Perfetta nobildonna romana, bella, molto bella, corteggiata, stimata, ammirata, ricca, intelligente, s’intratteneva con principi e Pontefici… ma tutto questo non è stato sufficiente alla sua anima, alla sua sete di vivere un cristianesimo vero, intenso, intriso di carità. Visse per pochi, intensi anni, ma furono sufficienti per realizzare grandi progetti.
Gli echi della Rivoluzione francese si diffusero con grande facilità, anche perché la storia d’Italia, in quegli anni, veniva fatta più a Parigi che a Torino, che a Roma, che a Napoli. L’influsso che la Rivoluzione francese esercitò sull’Italia fu dapprima soltanto ideologico e limitato a quella sparuta pattuglia d’intellettuali che erano gli unici in grado di comprenderne le ragioni. Ma dal 1796 in poi le idee si vestirono da baionette, mettendo a soqquadro l’assetto politico della penisola e ribaltando il vecchio equilibrio: dopo il quasi ventennale dominio francese, firmato Napoleone Bonaparte, quei fermenti daranno vita ai moti risorgimentali.
Nel Regno di Napoli, governata dai Borbone, le idee rivoluzionarie provenienti dalla Francia non ebbero difficoltà a penetrare. Gravina faceva parte del Regno e proprio nel paese natio di Teresa avvenne la scissione del popolo in due partiti: quello dei Sanfedisti (conservatori) e quello dei Giacobini (rivoluzionari). I Giacobini, capeggiati da Rosa Brunetti, riuscirono a cacciare dal paese i Sanfedisti, ma la fuoriuscita durò poco perché i conservatori, capitanati dal cardinale Ruffo nel maggio del 1799, si misero ad assediare la città, tanto che costrinsero i rivoluzionari a fuggire. Così il popolo accolse le truppe regie del re di Napoli Ferdinando IV al grido di «Viva il Re, Viva la religione». L’antico regime che governava Gravina, nel 1816 dovette lasciare i poteri, in tal modo il duca di Gravina, don Filippo Bernardo II Orsini, rinunciò a tutti i diritti feudali in quella città. Orsini comunque rimase proprietario dei numerosi e vasti possedimenti privati con il privilegio di poter proseguire a fregiarsi del titolo ereditario di Duca di Gravina. È evidente che l’infanzia di Teresa, la quale respirò le incertezze e le paure di una nobiltà che si sentiva minacciata nelle sue secolari certezze - prestigio, ricchezza, potere e legame stretto con il trono e l’altare - venne attraversata da turbolenze e tensioni politiche che non potevano non lasciare traccia nella sua percettiva sensibilità e nella sua perspicace intelligenza. Nel 1735 Teresa con i suoi congiunti giunsero a Roma, dove il nome era ormai rispettato ed onorato grazie a papa Benedetto XIII della famiglia Orsini, la quale si installò nel rione Campitelli, fra i più antichi quartieri dell’urbe e ancora oggi è presente il palazzo Orsini nei pressi del teatro Marcello, palazzo che venne costruito con una parte del materiale ricavato dallo stesso teatro. Teresa rimase orfana di padre ad appena due anni. Lei era la primogenita e sua madre Faustina era in attesa del secondo figlio. Precocemente vedova, la madre di Teresa decise, con l’accordo degli altri parenti, di affidare la piccola alle cure delle suore del monastero della Sapienza di Napoli e a 12 anni Teresa venne trasferita a Roma per terminare il corso dei suoi studi prima dalle Orsoline, poi dalle Oblate della casa di Tor de’ Specchi. Non si conosce l’anno preciso nel quale Teresa raggiunse Napoli, forse verso i cinque anni o forse anche prima, sappiamo soltanto che a Napoli risiedeva la nonna materna. In Napoli ricevette, sotto la guida delle monache della Sapienza, il sacramento della cresima: era il 15 maggio 1801, probabilmente nella cappella dell’educandato. Da questi elementi biografici possiamo comprendere come l’infanzia della principessa Teresa sia stata parecchio solitaria, privata, come si è visto, della presenza del calore familiare e proprio per tale ragione sentiva prepotente dentro di sé il desiderio di donare amore
Educata nei migliori collegi di Napoli e di Roma, Teresa Orsini (Gravina, 23 marzo 1788 – Roma, 3 luglio 1829) esce dal mondo dell’istruzione per accedere ad una nuova vita, quella matrimoniale. Sposa un discendente di una famiglia principesca, Luigi Giovanni Andrea V Doria Pamphilj Landi (1779-1829). Il matrimonio viene celebrato il 2 ottobre 1808. Due anni dopo nasce Andrea (13 dicembre 1810); nel 1811 Leopolda; nel 1813 Filippo e nel 1815 Domenico. Teresa rompe l’usanza dell’epoca di affidare la prole a balie di campagna. Desidera lei, in prima persona, crescere i propri figli.
Non seppe mai «economizzare» la sua persona in nessun campo.
Teresa Orsini Doria Pamphilj fu sposa e madre, donna di grande Fede, di grande coraggio e di sapiente forza.
Così come si relazionava con aristocratici e alti prelati, si poneva in ascolto dei più sfortunati, dei bisognosi, dei diseredati e dei malati. Si è fatta piccola per stare in mezzo a loro.
Papa Pio VII diede finalmente inizio al prosciugamento delle paludi pontine, fonte inesauribile di miseria e di malattia. Centri di raccolta per diseredati o affetti dai morbi più disparati esistevano, ma il tutto era pressoché disorganizzato. Centri di raccolta che sovente si riducevano a ghetti, dove gli aiuti economici arrivavano in maniera discontinua e disorganizzata. Mancavano riforme serie e radicali per risolvere i problemi endemici della mancanza di igiene, della mancanza di pane, della mancanza di lavoro, della mancanze di strutture sanitarie. Pane, carne e latticini garantivano la salute, ma al popolo mancavano tali alimenti capaci di garantire e mantenere le energie umane e porre l’organismo in grado di attivare le sue difese immunitarie. Come una cattiva alimentazione poteva far precipitare nella malattia, così una corretta terapia alimentare, all’epoca unica strada perseguibile, poteva restituire la salute al paziente. I primi sostenitori di questa tesi erano i medici, i quali prescrivevano ai propri pazienti pochi preparati medici e insistevano molto sulla «dieta terapeutica» di carne, di «vino imbottigliato», di pane bianco, di caffè, uova, rosolio e mele. D’altra parte brodo di carne, pane bianco e vino rosso hanno avuto, fino all’avvento della penicillina, uno spazio privilegiato al capezzale di ogni malato, fidando non solo sulla saggezza popolare, ma anche sulle prescrizioni della scienza medica. Quando tali alimenti venivano a mancare si verificavano malattie quali: scorbuto, dissenteria, tifo petecchiale e colera, patologie sofferte da gruppi umani in condizioni di iponutrizione o disvitaminosi.
Teresa andava in cerca della sofferenza per tentare di soccorrerla e per tentare di risolvere, alla radice, i problemi della malasanità romana con metodi d’avanguardia e fondando una congregazione religiosa femminile, le Suore Ospedaliere della Misericordia, molte attive ancora oggi e in tutto il mondo. Una laica, dunque, che pensava ed agiva in nome dell’Amore a Cristo e per Cristo. Impegnata a tutto tondo nella famiglia e nel sociale con indicazioni che il Concilio Vaticano II pronuncerà più di un secolo dopo.
Avendo sposato un Doria, Teresa, in qualche modo, è legata a Casa Savoia. Infatti, Leopolda di Savoia-Carignano, si legò al Principe Andrea IV Doria Pamphilj.
Era nata il 24 dicembre 1744. Ricevette un’ottima educazione: parlava il francese, l’italiano e il tedesco. Conobbe il suo futuro sposo nel castello di Racconigi e nel Palazzo Reale di Torino. Il 17 maggio 1767 si unì con il Principe Doria, di tre anni più giovane. Gli sposi fecero il loro ingresso a Roma il 20 giugno 1767.
Teresa Orsini Doria visse la carità così come scrive oggi Benedetto XVI nella sua Enciclica Deus Caritas Est: «La carità non è per la Chiesa una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma appartiene alla sua natura, è espressione irrinunciabile della sua stessa essenza. […] Fin dall’Ottocento contro l’attività caritativa della Chiesa è stata sollevata un’obiezione, sviluppata poi con insistenza soprattutto dal pensiero marxista. I poveri, si dice, non avrebbero bisogno di opere di carità, bensì di giustizia». Ma «L’attività caritativa cristiana deve essere indipendente da partiti ed ideologie. Non è un mezzo per cambiare il mondo in modo ideologico e non sta al servizio di strategie mondane, ma è attualizzazione qui ed ora dell’amore di cui l’uomo ha sempre bisogno».
Ecco, Teresa Orsini Doria ha saputo vivere la carità qui e ora, nella Roma del suo tempo. E pur restando nobile, ricca, con un nome rispettabilissimo e onorato, ha utilizzato tutti questi strumenti per incidere più efficacemente là dove c’era bisogno, in particolare negli ospedali dove imperava l’inefficienza, la mancanza di igiene, l’incuria a discapito soprattutto dei poveri.
Gran parte della popolazione malata di Roma la conosceva e vedeva quella bellissima e ricchissima signora chinarsi sulle piaghe per risanarle, porgere medicinali, medicare, lenire i dolori e non soltanto quelli fisici, ma anche quelli morali e spirituali. Il suo modo di porgersi era sempre dolce e materno e a tutti portava Gesù.
Quando la principessa diede vita all’Unione delle Pie Donne (gli albori delle Suore Ospedaliere della Misericordia), proprio per entrare negli ospedali romani con metodi nuovi, personale formato, con scrupolo e coscienza professionale, lo fece ai piedi della Vergine Addolorata nella chiesa di san Marcello al Corso il 16 maggio 1821. Per questo motivo, alla sua morte, volle essere rivestita dell’abito nero della Madonna dell’Addolorata.
Il suo era un attivismo sereno, ma senza respiro. Il suo respiro, rotto per il troppo affaticamento, per quel suo consumarsi letteralmente d’amore, si fermò all’età di soli 41 anni. Non a caso Teresa è stata definita «martire della carità». Fra i bisbigli e i sussurri che si alzarono al corteo funebre (tutta Roma, ricca e povera partecipò alle esequie di questa nobildonna considerata «Madre») qualcuno la paragonò a santa Francesca Romana, altri a sant’Angela Merici…
Il 13 novembre 1998 il cardinale Camillo Ruini aprì il processo diocesano della Serva di Dio Teresa Orsini sposata Doria Pamphilj Landi e disse in quell’occasione: «Teresa poteva ben vantare l’avvenenza fisica. Ma una bellezza ancora più grande era quella che promanava dalle sue qualità morali» e, in una Roma carente di servizi sanitari e case di accoglienza per i più indigenti, la Serva di Dio «non esitò con il consenso del marito a mettere a disposizione i suoi beni. E pur nella dedizione ai più poveri, non trascurò la famiglia e l’educazione dei figlioli», ma «la carità e il servizio instancabile agli altri non potevano che minare la sua salute».
L’augurio più vivo è che Teresa Orsini Doria possa giungere presto all’onore degli altari, andando così ad aggiungersi a quella schiera di santi e sante di Dio che hanno esercitato in modo esemplare la carità, l’agape, l’amore misericordioso, portando la luce all’interno della storia degli uomini perché si sono lasciati spingere, come afferma san Paolo nella seconda lettera ai Corinzi (5, 14), dall’amore di Cristo.
Per approfondire:
Cristina Siccardi, Da ricca che era…Vita e opere della principessa Teresa Orsini Doria, San Paolo
Cristina Siccardi, Sulle tracce della madre. L'eredità spirituale di Teresa Orsini Doria Pamphili Landi, San Paolo
Autore: Cristina Siccardi
|