Airasca, presso Torino, un giorno del 1916. Una ragazza di 13 anni si affretta a sbrigare le commissioni affidatele dalla mamma. A un tratto, le sale alle labbra, con un’intensità mai provata, un’invocazione: “Mio Dio, ti amo”. Sperimenta una grande gioia.
Si chiama Pierina Betrone ed è nata a Saluzzo (CN), il 6 aprile 1903, figlia di un panettiere, Pietro, e di Giuseppina Nirino. Ad Airasca, dove si sono trasferiti, i suoi ora gestiscono una trattoria. Nel 1917, si stabiliscono a Torino dove si occupano di un negozio di pasta e granaglie. Un ambiente molto concreto, impastato di lavoro e di buon senso.
Pierina cresce con tanta voglia di pregare, di studiare e di lavorare, di far del bene al prossimo. Entra nella “Compagnia delle Figlie di Maria”, la benemerita associazione presente nelle parrocchie che ha educato cristianamente tante ragazze, coltiva progetti di amicizia con Gesù e di apostolato. Si affida alla Madonna nello spirito della “santa schiavitù d’amore” di San Luigi de Montfort, affinché la sua vita, nelle mani di Maria, possa essere davvero tutta un dono.
È piuttosto dotata, bella e gentile. Dopo le elementari, continua, come può, gli studi – le scuole magistrali festive – alternandoli al lavoro nel negozio: sa di latino e di francese, di pittura... e scrive molto bene.
L’8 dicembre 1916, festa dell’Immacolata, dopo la Comunione eucaristica, sente per la prima volta Gesù che la chiama: “Vuoi essere tutta mia?”. Risponde: “Gesù, sì”.
Alla ricerca della via
14-15-20 anni. Pierina, nella sua parrocchia di San Massimo a Torino, lavora nell’Azione Cattolica, prendendosi cura delle ragazze, con intelligenza e dedizione, facendosi amare, soprattutto dalle più piccole e dalle più bisognose. Riceve ogni giorno Gesù nella comunione eucaristica, vincendo diverse difficoltà da parte di chi non la vorrebbe troppo spesso in chiesa, e con il cuore traboccante di Gesù spiega alle bambine che “la vita cristiana è un amore, sempre più grande, a Lui”. A loro insegna a ripetere spesso: “Gesù, io ti amo”.
Ha un temperamento appassionato e forte, ma dentro di sé, soffre un lungo periodo di oscurità interiore. Senza scoraggiarsi mai, si fa più ardente, prega e condivide i suoi ideali di consacrazione con alcune amiche che come lei saranno tutte di Dio. Un giorno va a pregare sulla tomba di Don Bosco a Valsalice: legge, attraverso il vetro dell’urna, un autografo del Santo che dice: “molti furono i chiamati, ma a loro mancò il tempo”. Comprende all’improvviso che la sua ora è giunta.
Proprio quella sera, le capita tra le mani “Storia di un’anima” di Santa Teresa di Gesù Bambino, e comincia a leggerla, nella sua stanzetta alla luce... del lampione di Via San Massimo. In quel momento, comprende la sua vocazione: “Sentii – dirà – che la vita d’amore di Santa Teresina potevo farla mia; questa santa avrei potuto imitarla. Ciò che più mi commosse fu la frase: “Vorrei amarlo tanto, Gesù, amarlo come non è mai stato amato!”.
È l’incontro decisivo: comincia a uscire dalla sua “oscurità”, a trovare la via della confidenza e dell’abbandono in Dio, perché nel suo amore, c’è ogni soluzione. Il 26 gennaio 1925, entra tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, ma dopo poco più di un anno, si convince che non è la strada. Tenta un’altra esperienza di vita religiosa al “Cottolengo”, dove rivela la sua sete di nascondimento e di sacrificio. Neppure lì è la sua strada e nell’agosto 1928, ritorna con i suoi familiari in Via San Massimo.
Dove è passata, fervorosa e sorridente, è stata molto stimata e amata.
Nel mondo, ma mai del mondo, 25enne, cerca ancora la sua via. Continua a lavorare nell’Azione Cattolica, prega intensamente, si consiglia per giungere e essere là dove Dio la vuole. Suor Maria, superiora delle suore del Buon Pastore d’Angers, le dice: “Se mi ascolta, entra tra le Cappuccine: è clausura e dicono l’Ufficio divino”.
Sulle orme di Francesco e Chiara
Il 17 aprile 1929, è accolta tra le Cappuccine di Borgo Po a Torino, anche se riconosce che nulla l’attira in mezzo a loro. Però quello è il posto voluto da Dio per lei da tutta l’eternità. La Grazia divina l’avvolge. Da quel giorno, non sarà più sola: c’è la Voce che l’accompagna, la voce di Gesù che l’ammaestra e la guida. La sua vita, ora che è diventata Suor Maria Consolata, si fa ogni giorno come “una storia d’amore”, un colloquio tra Gesù e lei, continuo, intenso.
Nei primi esercizi spirituali, in monastero, Gesù le dice: “Tu ti affanni per troppe cose... una cosa sola è necessaria: amarmi!” e le chiede un continuo atto di amore a Lui, con l’invocazione “Gesù, ti amo”. Consolata lo completerà così: “Gesù, Maria, vi amo: salvate anime”. Ormai ha soltanto un unico desiderio, un solo progetto che la prende tutta: amare Gesù e portargli tutte le anime della terra, soprattutto quelle più lontane, più traviate, i perduti.
In noviziato, dedita alla preghiera giorno e notte, alle piccole occupazioni quotidiane, impara a camminare sulle orme di San Francesco d’Assisi, “il serafico in ardore”, e della sua “pianticella”, Chiara, alla sequela di Cristo, fino a farsi immagine di Lui, un altro-Lui in povertà e letizia, “un ricamo d’amore”, in cui emerga il volto del Salvatore.
Nell’imminenza dei suoi voti solenni, Consolata spedisce tanti inviti per la sua “festa di nozze”, specialmente ai giovani, a quelli che sa più lontani da Dio, e chiede a tutti un dono: la Confessione e la Comunione. L’8 aprile 1934, il sacerdote, prima della Messa dei suoi voti, confessa circa tre ore e numerosissimi si accostano all’Eucarestia. Consolata è felice.
Gesù le domanda: “Mi credi onnipotente e infinitamente buono?”. “Gesù, sì!”. “Ebbene, risponde Gesù, ti dono tutte le anime del mondo: esse sono tue... e come io mi moltiplico in ogni Ostia consacrata, così moltiplicherò la tua preghiera, i tuoi sacrifici a favore di ciascuna anima del mondo”.
La sua vita è molto semplice: prima, viene impegnata a dipingere e prende lezioni di pittura, ma presto passa ai lavori più umili e faticosi: portinaia, ciabattina, cuciniera, tuttofare del monastero. Obbedisce sempre, con il sorriso sulle labbra, anche quando le costa, anche quando il lavoro la sfibra. Tutto per amore, come atto di amore a Cristo, per la salvezza del mondo, a cominciare da quelli della sua famiglia.
“Tu sarai la confidenza”
La “Voce” le dà lezione e le affida il suo messaggio al mondo: “Consolata, tu non metti limiti nella tua confidenza in Me e Io non metto limiti alle mie grazie verso di te. In grembo alla Chiesa, tu sarai la confidenza” – le dice Gesù, nell’agosto del 1935. Poco prima le avevo detto: “Guarda il Cielo, Consolata”. “E nell’azzurro meraviglioso, scoprii una stella, la prima stella della sera. Mentre la guardavo, Gesù gridò forte al mio cuore: «Confidenza». Nient’altro”.
E sempre Gesù che la istruisce sulla sua missione: “Ho sete del tuo atto d’amore, ma di amore totale, di cuori indivisi. Amami tu per tutti e per ciascun cuore umano che esiste. Ho tanta sete di amore. Dissetami tu. Coraggio e avanti!” (ottobre 1935). Consolata risponde sì continuamente: “Appena mi sveglio al mattino, comincio subito l’atto di amore e non lo interrompo mai!”. Questo è il suo unico proposito che rinnova ogni giorno, cercando in ogni cosa sempre “il più perfetto”, l’obbedienza assoluta, la dedizione totale di mente, cuore, fino a evitare ogni pensiero che non sia Gesù.
È Gesù che la invade, la occupa e le insegna anche per gli altri una “piccolissima via”, la medesima che ella sta percorrendo, quella dell’amore e della confidenza: “Tu appartieni alle piccolissime anime. Queste ti seguiranno nel darmi l’atto incessante di amore. Non saranno solo migliaia, ma milioni. A esse appartengono anche gli uomini. E alla tua morte, «le piccolissime» correranno a me, come un giorno, al tuo apparire sul piazzale San Massimo, correvano a te le bimbe più piccole”.
Nel 1938, Suor Consolata è assegnata al nuovo monastero di Moriondo (Testona-Torino) non lontano dalla ferrovia Torino-Genova, che le Cappuccine hanno appena aperto, per l’affluire di molte giovani tra di loro. Lavora sino allo sfinimento per adattare la casa, collaborando con i muratori, senza risparmiarsi alcun sacrificio. Che importa se diventa più fragile, diafana, sottile come un’ostia? Quel che solo importa è la redenzione del mondo, che Cristo sia conosciuto e amato, che il Paradiso si riempia di fratelli, che l’inferno sia evitato, anche dai peccatori più ostinati, da quelli che negano Dio. Per mezzo del suo incessante atto di amore, Gesù li salverà.
Viene la guerra, terribile. Consolata si offre a Dio, vittima, per la pace, per le intenzioni del Santo Padre Pio XII, per la Chiesa, per i giovani al fronte. Da quando è entrata in Monastero, ella si immola per la conversione dei sacerdoti che “hanno lasciato” il loro ministero, per la santificazione di tutti i sacerdoti, che chiama, con nome denso di carità: “i miei fratelli”. “Dammi le anime – prega come Don Bosco – e prenditi il resto”.
Anche tu puoi
La guerra finisce. Nel novembre 1945, Suor Consolata è ricoverata in sanatorio: è un sacrificio enorme lasciare la sua cella, la preghiera davanti a Gesù Eucaristico. Ma offre i suoi ultimi sì a Dio: intensi, pieni. Quindi passa al San Luigi a Torino, tra gli inguaribili. Le restano pochi giorni di vita. Con le mani intrecciate al Rosario, Consolata ripete sino all’ultimo: “Gesù, Maria, vi amo: salvate anime”.
Il 3 luglio 1946, rientra al monastero di Moriondo. Pesa ancora 35 chili e ha solo 43 anni. Ha un sorriso meraviglioso e tutte vogliono vederla e salutarla, ora che è in partenza per il Paradiso. Seguono 15 giorni di agonia. Il 17 luglio, l’ultima sera della vita, Consolata desidera essere vegliata: è la prima e l’unica volta. Alle tre del mattino si gira verso l’immagine di Gesù e della Madonna che ha vicino e prega, in piemontese: “Gesù, Maria, aiutatemi, perché non ne posso proprio più”. Un’ora dopo, vede Lui. È quasi l’alba del 18 luglio 1946, 60 anni fa.
Alla sua guida spirituale, il P. Sales, aveva scritto il 7 ottobre 1944: “Gesù, un giorno, mostrandomi al mondo dirà: si è fidata di me. Mi ha creduto. Sì, Gesù farà cose grandi... Consolata diverrà consolatrice. Mi chinerò con amore su chi soffre, chi dispera, chi impreca... Gesù e io: ci vogliamo tanto bene! Chissà poi nel suo Regno!”.
La fase diocesana della sua causa di beatificazione e canonizzazione si è svolta a Torino dall’8 febbraio 1995 al 23 aprile 1999; il nulla osta da parte della Santa Sede rimonta invece al 10 marzo 1995. Gli atti dell’inchiesta diocesana sono stati convalidati il 7 aprile 2000.
Il 6 aprile 2019, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui suor Maria Consolata veniva dichiarata Venerabile.
La sua piccolissima via verso il Cielo, fatta di confidenza e di amore, è possibile a tutti: anche a me e a te è dato di far della vita in unità con Gesù, un continuo atto di amore, per la gloria del Padre e la salvezza del mondo.
Autore: Paolo Risso
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