È da secoli chiamato così, semplicemente “Beato Giulio” e fra i tanti servi di Dio e venerabili che aspettano la glorificazione in terra, come quella che già godono in cielo, è uno dei più conosciuti e venerati. Infatti non vi è pellegrino, fra i milioni che si sono recati nei secoli, a rendere la loro devozione alla Madonna di Montevergine, nella chiesa della celebre abbazia benedettina fondata da s. Guglielmo da Vercelli, nel XII secolo sui Monti dell’Irpinia, che dopo la visita alla Madonna non sia passato a rendere, un sia pur breve omaggio a questo umile suo figlio, che riposa nella stessa chiesa. Giulio nacque nel XVI secolo a Nardò (Lecce) da nobile famiglia, la quale secondo le consuetudini del casato, lo fece educare nelle lettere e nelle scienze con l’aggiunta della musica, a cui il giovanetto era particolarmente inclinato. Divenuto giovane, si raccolse nella preghiera e nella meditazione, per decidere la scelta della sua vita; illuminato dallo Spirito Santo, distribuì i suoi beni ai poveri, lasciò la casa paterna e la sua città e vestito con il saio del pellegrino, si avviò verso la Campania, per trovare un posto adatto per il suo desiderio di solitudine. Dopo un certo tempo, lo trovò in una piccola valle con molti faggi detta “Chiaia” nel massiccio del Partenio in Irpinia e insieme ad un altro eremita di nome Giovanni, prese a condurre una vita di mortificazione, nella contemplazione delle cose celesti, dediti alla preghiera. La loro presenza e santità di vita, attirò molte persone, compreso i nobili Carafa, feudatari del luogo, i quali ammirati, fecero costruire per i due eremiti un eremo e una chiesa dedicata alla Vergine Incoronata; ancora oggi quel luogo dove sorgeva la chiesetta di cui sono rimasti pochi ruderi, si chiama “L’Incoronata”. A lavori ultimati Giulio e Giovanni si adoperarono affinché l’eremo e il nascente Santuario, fossero affidati ad un Ordine religioso e il papa Gregorio XIII (1502-1585), vi mandò i Benedettini Camaldolesi. Ma ormai il “Beato” Giulio era diventato troppo noto e in più si prospettava la possibilità che diventasse Superiore; allora per ritornare nel nascondimento e sconosciuto a tutti, lasciò l’eremo e andò a bussare all’abbazia di Montevergine, non tanto lontana, accolto con gioia dai monaci. Qui visse all’ombra della Madonna, prodigandosi con zelo instancabile per il decoro del Santuario e per il culto della Madre Celeste, soprattutto come organista. Compito che tenne per 24 anni, con maestria ed arte, al punto che molti fedeli accorrevano anche da Napoli, per sentirlo suonare durante le funzioni liturgiche. Per umiltà non volle essere ordinato sacerdote, non reputandosi degno e per umiltà, prima di morire, chiese ai suoi Superiori di essere seppellito sotto il pavimento della Cappella della Madonna, così da poter essere calpestato da ogni pellegrino, come il più grande peccatore. Il suo desiderio fu esaudito quando morì l’8 luglio 1601; la sua grande umiltà, fu esaltata dal Signore con un grande prodigio, infatti 20 anni dopo, nel 1621 quando si volle rifare il pavimento della Cappella, il suo corpo fu trovato intatto, con la pelle fresca e gli arti ancora mobili; e dopo tre secoli e mezzo, le sue spoglie mortali sono rimaste quasi allo stato del 1621 e sono visibili in un urna esposta alla devozione dei fedeli. La devozione popolare l’ha chiamato sempre ‘Beato’ anticipando la conferma ufficiale della Chiesa, che si spera avvenga al più presto; anche se da secoli ormai è considerato potente intercessore presso il trono di Maria e quindi per tutti è già il “Beato Giulio”.
Autore: Antonio Borrelli
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