione e mezzo ogni anno. Ma i pellegrinaggi veri e propri che si fanno da secoli, sono a piedi, salendo il monte anche di notte, molti a piedi nudi, per penitenza o per chiedere una grazia per sé o per i suoi cari. Per secoli sotto l’altare maggiore del Santuario furono custodite le reliquie di s. Gennaro, finché vinte la resistenze dei monaci e dei fedeli locali, esse poterono essere trasferite nel duomo di Napoli. Il Santuario ebbe ancora due rifacimenti, uno nel 1622 per ragioni statiche e di moda, con trasformazioni barocche e l’altro a partire dal 1948 fino al 1961, quando ci fu l’intera costruzione di un santuario più grande, inglobando però la precedente struttura. L’enorme quadro della Madonna è posto sulla parete di fondo su un nuovo trono che prende tutta l’altezza della parete. Interessante la sala degli ex-voto, dove già dal 1599 erano raccolte le tabelle votive, scolpite o dipinte raffiguranti le grazie che si era ricevuto, quasi tutte in argento; testimonianza storica di una fede ormai millenaria nella Madre celeste. Nella cripta vi sono in un’urna d’argento, i resti di s. Guglielmo di Vercelli fondatore, nelle due basiliche la vecchia e la nuova vi sono le tombe di vari principi, nobili, ecclesiastici, che nei secoli hanno voluto riposare accanto alla Madonna di Montevergine. Ai piedi del monte vi è il palazzo abbaziale di Loreto del 1700, residenza d’inverno dell’abate e di quasi tutti i monaci, spostamento dovuto al clima molto rigido ed alla neve del periodo invernale. Nel palazzo è ospitata la farmacia con una importante raccolta di vasi e l’archivio con incunaboli e novecento pergamene, molte scritte da re e pontefici, alcune risalenti all’epoca di s. Guglielmo.
Autore: Antonio Borrelli
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