È un uomo dei nostri tempi: alto, robusto, sorridente, il colbacco nero in testa, gli occhiali, la tonaca da prete lisa e la catena del Rosario in mano. Un uomo che ha saputo venire incontro agli ultimi della nostra società. Entra nelle discoteche e chiede qualche minuto ai disc-jockey per parlare ai giovani del Vangelo. Va per le strade, di notte, ad ascoltare le sofferenze delle prostitute. Cerca i senzatetto nelle stazioni. Nato nel 1925 a San Clemente (Rimini), Oreste è il settimo di nove figli. Il padre Achille, mutilato della Prima guerra mondiale, svolge lavori saltuari e spesso non lavora affatto. In casa manca il cibo. Il padre, la sera, riporta a casa il suo magro pranzo da dividere con i figli. Quanta miseria, ma anche quanta speranza e fede nel Signore! La madre Rosa Silvagni, casalinga, si fa aiutare da tutti i figli, canta e prega e non si scoraggia mai.
A sette anni Oreste ascolta la lezione della sua maestra che spiega tre figure di uomini: lo scienziato, il sacerdote e l’esploratore. Quel giorno Oreste decide che da grande farà il prete. A dodici anni entra in seminario e nel 1949 diventa sacerdote. In parrocchia a Rimini si fa amare dai giovani ai quali offre un “incontro simpatico con Gesù”. Hanno tanto bisogno di un maestro che li guidi! Insegna religione nelle scuole medie e nei licei a Rimini e Riccione. Un giorno, decide di portare i ragazzi in vacanza, in montagna, sulle Dolomiti. Nasce la casa “Madonna delle Vette”, da lui fondata nel 1961 ad Alba di Canazei (Trento). Poi pensa ai ragazzi meno fortunati: i disabili. Oreste vuole regalare una vacanza anche a loro. Nel 1968 li porterà sulle Dolomiti grazie ad alcuni giovani volontari che, assieme al sacerdote, danno vita alla “Comunità Papa Giovanni XXIII”.
Benzi pensa ai giovani, ma soprattutto ai più bisognosi: disabili, tossicodipendenti, senzatetto. Con la Comunità Papa Giovanni XXIII, oggi diffusa in tutto il mondo, crea le case famiglia: coppie di sposi con figli che accolgono in casa giovani orfani o con grandi problemi alle spalle. Va spesso in televisione, scrive sui giornali, dirige il mensile Sempre, pubblica libri. Con parole semplici parla del Vangelo, ma anche dei poveri. Esorta i politici a fare di più. Don Oreste Benzi è un uomo di Dio che non si limita ad avere fede. Agisce. La mano da dare ai poveri deve essere concreta: ascolto ma anche accoglienza; una parola buona, ma anche cibo e casa. E, soprattutto, lavoro, per dare a tutti la possibilità di vivere una vita dignitosa. Don Oreste Benzi muore a Rimini, nel 2007, nella “Capanna di Betlemme”, la casa da lui fondata per accogliere i senza dimora.
Autore: Mariella Lentini
Famiglia e infanzia
Oreste Benzi nacque il 7 settembre 1925 a Sant’Andrea in Casale, frazione del comune di San Clemente, non molto lontano da Rimini. I suoi genitori erano Achille Benzi, operaio e bracciante, rimasto mutilato durante la prima guerra mondiale, e Rosa Silvagni, casalinga, che si prendeva cura dei nove figli.
Oreste, che era il settimo, conobbe presto una vita di stenti: spesso il padre era disoccupato e faticava a procurarsi da mangiare per sé e per i suoi cari. Tutti i figli quindi contribuivano, come potevano, a coltivare il piccolo campo di grano di proprietà della famiglia. Il clima era complessivamente gioioso: i figli sapevano di dover dipendere in tutto dai genitori.
La mamma era molto credente, il padre meno, ma aveva un altissimo senso morale. Un giorno d’inverno, tornò a casa e raccontò ai figli e alla moglie di aver aiutato un ricco signore a liberare la sua automobile dal pantano. L’uomo gli lasciò due lire di mancia, ma quel che colpì maggiormente il povero contadino fu che gli strinse la mano, riconoscendolo uguale a lui, indipendentemente dal ceto sociale. L’episodio rimase fortemente impresso nella mente del piccolo Oreste, che già iniziava a pensare al suo futuro.
Dovette però ripetere la prima elementare, perché aveva contratto il morbillo ed era rimasto malaticcio per l’inverno seguente. Rileggendo il suo passato, in seguito comprese che quell’evento, vissuto inizialmente da lui come un’ingiustizia, poteva essere stato un segno della Provvidenza.
Vocazione
Collocato nella classe della maestra Olga Baldani, passò in seconda: fu in quell’anno che la donna fece una lezione particolare. Parlò ai bambini di tre figure: lo scienziato, il sacerdote e l’esploratore (o il pioniere). Oreste fu impressionato specialmente dal modo in cui l’insegnante gli aveva presentato la seconda figura e, tornato a casa, annunciò: «Mamma, io mi faccio prete».
Dovette però aspettare: nel 1937, a dodici anni non ancora compiuti, iniziò gli studi nel Seminario dei padri Comboniani, prima di Riccione e poi di Urbino. Dalla quarta ginnasio passò a quello di Rimini, trasferendosi, per il liceo, nel Seminario di Bologna: Rimini, infatti, era stata colpita dai bombardamenti degli Alleati durante la seconda guerra mondiale. Quando anche il Seminario bolognese fu chiuso a causa della guerra, completò il suo percorso nella sede di Montefiore Conca (Rimini), dove allievi e professori erano sfollati.
Dalla quarta ginnasio in poi fu sempre “prefetto”, ossia responsabile di un gruppo di seminaristi, anche per avere delle agevolazioni economiche: i suoi, infatti, gli pagavano gli studi chiedendo a volte, l’elemosina. L’idea di sacerdote che gli venne dagli anni della formazione fu quella di un uomo che si lasciasse «strapazzare per le anime»: era l’esempio che gli veniva anzitutto dal suo vicerettore, monsignor Emilio Pasolini.
Ordinazione sacerdotale e primi incarichi
Il giorno della sua ordinazione sacerdotale fu il 29 giugno 1949, per l’imposizione delle mani di monsignor Luigi Santa, vescovo di Rimini. Il primo incarico di don Oreste fu alla parrocchia di San Nicolò al Porto, come cappellano (ovvero viceparroco). Nei sedici mesi della sua permanenza instaurò un’intensa relazione con i ragazzi della parrocchia.
Nel 1950, don Oreste fu nominato vice-assistente della Gioventù Cattolica e iniziò a insegnare francese, italiano, latino e matematica nel Seminario di Rimini; quattro anni dopo, gli giunse anche la nomina a direttore spirituale dei seminaristi tra i dodici e i diciassette anni. Sempre nel 1954 iniziò a insegnare Religione nelle scuole statali: prima presso la Scuola Agraria «San Giovanni Bosco» di Rimini, poi al liceo classico «Giulio Cesare» e al liceo scientifico «Serpieri» di Rimini; dal 1969 insegnò al liceo scientifico «Alessandro Volta» di Riccione. Nel 1954 lasciò l’incarico in Azione Cattolica, ma continuava a venire cercato dai suoi ragazzi: li riceveva ogni sabato, dalla mattina fino a notte inoltrata, per un colloquio o per la confessione.
«Un incontro simpatico con Gesù» per i giovani
Queste esperienze gli servirono per sondare l’animo dei giovanissimi, scoprendoli assetati di qualcosa che non avesse limiti. Divenne allora persuaso che per loro ci volesse «un incontro simpatico con Gesù».
Anni dopo spiegò quell’espressione in questi termini: «Dobbiamo avere un incontro simpatico con Cristo; e quand’è che uno ti è simpatico? Quando tira fuori la parte più bella di te. Un incontro simpatico con Cristo vuol dire che quel che è in Gesù risuona in noi. Non perdo più tempo: simpatico deriva da “sentire insieme”, vuol dire coincidere nel sentimento, coincidere l’uno nell’altro. L'incontro con Gesù toglie dalla solitudine. Anche il povero ti diventa simpatico, anche quando ti sputa. Se senti il cuore di Cristo che batte in te, tu diventi simpatico. È qui il punto centrale».
Una casa in montagna
Il suo primo progetto per gli adolescenti fu la costruzione di una casa di vacanze in montagna. L’idea gli venne nel 1955, mentre era ospite di un amico sulle Dolomiti, per problemi di salute. Col permesso del vescovo di Rimini, nel 1958 don Oreste partì per gli Stati Uniti allo scopo di raccogliere fondi, affidandosi in parallelo all’intercessione della Madonna.
In molti gli diedero fiducia, ma incontrò anche qualche incomprensione, che crollava quasi subito. Ad esempio, un orefice non credeva che don Oreste fosse un sacerdote vero e che fosse cattolico. Bastò che lui gli mostrasse il Rosario che teneva in tasca per fargli esclamare: «I believe», «Ti credo». La casa, costruita ad Alba di Canazei e intitolata alla «Madonna delle Vette», fu inaugurata nel 1961.
Il legame con i disabili
La vita di don Oreste ebbe una nuova svolta nel 1968. Venuto a sapere dell’apertura di un Centro medico-psico-pedagogico per disabili a Rimini, prese contatti con la responsabile per sapere se poteva fare qualcosa per gli ospiti: gli fu proposto d’insegnare loro il catechismo.
Ormai si era creato un legame fortissimo tra lui e loro, tanto che si rese conto di una nuova ingiustizia: che non potessero andare in vacanza in montagna, come gli adolescenti della «Madonna delle Vette». Così, al grido di «Diamo una vacanza a chi non ce l’ha», propose ai suoi studenti del liceo scientifico di aiutarlo.
La nascita dell’Associazione Papa Giovanni XXIII
Il settembre del 1968 segnò quindi la prima vacanza di condivisione tra gli studenti, altri giovani e portatori di handicap. Anche allora ci furono contrasti, con l’Azienda di soggiorno di Canazei, ma don Oreste si oppose: quella, per lui, era una forma di razzismo.
«Dove siamo noi, lì anche loro» era il principio che guidava lui e i giovani volontari. Da quel primo gruppo cominciò a svilupparsi la futura Associazione Papa Giovanni XXIII, che ottenne il riconoscimento della personalità giuridica nel 1972.
Una nuova esperienza di parrocchia
Una nuova esperienza si aprì per don Oreste, ancora nel 1968, nella parrocchia La Resurrezione, situata nel quartiere periferico di Grotta Rossa a Rimini. Insieme a don Elio Piccari (che aveva guidato la vacanza a Canazei), a don Sisto Ceccarini e a don Romano Migani, avviò un’esperienza di parrocchia guidata da una comunità di sacerdoti, perché, come diceva spesso, «la gente altrimenti non capisce che cos’è una comunità»; di fatto condivideva la responsabilità con don Piccari.
Iniziò a celebrare l’Eucaristia in un garage preso in prestito: «Dove si dice una Messa la vita cambia», era un’altra delle sue convinzioni. Aprì anche un asilo, nello stesso modo. La chiesa vera e propria fu consacrata nel 1972, anno in cui fu inaugurata anche la struttura dell’asilo.
La prima casa-famiglia
Il 3 luglio dell’anno seguente ci fu l’avvio, a Coriano, della prima casa-famiglia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, per cercare di superare un’ulteriore ingiustizia: che i bambini non avessero una mamma e un papà.
«Dio ha creato la famiglia, l’uomo ha creato gli istituti» era un’altra delle sue frasi, realmente ad effetto. Immediatamente le famiglie, spesso giovanissime, accolsero bambini e ragazzi anche con gravi disabilità, come Silvio, sedicenne, che rischiava di essere rinchiuso in ospedale psichiatrico. Restava muto per lunghi periodi, ma prorompeva improvvisamente in un grido: «Sempre».
Fu quella parola che diede il titolo, nel 1977, a un nuovo periodico: non solo organo ufficiale della Comunità Papa Giovanni XXIII, ma anche mezzo per annunciare il mondo nuovo che nasceva dall’autentica condivisione di vita con gli emarginati.
Il primo riconoscimento ecclesiale e lo sviluppo all’estero
Il 1980 fu l’anno in cui, insieme a quanti si sono aggregati al primitivo gruppo, don Oreste stilò lo «Schema di Vita» della Comunità Papa Giovanni XXIII: il primo riconoscimento ecclesiale, a livello diocesano, arrivò nel 1983.
Nello stesso anno cominciò anche l’affiancamento ai tossicodipendenti, con la nascita di comunità terapeutiche. Inaugurò personalmente la prima casa-famiglia in terra di missione, precisamente a Ndola, in Zambia, il 24 maggio 1986. Fu l’inizio di numerosi viaggi all’estero, per visitare, consolidare e avviare attività.
Don Oreste tra le «prostituìte»
Il più famoso apostolato, per usare un termine forse desueto, di don Oreste, ebbe inizio nel 1990. Col suo inconfondibile colbacco di pelo nero e il soprabito o il giubbotto sopra la tonaca, prese ad accostare le donne costrette alla prostituzione (non «prostitute», precisava, ma «prostituìte»).
Con un sorriso, si presentava come sacerdote e, spesso, domandava loro: «Do you love Jesus?». La risposta affermativa di molte condusse a un percorso di liberazione da quella forma di schiavitù. Anche donne tentate di abortire o giovani decisi a rifiutare il servizio militare trovarono in lui un sostenitore convinto.
La sua produzione editoriale
Fu parecchio vasta anche la sua produzione editoriale: libri di pedagogia, di spiritualità, meditazioni sulla Parola di Dio e sui misteri del Rosario, quasi tutti pubblicati da Sempre Comunicazione, la casa editrice della Comunità.
Perfino i suoi collaboratori più stretti si stupivano di come riuscisse a trovare il tempo per documentarsi: scriveva di continuo, non solo a mano. Per cogliere anche gli attimi liberi durante i viaggi, imparò a usare il computer, a dispetto della sua età avanzata.
Sandra Sabattini, il primo frutto maturo
Uno dei primi frutti del suo operato fu evidente in Sandra Sabattini, una giovane volontaria. Fidanzata, impegnata nel servizio ai tossicodipendenti e studentessa di Medicina, morì a Bologna il 2 maggio 1984, a causa di un incidente stradale.
Lo stesso don Oreste la ritenne una valida candidata agli altari e un sicuro mezzo d’intercessione, procedendo ad avviare la sua causa di beatificazione e canonizzazione. Il 2 ottobre 2019 papa Francesco ha autorizzato la promulgazione del decreto relativo a un miracolo riconosciuto per intercessione di Sandra, aprendo la via alla sua beatificazione.
Il riconoscimento definitivo della Comunità Papa Giovanni
L’approvazione ecclesiale della Comunità ebbe ulteriori tappe: il 7 ottobre 1998 venne riconosciuta dal Pontificio Consiglio per i Laici come Associazione internazionale privata di fedeli laici di diritto pontificio.
Nel nuovo Statuto, autorizzato con l’occasione, don Oreste venne per la prima volta definito fondatore (ma in un’intervista commentò: «Più che di essere il fondatore, la mia preoccupazione è di non essere l’affondatore della Comunità!») e nominato responsabile generale a vita. Il riconoscimento definitivo come Associazione pubblica di fedeli arrivò nel 2004, il 25 marzo.
Non più parroco, ma ancora annunciatore del Vangelo
Nel 2000, per limiti d’età raggiunti, don Oreste lasciò il governo della parrocchia La Resurrezione, ma intensificò i suoi impegni nazionali e internazionali. Non si preoccupava tanto di essere diventato un personaggio famoso, quanto di annunciare il Vangelo per chi non aveva voce o veniva zittito: «Noi non parliamo perché gli altri applaudono, ma non stiamo zitti perché gli altri ci fischiano», fu un’altra sua espressione celebre.
Gli ultimi tempi alla Capanna di Betlemme
Nella notte tra il 25 e il 26 settembre 2007 arrivò un ospite particolare alla Capanna di Betlemme, sul colle di Covignano. Era proprio don Oreste, che, dopo una leggera scivolata sul terreno umido di fango, si presentò: «Eccomi, sono un barbone».
Da tempo, infatti, aveva manifestato il desiderio di trascorrere i suoi ultimi giorni di vita in quel luogo di accoglienza, dedicato alle persone senza fissa dimora, anche per fare vita comune con don Sisto Ceccarini, pure lui molto anziano. Rimase fino al 1° novembre, quando annunciò che avrebbe dovuto recarsi in ospedale il mattino successivo, quindi non avrebbe dormito in quel luogo, ma nella sua canonica de La Resurrezione.
La morte
Venerdì 2 novembre 2007, nel cuore della notte, don Elio Piccari, subentrato come parroco a La Resurrezione, si sentì chiamare. Trovò don Oreste seduto sul letto, che diceva: «Don Elio, muoio, muoio, muoio», quasi come se fosse consapevole di quel che gli stava accadendo. Don Elio chiamò il 118, ma era intimamente convinto che i soccorsi non sarebbero serviti. Di lì a poco, infatti, don Oreste lasciò questo mondo.
Le parole comparse sul messalino «Pane quotidiano» a commento del brano dal libro di Giobbe previsto per il 2 novembre, parvero in seguito come un incoraggiamento a chi piangeva la sua scomparsa: «Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all'infinito di Dio. Noi lo vedremo, come ci dice Paolo, faccia a faccia, così come Egli è (1Cor 13,12). E si attuerà quella parola che la Sapienza dice al capitolo 3: Dio ha creato l'uomo immortale, per l'immortalità, secondo la sua natura l'ha creato. Dentro di noi, quindi, c'è già l'immortalità, per cui la morte non è altro che lo sbocciare per sempre della mia identità, del mio essere con Dio. La morte è il momento dell'abbraccio col Padre, atteso intensamente nel cuore di ogni uomo, nel cuore di ogni creatura».
I funerali
Per tre giorni, dal 2 al 4 novembre, la chiesa de La Resurrezione ha ospitato la camera ardente: davanti al feretro di don Oreste hanno sfilato davvero fedeli di ogni tipo. I funerali, inizialmente fissati nel duomo di Rimini il 5 novembre, sono poi stati celebrati nel Palacongressi della medesima città, di comune accordo tra la Curia vescovile e la Comunità Papa Giovanni XXIII.
Di fronte a un’assemblea di diecimila persone, il vescovo di Rimini, monsignor Francesco Lambiasi, ha affermato: «Come Gesù, don Oreste non si apparteneva: quanto si sentiva di appartenere a Dio, tanto sentiva di appartenere ai poveri. Era tanto vicino a tutti, quanto era distaccato e libero da tutti. Ed era tanto più unito a tutti e a ciascuno, quanto più era unito a Dio».
La causa di beatificazione e canonizzazione
A cinque anni dalla sua morte, a fronte di una fama di santità diffusa e confermata, l’Associazione Papa Giovanni XXIII ha chiesto al Vescovo di Rimini l’avvio della causa di beatificazione di don Oreste, il cui corpo riposa nel cimitero cittadino.
L’iter era partito il 27 ottobre 2012, al termine del convegno in occasione dei cinque anni dalla sua scomparsa. Dopo un anno di ricerche, la postulatrice, Elisabetta Casadei, ha consegnato a monsignor Lambiasi il “supplice libello”, ovvero la richiesta formale di apertura della causa.
Il nulla osta da parte della Santa Sede è arrivato il 3 gennaio 2014, mentre il 31 marzo seguente la Conferenza Episcopale dell’Emilia Romagna ha dato parere favorevole.
La prima sessione dell’inchiesta diocesana su vita, virtù e fama di santità del Servo di Dio Oreste Benzi si è quindi svolta presso la chiesa de La Resurrezione il 27 settembre 2014. L’ultima, invece, è stata celebrata il 23 novembre 2019.
Il suo carisma oggi
Oggi le case-famiglia dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII sono oltre duecento in più di venticinque Paesi del mondo. Al centro, o meglio al cuore di ogni casa, come don Oreste aveva voluto dagli inizi, c’è la cappellina col Santissimo Sacramento.
I membri sono attivi in otto ambiti d’intervento. A quelli originari tra i minori, i giovani e i disabili, si sono aggiunti quelli tra le vittime dell’emarginazione e della tratta, tra chi è oppresso dalle dipendenze, in difesa della vita e per un lavoro più giusto, per la promozione della giustizia e della pace e tramite l’ONG Condivisione fra i Popoli.
PREGHIERA
O Trinità Santissima, Padre Figlio Spirito Santo,
Ti adoriamo, Ti lodiamo e Ti ringraziamo per aver donato
alla Chiesa il sacerdote, don Oreste Benzi.
In lui hai fatto risplendere la forte, fedele,
premurosa tenerezza della Tua paternità, la gloria della
Croce di Cristo e lo splendore dello Spirito d’amore.
Egli, confidando nella Tua infinita provvidente misericordia
e nella materna intercessione di Maria, è stato per tanti
Tuoi figli e figlie immagine viva di Gesù Buon Pastore;
ha insegnato con l’esempio a vivere secondo il
comandamento nuovo della carità e ha indicato la santità
come misura della vita cristiana e strada per giungere alla
beata ed eterna comunione con Te.
Concedici per sua intercessione, secondo la Tua volontà,
la grazia che imploriamo, nella speranza che nella Tua
santa Chiesa egli sia esempio di santità e nella Comunione
dei Tuoi Santi per l’edificazione del Tuo Regno. Amen.
Autore: Emilia Flocchini
Note:
Per segnalazione di grazie e favori ricevuti:
Postulazione Causa di Beatificazione del Servo di Dio sacerdote Oreste Benzi
Via Cairoli, 69 - 47923 Rimini (RN)
infocentromarvelli@gmail.com
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