Ventura, rettore, nel XIII secolo, della chiesa di S. Bartolomeo vicino alla villa di Centoia presso Valdipetrina nel territorio di Città di Castello (Perugia), fu un sacerdote pio e zelante. Un giorno si imbatté in un mulattiere che tagliando la legna nel bosco bestemmiava orrendamente. Ventura lo corresse con dolcezza, ma l’uomo, infuriato, uccise il sacerdote con un colpo d’ascia nascondendo poi il corpo insanguinato sotto un mucchio di pietre. Secondo la tradizione tramandata dagli agiografi, una colomba percosse col becco la campana della chiesa del santo, facendola suonare a morto, e quindi volò su quel mucchio di pietre, per poi tornare di nuovo alla chiesa. La gente del luogo, accortasi del fatto, si mise alla ricerca del Ventura. Il corpo del sacerdote fu trovato dopo molti giorni e, raccolto devotamente, fu seppellito in una tomba nella chiesa. Da quel momento la chiesa di S. Bartolomeo prese il nome di San Ventura, e divenne meta di continui pellegrinaggi. Avendo un uomo, nel trasportare il corpo del martire, ottenuta la guarigione dal “male di rottura”, il Ventura fu invocato, da allora in poi, come protettore dall’ernia, Tutti gli agiografi pongono la data del martirio al 7 settembre 1250. Alla festa di San Ventura, celebrata annualmente, avvenivano spesso fatti spiacevoli, per cui il vescovo mons. Giuseppe Sebastiani decise di porvi rimedio. Ottenute le necessarie facoltà dalla Sacra Congregazione dei Riti, inviò in segreto due sacerdoti per fare la ricognizione del corpo del santo. In seguito, il 17 luglio 1684, lo stesso vescovo Sebastiani, con un cappellano, il cancelliere e un servitore si recò di notte a prelevare il corpo di Ventura, che fu accolto con ogni onore in Città di Castello e collocato nella chiesa del seminario in un’urna di noce dorata e intagliata, donata dal marchese Filippo Bufalini. Il vescovo intendeva così presentare ai chierici un modello di virtù e di zelo sacerdotale, fiorito in un’umile chiesa della diocesi. Nel 1752 il vescovo Giovanni Battista Lattanzi, riedificato il seminario dalle fondamenta, lo pose sotto la protezione dell’Immacolata Concezione e dei santi Florido vescovo e Ventura martire. Nel 1952 il vescovo Filippo Maria Cipriani pose il corpo del martire in una nuova urna, offerta dal clero diocesano, e fece ricomporre le ossa di Ventura, rivestendole dei paramenti sacerdotali con l’aggiunta di una maschera in cera, opera dello scultore Romolo Bartolini, che lascia scoperta la ferita del cranio. In quegli anni venne promossa la devozione a Ventura anche fuori diocesi con varie iniziative, proponendolo come “il martire antiblasfemo”. La festa del santo era, un tempo, la prima domenica di settembre sia in Valdipetrina, dove ogni anno si ponevano fanciulli sul suo sepolcro per preservarli dall’ernia, sia, dopo la traslazione, nella chiesa del seminario, mentre nei calendari la sua festa figurava al 7 settembre. Nel calendario della diocesi di Città di Castello la sua memoria fu di nuovo inserita, nel 1981, al 5 settembre, con ufficio e messa propri. Il Ventura è raffigurato con l’ascia conficcata in testa, oppure al momento del martirio, come nel quadro disegnato da Gian Ventura Borghesi e dipinto da Simone Nelli di Citerna nel XVII secolo per l’altare maggiore della chiesa del seminario. Una statua di stucco, anch’essa del XVII secolo, si trova nel Santuario di Belvedere assieme a quelle dei santi della Chiesa Tifernate. In cattedrale ci sono ben tre sue immagini: un affresco nella cappella del Santissimo Soccorso, opera di Bernardino Gagliardi; in gloria assieme ad altri santi tifernati, negli affreschi di Marco Benefial sulla volta del presbiterio; ed infine negli affreschi della cupola, opera di Tommaso Conca.
Autore: Elvio Ciferri
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