Bonifacia Rodríguez Castro è una semplice lavorante che, nel mezzo della vita quotidiana, si apre al dono di Dio, facendolo crescere nel suo cuore con spirito autenticamente evangelico. Fedele alla chiamata di Dio, si abbandona nelle sue braccia di Padre, lasciandosi forgiare secondo i tratti di Gesù, l'artigiano di Nazareth, che vive nascosto in compagnia dei genitori per la maggior parte della sua vita.
Nasce a Salamanca (Spagna) il 6 giugno del 1837 nel seno di una famiglia di artigiani. I genitori, Juan e Maria Natalia, erano profondamente cristiani. La loro maggior preoccupazione era l'educazione nella fede dei sei figli, dei quali Bonifacia era la maggiore. La sua prima scuola fu la casa dei genitori, dove Juan, sarto, aveva il laboratorio di cucito. La prima cosa che vedono gli occhi di Bonifacia è proprio un laboratorio artigianale.
Terminati gli studi elementari impara il mestiere di cordonaia, con cui inizia a guadagnarsi da vivere come dipendente a quindici anni, alla morte del padre, in modo da aiutare la madre a sostenere la famiglia. Il bisogno di lavorare per vivere imprime fin dall'inizio un carattere forte alla sua personalità. Sperimenta, infatti, sulla propria pelle le dure condizioni di lavoro delle donne operaie di quell'epoca: orari estenuanti e salari minimi.
Una volta superate le prime ristrettezze economiche apre il suo laboratorio artigianale di “cordoni, passamaneria e altri manufatti”, nel quale lavora con il più grande raccoglimento possibile e imita la vita nascosta della Famiglia di Nazareth. Era molto devota a Maria Immacolata e a San Giuseppe, devozioni di grande attualità dopo la proclamazione del dogma dell'Immacolata Concezione nel 1854 e la dichiarazione di San Giuseppe a patrono della Chiesa universale nel 1870.
Dal 1865, anno del matrimonio di Agustina, l'unica dei fratelli che raggiunge l'età adulta, Bonifacia e sua madre, che erano rimaste sole, si dedicano a una vita di profonda pietà, recandosi tutti i giorni alla vicina chiesa della Clerecía, gestita dalla Compagnia di Gesù.
Un gruppo di ragazze di Salamanca, loro amiche, attratte da questa testimonianza di vita, iniziano a visitare la sua casa-laboratorio nei pomeriggi delle domeniche e dei giorni festivi, sfuggendo ai nuovi e facilmente pericolosi passatempi dell'epoca. In Bonifacia cercavano un'amica che le aiutasse. Insieme decidono, quindi, di fondare la Associazione dell'Immacolata e di San Giuseppe, in seguito chiamata Associazione Giuseppina. In questo modo il laboratorio di Bonifacia acquista una chiara proiezione apostolica e sociale, di prevenzione della condizione della donna lavoratrice.
Bonifacia si sente chiamata alla vita religiosa. La sua grande devozione nei confronti di Maria fa sì che il suo cuore inizi ad accarezzare il progetto di diventare domenicana del convento di Santa Maria de Dueñas di Salamanca.
Tuttavia, un evento di importanza fondamentale cambia la sua vita: l'incontro con il gesuita catalano Francisco Javier Butinyà i Hospital, nato a Bañolas, nella provincia di Girona (1834-1899). Questi giunge a Salamanca nell'ottobre del 1870 con una grande preoccupazione apostolica verso il mondo dei lavoratori operai. A loro era diretta la sua opera “La luce dell'operaio, ovvero, collezione di vite di fedeli illuminati che si santificarono in mestieri umili”. Attratta dal suo messaggio di evangelizzazione incentrato sulla santificazione del lavoro, Bonifacia sceglie di sottoporsi alla sua direzione spirituale. Per mezzo di lei, il gesuita Butinyà entra in contatto con le ragazze che frequentavano il suo laboratorio, la maggior parte delle quali, come lei, lavoratrici manuali. Lo Spirito Santo le guida verso la fondazione di una nuova congregazione femminile, orientata verso la prevenzione nella condizione della donna operaia, attraverso l'esempio di quelle donne lavoratrici.
Bonifacia confida a Butinyà la sua decisione di diventare domenicana, ma lui le propone di fondare con lui la Congregazione delle Serve di San Giuseppe, progetto che Bonifacia accetta di buon grado. Insieme ad altre sei ragazze della Associazione Giuseppina, fra le quali anche sua madre, dà inizio a Salamanca, nella sua casa-laboratorio, alla vita della nuova comunità, il 10 gennaio del 1874, in un periodo molto critico per la vita politica spagnola.
Tre giorni prima, il 7 gennaio, il Vescovo di Salamanca, Joaquin Lluch i Garriga, aveva firmato il Decreto di Erezione del nuovo Istituto. Catalano come Butinyà, di Manresa, nella provincia di Barcellona (1816-1882), aveva accolto con il più grande entusiasmo fin dal primo momento la nuova fondazione.
Si trattava di un progetto nuovo di vita religiosa femminile, inserito nel mondo del lavoro alla luce della contemplazione della Sacra Famiglia, che mirava a creare nelle case della Congregazione il Laboratorio di Nazareth. In questo laboratorio le Serve di San Giuseppe offrivano lavoro alle donne povere che non ne avevano, evitando così che esse incorressero nei pericoli che avrebbero potuto incontrare a quell'epoca se fossero state costrette a uscire per lavorare fuori casa.
Era una forma di vita religiosa troppo coraggiosa per non incontrare opposizione. Viene subito combattuta dal clero diocesano di Salamanca, che non riesce a cogliere la profondità evangelica di questa forma di vita così vicina al mondo del lavoro.
Dopo tre mesi dalla fondazione, Francisco Butinyà viene mandato in esilio fuori dalla Spagna insieme ai suoi compagni gesuiti, e nel gennaio del 1875 il Vescovo Lluch i Garriga viene trasferito come Vescovo a Barcellona. Dopo solo un anno dalla sua nascita, Bonifacia si ritrova sola a capo dell'Istituto.
I nuovi direttori della comunità, nominati dal Vescovo fra i sacerdoti secolari, commettono l'imprudenza di seminare fra le sorelle la discordia, ed alcune di loro, da essi supportate, iniziano ad opporsi al laboratorio artigianale inteso come forma di vita, e all'accoglienza al suo interno delle donne lavoranti. Bonifacia Rodríguez, la fondatrice, che personificava senza macchia il progetto che aveva dato origine alle Serve di San Giuseppe, non accede ad apportare cambiamenti nel carisma definito dal Padre Butinyà nelle Costituzioni.
Il direttore della Congregazione, tuttavia, approfittando di un viaggio che Bonifacia compie a Girona nel 1882, allo scopo di stabilire un'unione con altre case delle Serve di San Giuseppe fondate da Francisco Butinyà in Catalogna al suo ritorno dall'esilio, promuove la sua destituzione come superiora e guida dell'Istituto.
Umiliazioni, rifiuto, disprezzo e calunnie la investono e la fanno andar via da Salamanca. L'unica risposta di Bonifacia è il silenzio, l'umiltà e il perdono. Senza proferire una parola di rivendicazione o di protesta, lascia che su di lei prevalgano i tratti di Gesù, che rimase in silenzio di fronte a quelli che lo accusavano (Mt 26, 59-63).
Come soluzione al conflitto Bonifacia propone al Vescovo di Salamanca, Narciso Martínez Izquierdo, la fondazione di una nuova comunità a Zamora. Una volta accettata, nella sua forma giuridica, dal Vescovo di Salamanca e da quello di Zamora, Tomás Belestá y Cambeses, Bonifacia parte il 25 luglio del 1883, accompagnata da sua madre, e si dirige verso questa città portando nel suo cuore il Laboratorio di Nazareth, il suo tesoro. A Zamora infonde vita al progetto in piena fedeltà, mentre a Salamanca iniziano le modifiche ad un progetto non compreso.
Bonifacia, cordonaia, nel suo laboratorio di Zamora, gomito a gomito con altre donne lavoratrici, bambine, ragazze, adulte,
- tesse la dignità della donna povera senza lavoro, “allontanandola dal pericolo di perdersi” (Decreto di Erezione dell'Istituto. 7 gennaio del 1874),
- tesse la santificazione del lavoro unendolo alla preghiera, secondo lo stile di Nazareth: “così la preghiera non sarà di intralcio al lavoro né il lavoro vi distoglierà dal raccoglimento della preghiera” (Francisco Butinyà, lettera da Poyanne, 4 giugno del 1874),
- tesse rapporti umani di uguaglianza, fraternità e di rispetto nel lavoro: “dobbiamo essere ognuna per tutte, seguendo Gesù” (Bonifacia Rodríguez, primo discorso, Salamanca, 1876).
La casa madre di Salamanca dimentica completamente Bonifacia e la fondazione di Zamora, lasciandola sola ed emarginata, e, con la guida dei superiori ecclesiastici, porta avanti delle modifiche alle Costituzioni di Butinyà, per cambiare gli scopi dell'Istituto.
Il 1 luglio del 1901 Leone XIII concede l'approvazione pontificia alle Serve di San Giuseppe, con l'esclusione della casa di Zamora. Questo è il momento di maggiore umiliazione e di privazione per Bonifacia ed anche il tempo di maggior grandezza di cuore. Non avendo ricevuto risposta dal Vescovo di Salamanca, Tomás Cámara y Castro, trasportata dalla sua forza di comunione, si mette in cammino verso Salamanca per parlare personalmente con quelle sorelle. All'arrivo alla Casa di Santa Teresa, tuttavia, le viene detto: “Ci è stato ordinato di non riceverla”, e ritorna quindi a Zamora con il cuore spezzato dal dolore. Si sfoga solo dolcemente con queste parole: “Non tornerò alla terra che mi ha visto nascere, né a questa cara Casa di Santa Teresa”. E di nuovo, il silenzio sigilla le sue labbra, cosicché la comunità di Zamora viene a sapere di quanto è successo solo dopo la sua morte.
Nemmeno questo nuovo rifiuto la separa dalle sue figlie di Salamanca e, piena di fiducia in Dio, inizia a dire alle sorelle di Zamora: “quando morirò”, sicura che l'unione si sarebbe realizzata quando lei sarebbe mancata. Con questa speranza, circondata dall'affetto della sua comunità e della gente di Zamora che la venerava come una santa, muore in questa città l'8 agosto del 1905.
Il 23 gennaio del 1907 la casa di Zamora si riunisce con il resto della Congregazione.
Allo spegnersi della sua vita, nascosta e feconda come un chicco di grano gettato nel solco, Bonifacia Rodríguez lascia in eredità a tutta la Chiesa:
- la testimonianza della sua fedeltà a Gesù nel mistero della sua vita nascosta a Nazareth,
- una vita da cui traspare tutto il vangelo,
- un cammino di spiritualità basato sulla santificazione del lavoro unito alla preghiera, nella semplicità della vita quotidiana.
E' stata beatificata da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003 ed è stata canonizzata a Roma da Papa Benedetto XVI il 23 ottobre 2011.
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