Pietro fu il secondo successore - dopo san Leone - di suo zio Alferio, primo abate della Santissima Trinità di Cava dei Tirreni, fondata nel 1028. Pietro era nato giusto dieci anni dopo a Salerno e come Alferio apparteneva alla nobile famiglia dei Pappacarbone. Entrato tra i benedettini di Cava, fu sotto la guida spirituale di Leone. In seguito si ritirò a vita eremitica sul monte Sant'Elia e poi partì per Cluny, dove rimase cinque anni alla scuola di sant'Ugo. Al ritorno dapprima ebbe difficoltà a trasmettere la rigorosa riforma cluniacense ai monaci cavesi. Allora si ritirò nel monastero di Sant'Arcangelo del Cilento. Nominato vescovo di Policastro (di cui è patrono), rinunziò dopo due anni. Appianati i contrasti, nel 1079 successe a Leone e sotto di lui l'abbazia fiorì sia economicamente che come vocazioni (diede l'abito a oltre tremila monaci). Morì ottantacincquenne nel 1123. (Avvenire)
Martirologio Romano: Nel monastero di Cava de’ Tirreni in Campania, san Pietro, che, dopo aver seguito fin da giovane la vita monastica, fu eletto vescovo di Policastro, ma, stanco del clamore della vita mondana, ritornò in monastero, dove, divenuto abate, rinnovò mirabilmente la disciplina.
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Secondo successore di s. Alferio alla guida della quasi millenaria abbazia della Trinità di Cava, fondata nel 1020. Egli era nipote del santo fondatore, ambedue della nobile famiglia Pappacarbone e congiunto di sangue con i principi longobardi di Salerno, dove nacque nel 1038. Entrato giovane fra i benedettini di Cava, distinguendosi per l’ardore religioso e desiderio di mortificazione, fece grandi progressi spirituali sotto la guida dell’abate s. Leone I (1050-79) primo successore di suo zio s. Alferio Pappacarbone. Amante della solitudine si ritirò a fare l’eremita sul vicino monte S. Elia, poi partì per Cluny per perfezionarsi alla scuola di s. Ugo abate, dove stette per cinque anni. Ritornato a Cava fu nominato dal principe di Salerno Gisulfo II, vescovo di Policastro, ma dopo due anni di intensa opera pastorale, rinunziò alla carica riprendendo la sua vita ascetica a Cava, dove s. Leone I molto avanti negli anni, lo associò alla guida dell’abbazia. Pietro volle applicare rigidamente le norme di Cluny che aveva appreso in Francia, provocando una vivace reazione da parte dei monaci, che riuscirono a convincere delle loro ragioni anche il vecchio abate Leone. Pietro allora si allontanò dalla badia, ritirandosi nel monastero di S. Arcangelo del Cilento, dove restaurò la vita monastica secondo il rigore cluniacense. Dopo qualche tempo ritornò al governo di Cava, richiamato dai monaci che si erano ricreduti. Il 12 luglio 1079 morì l’abate s. Leone I e Pietro subentrò in pieno nella carica di abate di Cava e delle sue numerose dipendenze, governando con fermezza e sapienza. I principi di Salerno, furono molto generosi con lui concedendo feudi e beni, affidandogli più di 350 monasteri latini e greci nel Cilento, in Lucania, in Puglia e in Calabria. Sotto il suo governo, l’abbazia della Trinità di Cava divenne il centro di una potente congregazione monastica con svariate centinaia di chiese e monasteri dipendenti, ormai sparsi in tutta l’Italia Meridionale. Furono più di 3.000 i monaci cui Pietro diede l’abito; l’abbazia come tutte le dipendenze, godevano di privilegi ed esenzioni concessi con l’indipendenza assoluta dai vescovi, mentre i principi salernitani ed i signori Normanni, l’avevano dotata di poteri feudali; per controllare meglio il buon andamento delle dipendenze, introdusse la visita periodica dei monasteri, che poi i suoi successori tramutarono in Capitoli. Fu grande nell’esercizio delle virtù monastiche specialmente nell’orazione e la penitenza, praticò con insistenza la dolcezza e l’umiltà, soprattutto con i monaci e nella correzione dei sudditi, di cui ricevé sempre stima ed affetto. Si racconta di lui una ricca sequenza di avvenimenti miracolosi, che diffusero la sua fama in tutta l’Italia Meridionale. Nei primi giorni di settembre del 1092, il papa Urbano II, che l’aveva conosciuto a Cluny, arrivò a Cava dei Tirreni con un seguito di cardinali, vescovi, principi e baroni, compreso il duca Ruggero, provenienti da ogni regione del Meridione; il papa consacrò la nuova chiesa abbaziale, ampliata e trasformata in basilica a più navate, concedendo all’abate le insegne vescovili. Pietro I Pappacarbone, morì pieno di meriti ad 85 anni il 4 marzo 1123, venendo sepolto nella stessa cripta dei suoi predecessori. Se s. Alferio è stato il fondatore dell’abbazia di Cava, s. Pietro I è riconosciuto come il vero costruttore, cui si devono l'organizzazione della vita monastica e il meraviglioso impulso dato alla Congregazione Cavense. Policastro l’ha eletto suo patrono, celebrando con solennità la festa al 4 marzo.
Autore: Antonio Borrelli
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