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Beati Francesco Pacheco e compagni Gesuita, martire in Giappone

Festa: 20 giugno

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Ponte di Lima (Braga), Portogallo, 1556 - Nagasaki (Giappone), 20 giugno 1626

Questi martiri missionari appartenevano alla Compagnia di Gesù e furono condannati al rogo durante i primi anni del 1600 a Nagasaki. Francesco Pacheco, Giovanni Battista Zolam, Paolo Xinsuki, Pietro Rinscei, Vincenzo Caun, Giovanni Kinsaco, un collaboratore dei gesuiti, terziario francescano, Baldassarre de Torres e Michele Tozò vennero tutti beatificati nel 1867 da Pio IX.

Martirologio Romano: A Nagasaki in Giappone, beati martiri Francesco Pacheco, sacerdote, e otto compagni, della Compagnia di Gesù, condannati al rogo in odio alla fede.


I Gesuiti con s. Francesco Saverio (1506-1552) furono i primi ad incominciare l'evangelizzazione del Giappone, che si sviluppò con notevoli risultati nei decenni successivi al 1549, tanto che nel 1587 i cattolici giapponesi erano circa 300.000, con centro principale a Nagasaki.
Ma proprio nel 1587 lo 'shogun' (maresciallo della corona) Hideyoshi, dai cristiani denominato 'Taicosama', che fino allora era stato condiscendente verso i cattolici, emanò un decreto di espulsione contro i Gesuiti (allora unico Ordine religioso presente nel Giappone) per delle ragioni non chiarite.
Il decreto fu in parte eseguito, ma la maggior parte dei Gesuiti rimase nel paese, mettendo in atto una strategia di prudenza, in silenzio e senza esteriorità, continuando con cautela l'opera evangelizzatrice.
Tutto questo fino al 1593, quando provenienti dalle Filippine sbarcarono in Giappone alcuni Frati Francescani, i quali al contrario dei Gesuiti, iniziarono senza prudenza una predicazione pubblica, a ciò si aggiunsero complicazioni politiche tra la Spagna e il Giappone, che provocarono la reazione dello 'shogun' Hideyoshi, che emanò l'ordine di imprigionare i francescani e alcuni neofiti giapponesi.
I primi arresti ci furono il 9 dicembre del 1596 e i 26 arrestati, fra cui tre gesuiti giapponesi, subirono il martirio il 5 febbraio 1597, i protomartiri del Giappone furono crocifissi e trafitti nella zona di Nagasaki, che prese poi il nome di “santa collina” e proclamati santi da papa Pio IX nel 1862.
Subentrato un periodo di tregua e nonostante la persecuzione subita, la comunità cattolica aumentò, anche per l'arrivo di altri missionari, non solo gesuiti e francescani ma anche domenicani e agostiniani.
Ma nel 1614 la numerosa comunità cattolica subì una furiosa persecuzione decretata dallo shogun Ieyasu (Taifusama), che si prolungò per alcuni decenni distruggendo quasi completamente la comunità in Giappone, causando moltissimi martiri, ma anche molte apostasie fra gli atterriti fedeli giapponesi.
I motivi che portarono a questa lunga e sanguinosa persecuzione, furono vari, a partire dalla gelosia dei bonzi buddisti che minacciavano la vendetta dei loro dei; poi il timore di Ieyasu e dei suoi successori Hidetada e Iemitsu, per l'accresciuto influsso di Spagna e Portogallo, patria della maggioranza dei missionari, che erano ritenuti loro spie, per gli intrighi dei violenti calvinisti olandesi e infine per l'imprudenza di molti missionari spagnoli.
Dal 1617 al 1632 la persecuzione toccò il picco più alto di vittime; i supplizi secondo lo stile orientale, furono vari e raffinati, non risparmiando nemmeno i bambini; i martiri appartenevano ad ogni condizione sociale, dai missionari e catechisti, ai nobili di famiglia reale; da ricche matrone a giovani vergini; da vecchi a bambini; dai padri di famiglia ai sacerdoti giapponesi.
La maggior parte furono legati ad un palo e bruciati a fuoco lento, cosicché la “santa collina” di Nagasaki fu illuminata sinistramente dalla teoria di torce umane per parecchie sere e notti; altri decapitati o tagliati membro per membro.
Non stiamo qui ad elencare le altre decine di tormenti mortali cui furono sottoposti, per non fare una galleria degli orrori, anche se purtroppo testimoniano come la malvagità umana, quando si sfrena nell'inventare forme crudeli da infliggere ai suoi simili, supera ogni paragone con la ferocia delle bestie, che perlomeno agiscono per istinto e per procurarsi il cibo.
Oltre i primi 26 santi martiri del 1597 già citati, la Chiesa raccogliendo testimonianze poté riconoscere la validità del martirio per almeno 205 vittime fra le migliaia che persero la vita anonimamente e papa Pio IX il 7 luglio 1867 poté proclamarli beati.
Dei 205 beati, 33 erano dell'Ordine della Compagnia di Gesù (Gesuiti); 23 Agostiniani e Terziari agostiniani giapponesi; 45 Domenicani e Terziari O.P.; 28 Francescani e Terziari; tutti gli altri erano fedeli giapponesi o intere famiglie, molti dei quali Confratelli del Rosario.
Non c'è una celebrazione unica per tutti, ma gli Ordini religiosi a gruppi o singolarmente, hanno fissato il loro giorno di celebrazione.

Al gruppo dei 33 gesuiti appartiene il portoghese padre Francesco Pacheco, il quale nacque a Ponte di Lima (diocesi di Braga) nel 1556 da nobili genitori e fin da adolescente fu attratto dalle imprese dei missionari, in quell'epoca di grandi scoperte geografiche e di avvicinamento di popoli di altre civiltà.
A 30 anni entrò nella Compagnia di Gesù e sei anni dopo nel 1592, ottenne di essere inviato missionario in Estremo Oriente, facendo sosta per 12 anni, prima in India poi a Macao; nel 1604 gli fu accordato il permesso di spostarsi in Giappone, dove svolgendo il suo apostolato in varie zone, ottenne ottimi risultati.
Ci fu poi un periodo altalenante con il suo ritorno a Macao per dirigere l'Istituto dei Gesuiti, poi di nuovo in Giappone da dove fu espulso a causa della persecuzione.
Rientrò nella Terra del Sol Levante quasi subito e collaborò col vescovo Cerqueira, del quale divenne vicario e poi sostituendolo come Amministratore Apostolico; si stabilì invece che a Nagasaki a Cocinotzu d'Arima, località vicino al mare e ritenuta più sicura.
Ripresa la persecuzione, un cristiano apostata riferì il suo nascondiglio presso due fratelli fedeli cristiani e con loro fu catturato il 18 dicembre 1625, stessa sorte toccò al fratello coadiutore Gaspare Sadamatzu e i coniugi che l'ospitavano.
Trasferiti nel carcere di Samabara ebbero un pessimo trattamento, essendo esposti alle intemperie proprio nel periodo invernale; durante la prigionia, ammise nella Compagnia di Gesù i suoi tre catechisti giapponesi, Rinscei, Xinsuki, Kinsaco.
Il 17 giugno 1626 furono trasferiti a Nagasaki per ordine del governatore Cavaci e il 20 giugno 1626 fu arso vivo sulle colline della città, con altri otto religiosi della Compagnia di Gesù, le loro ceneri furono poi disperse in mare.
Il gruppo, la cui celebrazione è al 20 giugno, era così composto: Francesco Pacheco portoghese, Baldassarre De Torres spagnolo, Giambattista Zola italiano, Pietro Rinscei giapponese, Vincenzo Caun coreano, Giovanni Kinsaco giapponese, Paolo Xinsuki giapponese, Michele Tozò giapponese e Gaspare Sadamatzu fratello coadiutore giapponese.
Il 12 luglio 1626 morirono anche i fedeli che li avevano aiutati, i fratelli Mancio e Mattia Araki e i coniugi Pietro Cioboie e Susanna Araki.


Autore:
Antonio Borrelli

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Aggiunto/modificato il 2005-02-23

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