Cent’anni fa gli extracomunitari sbarcavano già in Europa e quello di cui parliamo, poi, rivoluziona anche la tradizionale immagine del missionario che parte dall’Europa per annunciare il Vangelo negli altri continenti, compiendo il cammino inverso, dall’Ecuador in Europa (e precisamente in Belgio e in Spagna), dove raggiunge le vette della santità.
Parliamo di Francisco Febres Cordero, nato a Cuenca (Ecuador) il 7 novembre 1854. Di lui tutto si può dire, tranne che sia un prodigio di salute, gracile e malaticcio com’è e costretto ad usare le grucce fino ai 14 anni per una incurabile deformità delle gambe. La sua è una famiglia molto in vista nel panorama politico del Paese, e non condivide per nulla la sua inclinazione alla vocazione di religioso laico, che realizza nonostante tutto nel 1868, entrando (primo sudamericano in assoluto) nella Congregazione dei Fratelli delle Scuole Cristiane, il cui carisma principale è l’insegnamento.
Ora ha un nome nuovo, fratel Michele, e una meta da raggiungere: la sua formazione umana e culturale per mezzo della quale tendere alla santità. Si dimostra subito uno studente diligente e poi un insegnante dotato; non ha ancora vent’anni quando pubblica la prima delle sue numerose opere: una grammatica spagnola che diventa ben presto un classico.
Nel corso degli anni le sue ricerche e le sue pubblicazioni nel campo della letteratura e della linguistica lo mettono a contatto con esperti di tutto il mondo e diventa così membro delle Accademie nazionali dell’Ecuador, della Spagna e della Francia, ma continua a dare priorità all’insegnamento, in modo particolare alle lezioni di religione e ai corsi di preparazione alla Prima Comunione.
I suoi alunni ne ammirano la semplicità, la franchezza, la cura con cui si occupa di loro e non possono non essere edificati dalla sua intensa devozione al Sacro Cuore e alla Madonna. La preparazione culturale di fratel Michele, infatti, si sta sposando con una sempre più intensa vita spirituale, che gli meritano già in vita fama di santo.
I Superiori ritengono che sia giunto il momento per fratel Michele di mettere a profitto l’esperienza didattica finora maturata in patria e nel 1907 lo mandano in Europa, e precisamente in Belgio, con la lodevole intenzione di agevolare i suoi studi e di permettergli di occuparsi con tranquillità della stesura di testi scolastici.
Non fanno i conti con la sua salute, sempre delicata, che mal si adatta al freddo clima europeo per cui in fretta e furia sono costretti a trasferirlo a Premia de Mara, in Spagna, dove tra l’altro si occupa dell’evacuazione dei suoi giovani via mare verso Barcellona, per sottrarli alla furia dei moti rivoluzionari del 1909.
Neppure il più mite clima spagnolo è però adatto alla sua fragile costituzione, tanto che una polmonite lo uccide il 9 febbraio 1910. Beatificato nel 1977 e canonizzato nel 1984, viene festeggiato il 9 febbraio. Il suo corpo intatto è stato traslato nel 1936 in Ecuador, per evitare che venisse profanato nel corso dei disordini politici che in quegli anni travagliavano la Spagna.
Autore: Gianpiero Pettiti
I genitori Francesco e Anna lo vorrebbero sacerdote. E lui dice di no quando è ancora ragazzo, amareggiando il padre, di cui porta il nome. Dice di no, perché ha fatto una scoperta entusiasmante. Nel suo Ecuador (già colonia spagnola, indipendente dal 1830) sono arrivati nel 1863 dall’Europa i Fratelli delle scuole cristiane, aprendo un istituto anche a Cuenca, la sua città natale.
Lui è stato uno dei primi alunni, si è appassionato al loro modo d’insegnare, e infine ha deciso di entrare nella loro congregazione, fondata nel 1680 a Reims, in Francia, da san Giovanni Battista de la Salle, e votata a un solo scopo: l’istruzione della gioventù (di quella più sfortunata, soprattutto), partendo dalla “scuola per la scuola”, ossia dalla formazione dei maestri. E questi ultimi dovevano consacrarsi solo all’insegnamento, rinunciando per questo al sacerdozio.
Così, a 14 anni, Francesco è accolto dai Fratelli a Cuenca, e vi incomincia il noviziato, prendendo il nome di fratel Michele. Solo sua madre ha dato il consenso; il padre, per alcuni anni, rifiuterà anche di scrivergli. Lui intanto diviene prima maestro degli scolaretti, e poi anche dei futuri insegnanti. I superiori lo mandano negli istituti lasalliani di Quito, la capitale, e lui vi rimane per 38 anni, come formatore di docenti. Mancano ancora buoni libri per le scuole, ed è lui a provvedere, pubblicando opere che si adotteranno poi in tutto il Paese: grammatiche della lingua spagnola, manuali didattici e testi di filologia, raccolte di poesie. E libretti di catechismo per i più piccoli.
Diventa un leader culturale per tutto il Paese, onorato dalle istituzioni, ma continua – meglio esige di continuare – nell’opera di primo avvicinamento dei più piccoli alla fede, come il più modesto catechista. E di fatto “catechizza” tutti, nell’ambiente scolastico e fuori, con la semplicità gioiosa della sua vita, nello stile dei Fioretti.
Ma le vicende politiche d’Europa chiamano fratel Michele dall’altopiano ecuadoriano al Belgio e poi alla Spagna. Nel 1904 il governo francese ha soppresso ed espulso le congregazioni religiose, confiscandone i beni. I Fratelli delle scuole cristiane hanno lasciato la Francia trasferendo la casa madre in Belgio; e sono pronti a operare in Spagna e in America latina. Ma devono imparare la lingua spagnola, e per questo si chiama in Europa fratel Michele, che organizza i corsi di studio, prepara i testi, dirige l’insegnamento. Si ammala nel clima del Belgio, troppo rigido per lui, e si trasferisce in un centro rivierasco di Spagna: Premiá del Mar, vicino a Barcellona, in un altro centro lasalliano di preparazione. E qui muore sul lavoro in un giorno d’inverno, per una polmonite.
In Ecuador questa morte è considerata un lutto nazionale, e comincia a divulgarsi la sua fama di santità, dalla quale prenderanno avvio negli anni Venti i processi informativi per l’Ecuador e per la Spagna. Nel 1936, durante la guerra civile spagnola, i resti di fratel Michele vengono riportati in Ecuador, e subito incominciano i pellegrinaggi alla sua tomba, nella Casa lasalliana di Quito. Nel 1977, papa Paolo VI lo proclama beato insieme a un confratello, il belga fratel Muziano Maria. Il 21 ottobre 1984, papa Giovanni Paolo II lo iscrive nel libro dei santi.
Autore: Domenico Agasso (Famiglia Cristiana)
Nel 1863 i Fratelli delle Scuole Cristiane aprono una scuola a Cuenca (Equatore). Uno dei primi alunni è Francisco Febres Cordero, nato il 7 novembre 1854. A scuola egli continua e perfeziona, soprattutto con le lezioni di catechismo e con l'esempio dei suoi educatori, l'educazione cristiana ricevuta in famiglia. Di qui l'albeggiare della sua vocazione lasalliana: ma i genitori, contrari, desiderano che diventi sacerdote. In tale situazione egli ricorre alla SS. Vergine. Finalmente, il 24 marzo 1868, la madre firma l'autorizzazione per il suo ingresso al noviziato. È la vigilia della festa dell'Annunciazione: con la vestizione religiosa, Francisco Febres Cordero diventa Fratel Miguel.
Ma non termina la sua lotta per la fedeltà alla vocazione, perché il padre, pur accettando la decisione della sposa, per cinque anni non scrive una riga al figlio. Questi, intanto, inizia il suo apostolato nelle scuole lasalliane di Quito. Stimato insegnante di lingua e letteratura spagnola, la difficoltà di disporre di aggiornati libri di testo, l'induce a comporre, benché giovanissimo, grammatiche e manuali, che il governo adotta in tutte le scuole dell'Equatore. Col passare degli anni, Fratel Miguel darà alle stampe anche raccolte di liriche e testi di filologia che gli apriranno le porte dell'Accademia. Comporrà pure dei catechismi per l'infanzia, e il ministero al quale soprattutto egli si dedica, con grande entusiasmo e accurata preparazione, è la catechesi. Predilige specialmente la preparazione dei fanciulli alla Prima Comunione; chiederà ed otterrà che gli sia riservato tale delicato compito dal 1880 fino alla sua partenza per l'Europa nel 1907. Questo costante contatto con i piccoli lascerà un'impronta caratteristica nella sua spiritualità: la semplicità evangelica: "Siate semplici come colombe". "Se non diventerete come pargoli, non entrerete nel regno dei cieli". Ne sarà segno la sua tenera devozione a Gesù Bambino. Con la semplicità evangelica, brillano in lui le virtù proprie della vita religiosa: la povertà, la purezza, l'obbedienza. Su tutte splende sempre più alta la carità, alimentata com'è dalla pietà eucaristica e dalla tenera devozione a Maria. Ormai è chiaro per tutti: "Fratel Miguel è un santo!".
La sua santità splenderà anche nel vecchio continente. Nel 1904 in Francia, in seguito alle leggi ostili alle congregazioni religiose, molti fratelli, impediti nel loro ministero, decidono di espatriare. La Spagna e i paesi dell'America Latina ne accolgono un gran numero. La scarsa conoscenza della lingua spagnola dei nuovi arrivati, induce i superiori a trasferire Fratel Miguel in Europa, perché prepari testi per un rapido apprendimento dello spagnolo. Trascorsi alcuni mesi a Parigi, è trasferito alla casa generalizia, a Lembecq-lez-Hal in Belgio.
Tutto intento al suo lavoro, la sua virtù brilla per tutti. Nuocendogli il clima del Belgio, i superiori lo trasferiscono in Spagna, a Premia de Mar, presso Barcellona, dove ha sede un centro internazionale di formazione. 1 giovani ne ammirano la cultura, la semplicità ed il grande amore per Dio.
Nel luglio 1909 a Premia de Mar soffia impetuoso il vento della rivoluzione e si ha la "settimana tragica". Frequenti le violenze anticlericali; Fratelli e giovani in formazione, trasferiti a Barcellona, trovano rifugio nei docks portuali, poi nel collegio "Bonanova". Fratel Miguel nel frangente, porta con sé le Ostie consacrate della cappella di Premia. Spentasi la rivoluzione i Fratelli tornano a Premia de Mar. Ma il Signore vuole con sé il servo fedele. Negli ultimi giorni di gennaio 1910 è colpito da polmonite. L'organismo debole non reagisce e, dopo tre giorni di agonia, il 9 febbraio Fratel Miguel, ricevuti i Sacramenti, muore nella pace del Signore. La notizia della morte suscita commozione e rimpianto: in Equatore viene dichiarato il lutto nazionale. Fratelli ed Ex-alunni ne proclamano le virtù, presto si attribuiscono alla sua intercessione molti favori celesti; di qui l'inizio del processo informativo a Quito e a Cuenca nel 1923, e a Barcellona nel 1924. Nel 1936, durante la rivoluzione spagnola, i resti mortali del Fratello vengono rimpatriati. Viene loro tributata una accoglienza trionfale. La tomba diventa mèta di continui pellegrinaggi.
Grazie e celesti favori vengono ottenuti per l'intercessione di Fratel Miguel; ma il miracolo che ha portato alla guarigione Suor Clementina Flores avvia la causa del santo Fratello verso la beatificazione.
Portati a termine tutti gli adempimenti di rito, il Papa Paolo VI, il 30 ottobre 1977, procede alla beatificazione di Fratel Miguel e a quella del suo confratello belga Fratel Muziano-Maria.
Il grande afflusso di pellegrini dal Belgio, dall'Equatore e dall'Italia, la riuscita cerimonia e le ispirate parole del Pontefice Paolo VI nell'omelia e all'Angelus, hanno reso indimenticabile questa giornata per tutti i fortunati partecipanti alla solenne celebrazione di Piazza San Pietro.
Il giorno stesso della beatificazione, proprio durante lo svolgimento del suggestivo rito, si compiva un altro miracolo: la signora Beatrice Gómez de Nunez, affetta da incurabile "miastenia gravis", si sentì completamente guarita. Già in precedenza, con tutta la famiglia, si era affidata all'intercessione del santo Fratello, ed a coronamento delle sue preghiere era voluta venire a Roma per la beatificazione.
Questa guarigione, riconosciuta come miracolosa, porta alla riapertura della causa, e nel Concistoro del 25 giugno 1984 il Pontefice Giovanni Paolo II stabilisce al 21 ottobre dello stesso anno la data della canonizzazione.
Oggi, Giovanni Paolo II elevando tra i santi l'umile religioso equatoriano, offre alla Chiesa intera, e, in particolare, a quella dell'Equatore il modello di un religioso colto, ma semplice ed umile, di un educatore che ha aiutato tanti giovani a trovare il senso della loro vita in Gesù e a vivere la loro fede come impegno e come dono.
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