C’era a Messina, nella seconda metà dell’Ottocento, «un pezzo di terra maledetta, abitata da un branco di bestie umane»: era il fatiscente e degradato quartiere “Avignone”, in cui a partire dal 1878 comincia ad aggirarsi un diacono, che si è messo in testa di risanare anche spiritualmente quell’angolo di mondo così malfamato.
Con grave scandalo dei messinesi benpensanti, che finiscono per chiamarlo “prete pazzo”, visto che anche da prete non perde il vizio di prendersi cura dei poveri; e davvero altro non può essere uno di nobile famiglia che si spoglia di tutto e si riduce ad elemosinare per dar da mangiare a pezzenti e diseredati.
In quegli stessi anni, a Graniti, a circa 60 chilometri e alle falde dell’Etna, sta muovendo i primi passi la piccola Maria, ultimogenita dei coniugi Majone. Le discrete condizioni economiche della famiglia mutano con la morte prematura di papà e non le è quindi consentito fare grandi sogni per il suo avvenire, anche perché è l’unica a contribuire al sostentamento della famiglia con piccoli lavori agricoli a giornata.
Non osa neppure dire a mamma che vorrebbe farsi suora e si confida solo con la sorella maggiore, Teresa, che ha lo stesso sogno e, in più, il corredo già pronto per entrare in convento. Quest’ultima, però, le cede il passo, donandole pure tutto il corredo e rinunciando per sempre al suo progetto di religiosa, e Maria parte insieme all’amica di sempre, Carmela D’Amore, per andare ad aiutare il “pazzo”, cioè don Annibale Maria Di Francia, il prete della solitaria ed incompresa battaglia nel quartiere messinese più povero e malfamato che ci sia.
Sembra che la Provvidenza, per le misteriose vie che essa soltanto conosce, abbia combinato di far incontrare lui, che sta sognando una congregazione di suore pronte a farsi “mangiare” dai miserabili, con la ragazza che non ha paura di farsi povera tra i poveri ed alla quale basta avere a portata di mano l’Eucaristia da ricevere e adorare e già le sembra di avere tutto, anche se ciò che l’attende avrebbe il potere di scoraggiare chiunque: cibo scarso, lavoro massacrante e umiliante, incomprensione e diffidenza dai poveri.
Lei tiene duro, sopporta, si adatta ed è così che la ragazza di Graniti diventa la colonna portante, anzi la cofondatrice, delle Figlie del Divino Zelo fondate dal Di Francia. All’inizio, infatti, le era stato riservato un ruolo di secondo piano rispetto all’amica Carmela, più anziana di lei, ma quando si deve sostituire questa, per una sua reale o presunta rigidità, tutto il peso della neonata congregazione viene a cadere sulle spalle di Maria.
Malgrado il nome impegnativo che le han dato, Nazarena, lei fatica a star dietro al vulcanico fondatore, che sembra divorato dal fuoco della carità e non si arresta davanti a nessuna difficoltà, pronto sempre a dare una risposta ai bisogni che gli si appalesano, passando con disinvoltura dalla creazione di nuovi orfanotrofi all’apertura di mense e ricoveri per senzatetto, malati e anziani soli.
Da lui suor Nazarena impara a fidarsi della Provvidenza che infallibilmente interviene, addirittura con mezzi miracoli. Anzi, il Padre è talmente sicuro che lei abbia un filo diretto con il paradiso da spedirla, nelle necessità estreme, davanti al tabernacolo fino a che la grazia non arriva; e la realtà dei fatti conferma l’efficacia della sua intercessione, anche se poi il merito va a sant’Antonio o a san Giuseppe, cui la neonata congregazione si affida volentieri.
Il terremoto del 1908, che solo a Messina miete 80 mila vittime, li vede impegnati entrambi sul fronte della carità a soccorrere e ospitare orfani e senza tetto e, soprattutto, a progettare la ricostruzione, perché si sa che i santi non stanno con le mani in mano.
Poi arrivano, a completare la sua donazione e la sua offerta di vittima, le sofferenze morali di un totale allontanamento dalla guida della congregazione, fino al completo isolamento degli ultimi cinque anni, travagliati anche dal diabete che la rende tutta una piaga. «Fate che nessuno bussi inutilmente alla nostra porta», raccomanda, sulla scia di Padre Annibale, ma c’è chi non capisce e critica questa sua prodigalità. Alla fine è bloccata a letto, per lentamente consumarsi.
«Cercate di essere sempre buone e vogliate tanto bene a Gesù» è la raccomandazione fatta a chi l’avvicina nei suoi ultimi giorni, lasciando intravvedere che questa è stata la sua semplice ma efficace regola di vita. Madre Maria Nazarena Majone si spegne il 25 gennaio 1939; riconosciuta l’eroicità delle sue virtù, si sta ora attendendo un miracolo per proclamarla beata.
Autore: Gianpierro Pettiti
Nascita e primi anni
Maria Majone nacque a Graniti in provincia e diocesi di Messina il 21 giugno 1869, ultima dei sei figli di Bruno Majone, contadino, e Marta Falcone. Ricevette il Battesimo il giorno dopo la nascita, nella chiesa parrocchiale di Graniti.
Crebbe vivace, a contatto con la natura, ma a 11 anni divenne orfana di padre: dovette allora contribuire con un lavoro al sostentamento della famiglia, insieme ai fratelli e alle sorelle.
Fu membro attivo della Pia Unione delle Figlie di Maria della sua parrocchia, fondata da don Vincenzo Calabrò. Insieme all’amica Carmela D’Amore, si recava spesso a trovare le donne anziane e ammalate del paese.
L’incontro con le Poverelle del Cuore di Gesù
Per il suo esempio di grande pietà per tutti, il parroco, don Antonio Siligato, chiese a lei e a Carmela di accompagnare due religiose, suor Rosalia Arezzo e suor Maria Giuffrida, giunte da Messina per raccogliere offerte per un orfanotrofio femminile nel quartiere Avignone, il più povero della città. Erano tra le primissime suore, sorte dal gruppo di volontarie che il canonico Annibale Maria Di Francia aveva scelto per gestire e sostenere quella pia opera: il loro nome era “Poverelle del Cuore di Gesù” ed erano state fondate il 19 marzo 1887.
L’incontro fu provvidenziale per Maria: seguendole per due giorni, capì di dover abbracciare la vita religiosa: comunicò quindi alla madre di aver compiuto uno “scambio di vocazione” con la sorella Concetta, che aveva accantonato il pensiero di entrare tra le Figlie della Carità per non dispiacere la madre. Quindi, il 14 ottobre 1889, venne accolta nella nuova fondazione come aspirante, insieme all’amica.
Da Maria a suor Maria Nazarena
Il suo noviziato trascorse fra quelle eroiche iniziali suore, che nel nascente Istituto, dovevano fare di tutto: lavare, pulire, rammendare, stirare, provvedere alla questua, educare e insegnare un mestiere alle assistite. Non avevano neppure un vero convento: abitavano infatti nel “Piccolo Ritiro di San Giuseppe”, ricavato da un piccolo spazio tra quattro catapecchie. Il 18 marzo 1890 Maria Majone vestì l’abito delle “Poverelle” e dopo due anni esatti fu ammessa alla professione religiosa, nella quale prese il nome di suor Maria Nazarena.
Il 15 aprile 1891 passò a palazzo Brunaccini, nel centro di Messina, per espresso volere del fondatore, che vi destinò l’orfanotrofio femminile. Nel giugno 1895 fu trovata una sistemazione definitiva: padre Annibale aveva infatti ottenuto dal Comune di Messina l’utilizzo dell’abbandonato e fatiscente monastero dello Spirito Santo.
Un anno di crisi, anzi, di benedizione
Il lavoro per le suore era molto duro, per cui alcune “Poverelle” preferirono abbandonare il campo: si creò, per questo e altri motivi, una situazione di crisi, che condusse il vicario generale della diocesi di Messina a minacciare lo scioglimento della comunità. Suor Nazarena fu nominata il 5 agosto 1896, direttrice dell’orfanotrofio in sostituzione di madre Maria Carmela D’Amore: aveva solo 27 anni.
Padre Annibale, intanto, era entrato in contatto con Mélanie Calvat, una dei due veggenti di La Salette, che all’epoca risiedeva a Galatina. La donna arrivò a Messina il 14 settembre 1897: il periodo della sua permanenza venne definito da padre Annibale «anno di benedizione». Intanto, suor Nazarena rimase sempre al fianco del fondatore, facendo da tramite tra la veggente e le suore.
Il nuovo nome: Figlie del Divino Zelo
Il 14 settembre 1901, padre Annibale comunicò all’arcivescovo di Messina, monsignor Letterio D’Arrigo, i nomi definitivi delle due congregazioni: “Figlie del Divino Zelo del Cuore di Gesù” per quella femminile, mentre quella maschile, che aveva preso il via il 16 maggio 1897, era denominata “Padri Rogazionisti del Cuore di Gesù”.
A entrambe era affidata la missione di portare avanti l’invito di Gesù: «Rogate ergo Dominum messis ut mittat operarios in messem suam», «Pregate dunque il padrone della messe affinché mandi operai nella sua messe». Il fondatore volle deliberatamente due nomi diversi: scelse questo per le suore perché il comando del «Rogate» era, per usare le sue parole, «espressione del divino zelo del Cuore di Gesù, il quale non una volta, ma più volte la ripeté».
A questo scopo, quindi, dovevano pregare per le vocazioni e promuoverle, dedicarsi all’educazione e santificazione dei fanciulli, specialmente orfani e bisognosi, negli Istituti Antoniani (così denominati perché messi sotto la protezione di Sant’Antonio di Padova) e in altre opere simili, soccorrere ed evangelizzare i poveri.
Lo sviluppo della congregazione
Madre Nazarena comprese in pieno questo spirito e lo attuò con le orfane affidate alle sue cure, che dovevano essere formate e messe in grado di affrontare la vita, facendosi a loro volta “operaie della messe”.
Rimase sempre alla guida della comunità, che si andava accrescendo: il 12 gennaio 1902 fu inaugurato un orfanotrofio a Taormina, con una scuola aperta alle esterne. Nello stesso anno, suor Nazarena venne nominata Superiora generale delle suore. Il 19 marzo 1907 pronunciò la professione perpetua nella chiesa dello Spirito Santo, annessa alla casa madre della congregazione.
Carità all’opera
All’alba del 28 dicembre 1908, Messina, come Reggio Calabria, fu quasi distrutta da un disastroso terremoto, in cui morirono i quattro quinti della popolazione. Il campanile della chiesa dello Spirito Santo cadde sui dormitori dell’orfanotrofio provocando, tra le suore, tredici vittime.
Madre Nazarena, che si trovava a Taormina, rientrò subito, mettendosi all’opera di soccorso: distribuì ai superstiti quello che riuscì a salvare delle provviste, seppellite dal crollo del forno dell’Istituto. Con padre Annibale, trasferì suore e orfani in Puglia. Questo diede l’opportunità alle due Congregazioni di uscire dalla Sicilia e di espandersi maggiormente.
L’approvazione diocesana
Pur essendo provata nel fisico, dai disagi, non rallentò mai la sua dedizione, neppure durante la Prima Guerra Mondiale, riuscendo a superare ogni crisi, specie la grave carenza di generi alimentari. Fu ricevuta in udienza, insieme al fondatore, dai papi Benedetto XV e san Pio X: furono le occasioni più felici della sua vita.
Il 25 maggio 1925 fu aperto un nuovo orfanotrofio a Roma, divenuto poi la Casa generalizia della Congregazione. Quasi un anno dopo, il 6 giugno 1926, il vescovo di Messina monsignor Angelo Paino concesse l’approvazione diocesana ai Rogazionisti e alle Figlie del Divino Zelo, con due decreti distinti.
La morte di padre Annibale
La gioia venne però turbata: madre Nazarena, la vigilia di Natale di quell’anno, ebbe una dolorosa caduta dalle scale. Padre Annibale, intanto, appariva da tempo stanco e affaticato: il suo stato di salute divenne ancora più precario a causa di una pleurite.
Madre Nazarena lo accolse nella casa estiva delle orfane di Fiumara Guardia, contrada di Messina, dove morì il 1° giugno 1927. La perdita l’angosciò molto: gli era stata vicina per quasi quarant’anni.
Nel nascondimento
Il primo capitolo generale, aperto il 18 marzo 1928, vide l’elezione di suor Cristina Figura come nuova Superiora generale. Madre Nazarena Majone fu quindi inviata a Taormina, dove rimase fino al 1932, quando venne eletta Vicaria generale e destinata alla Casa madre di Messina.
Nel 1934 venne collocata a Roma, ma visse quasi in completo isolamento, tenuta lontana da ogni responsabilità; in più, le consorelle e la Madre generale la trattavano con freddezza. Fu per lei un periodo di grosse sofferenze morali, ma anche fisiche: il suo fisico era provato dal diabete. Intanto, la congregazione ricevette, il 19 febbraio 1935, il Decreto di Lode, con cui diventava di diritto pontificio.
Madre Nazarena morì serenamente alle 11 del 25 gennaio 1939: aveva 70 anni di vita, di cui 47 di professione religiosa. Dopo i funerali, celebrati il giorno seguente, venne sepolta nel cimitero del Verano.
La causa di beatificazione
La fama di santità di cui già da viva madre Nazarena aveva goduto condusse le Figlie del Divino Zelo a chiedere che venisse introdotto il suo processo di beatificazione. La fase diocesana si svolse quindi nel Vicariato di Roma dall’8 gennaio 1992 al 2 giugno 1993. Intanto, il 4 maggio 1992, le sue spoglie mortali vennero riesumate dalla cappella delle Figlie del Divino Zelo al Verano e, l’11 maggio, traslate a Messina e tumulate nella chiesa dello Spirito Santo, annessa alla Casa madre.
Il 1° ottobre 1998 la sua “Positio super virtutibus” è stata consegnata alla Congregazione delle Cause dei Santi. Sia il congresso dei consultori teologi, il 9 maggio 2003, sia i cardinali e vescovi membri della Congregazione, il 28 ottobre successivo, hanno pronunciato parere positivo circa l’esercizio delle virtù teologali, cardinali e annesse da parte di madre Nazarena. Infine, il 20 dicembre 2003, il Papa san Giovanni Paolo II ha autorizzato la promulgazione del decreto con cui è stata dichiarata Venerabile.
Le Figlie del Divino Zelo oggi
Le Figlie del Divino Zelo continuano ancora oggi la missione cui furono destinate dal loro fondatore, che la Chiesa onora come Santo dal 2004. Presenti in tutti i cinque continenti, annunciano con la preghiera e col servizio, rivolto specialmente ai poveri, che ogni vita è vocazione.
Autore: Emilia Flocchini
|