Billecul, Borgogna, 30 Luglio 1700 - Napoli, 22 marzo 1726
Giunse a Roma all’età di 12 anni chiamato da Clemente XI su suggerimento del fratello che all’epoca era maggiordomo del pontefice. Frequentò le scuole presso i Padri Gesuiti del Collegio Romano. Svolse il noviziato a Santa Maria delle Grazie in Ponticelli Sabino (Rieti); entrò in questo convento dei Frati Minori nel 1719. A Ponticelli, mentre un giorno innaffiava il giardino della Madonna, cadde malamente con una pesante brocca riportando gravi lesioni interne. Guarito prodigiosamente dalla sua Celeste Madre poté essere ammesso alla professione dei voti religiosi e quindi proseguire negli studi in preparazione del sacerdozio. Dopo aver vestito il saio francescano mutò il nome di Claudio in quello di Frate Giovanni Battista. Successivamente, dopo aver dimorato a Montorio Romano, fu mandato nel santuario di San Cosimato a Vicovaro. Il 26 maggio 1725 in San Giovanni in Laterano fu ordinato sacerdote dal pontefice Benedetto XIII il quale confidenzialmente gli disse: “Figliuolo, sbrigatevi a farvi Santo !”. In seguito si trasferì a Napoli dove morì il 22 marzo 1726
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Nacque a Bellicut di Noyseré, arcidiocesi di Besançon, nella Franca Contea, il 30 luglio 1700. I suoi genitori, Antonio di Trunchet e Claudia Stefana D’Alepys, vollero che il giorno stesso della nascita venisse battezzato col nome di Claudio Francesco. Fin dall’infanzia si distinse per una straordinaria inclinazione alla pietà. Nel 1713 si recò a Roma, dove già dimoravano due suoi fratelli, per continuare gli studi nel Collegio Romano. Qui fece rapidi progressi nella scienza e nella virtù sotto l’illuminata direzione del gesuita Francesco Maria Galluzzi. Il 19 ottobre 1718 vestì l’abito francescano nel ritiro di S. Maria delle Grazie in Ponticelli (Rieti), fondato dal b. Bonaventura da Barcellona. Durante il noviziato fu colpito da una grave malattia di petto; guarito per intercessione della Vergine, poté emettere la professione religiosa il 25 novembre 1719. Fu ordinato sacerdote da Benedetto XIII il 25 maggio 1725. La sua vita claustrale, oltremodo semplice e edificante, si può riassumere in queste poche parole: fedeltà ai santi voti, alla vita comune, alle costituzioni e a tutte le altre obbligazioni anche minime. Fu così illibata la sua purezza che era comunemente ritenuto un “angelo in carne”; così pronta la sua obbedienza, da prevenire i comandi e soddisfare i desideri dei superiori; così perfetta la sua povertà, da vivere totalmente distaccato da ogni cosa. Riferendosi al giudizio di Dio su quest’ultima virtù, diceva: “Io non ho timore, perché non ho cosa alcuna oltre di quello che concede la regola, e quest’immagine di Gesù Crocifisso e di Maria Immacolata” (due immagini di carta che lui stesso aveva applicate sul diritto e sul tergo di una crocetta di legno). Illimitato era, inoltre, il suo abbandono alla volontà divina nella malattia e in ogni altra tribolazione, e quasi continuo il parlare delle cose celesti. In tal modo riuscì a valorizzare al massimo grado le azioni ordinarie con una vita interiore particolarmente intensa, confortato da un abituale spirito di preghiera: “Nella santa orazione – soleva ripetere – trovo ogni mia consolazione, ogni pascolo spirituale, ogni mio riposo”. Benedetto XV, nel dichiarare eroiche le sue virtù, lo presentò come un modello di “perfetta imitabilità”, confermando il principio che “la santità propriamente consiste solo nella conformità al divino volere, espresso nel continuo ed esatto adempimento dei doveri del proprio stato”. Chiuse la sua breve esistenza il 22 marzo 1726 nell’infermeria del convento della Croce di Palazzo in Napoli, ancora sacerdote novello. Tre giorni dopo la morte, due periti medici praticarono un’incisione al cuore, e ne scaturì sangue vivo e vermiglio: cosa che si ripeté più volte, anche dopo sette giorni. Molti prodigi furono attribuiti alla sua intercessione, per cui nel 1730 s’iniziarono i processi canonici presso la curia arcivescovile di Napoli. Nel 1865 le sue spoglie mortali furono traslate a Roma nella chiesa di S. Bonaventura al Palatino. L’eroicità delle sue virtù venne approvata il 9 gennaio 1916. Suole raffigurarsi in atteggiamento di orante, o col Crocifisso e il giglio in mano.
Autore: Severino Gori
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