È il 1794 e in Francia infuria “il Terrore” della Rivoluzione. Cattolici perseguitati, Preti e Vescovi incarcerati e mandati alla ghigliottina: innocenti, vittime dei “democratici” che hanno proclamato “libertà, uguaglianza e fraternità”, senza Dio e contro Dio.
A Gex, nella casa dei signori Rendu, la madre, vedova con tre bambine, nonostante i tempi difficili, ha assunto un “domestico”, non si sa bene per far che cosa. Si chiama Pietro e ha un comportamento strano. Così pensa una delle bambine, Giovanna, la più spiritosa, 7 anni di età. Una notte, Giovanna, per certi tramestii e riflessioni di luce, non riesce a dormire. Si alza e scopre che “il domestico” celebra la Santa Messa. “Chi è Pietro?”, si domanda la piccola. Qualche tempo dopo, giocando con le sorelline, rompe loro una bambola. La mamma minaccia castighi, ma ella le risponde: «Se mi punisci, dirò a tutti che Pietro non è Pietro».
La mamma le spiega che “il domestico” è il Vescovo di Annecy, nascosto nella loro casa. La prima volta che lo incontra, Giovanna gli bacia le mani: ha capito che è perseguitato a causa di Gesù e che rischia la vita per Lui. Da quel giorno, Gesù diventa il suo unico Amore, perché se per Lui i buoni vivono e si sacrificano e molti immolano la vita, merita tutto il suo amore!
Si prepara alla Prima Comunione. La mamma pone l’altare con candelabri spenti in fondo alla cantina, al buio. Giovanna non ha né abito né velo bianco, ma un grande amore a Gesù Eucaristico. Lo riceve come i primi Cristiani nelle catacombe. Quando Don Collier, Parroco del paese, venuto in casa, vestito da contadino, le dà l’Ostia santa sulle labbra, la piccola decide che vivrà solo per Gesù, per amarlo e farlo amare.
“Amica, sorella”
Passata la bufera, Giovanna va a scuola dalle Orsoline di Gex e fa una scoperta: i malati e i poveri dell’ospedale. Sente per loro una singolare attrazione: in loro vede Gesù da amare. A 15 anni, chiede alla mamma di lasciarla andare a servire in ospedale. Lì incontra la signorina Jacquinet che vuol farsi “Figlia della Carità”. Anche Giovanna, dopo un po’ di tempo vuole la stessa cosa. Nel maggio 1802, ella va a Parigi ed entra tra le Figlie della Carità, le Suore fondate nel Seicento – “il grande secolo” per la Francia – da san Vincenzo de Paoli e da santa Luisa de Marillac.
Dopo alcuni anni di preparazione, diventa Suor Rosalia. Viene mandata a lavorare nel sobborgo parigino di San Marcello dove abitano uomini e donne scheletriti dalla miseria, spesso pieni di odio. A Versailles impera Napoleone, ma ella sa che solo Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, è l’unico Salvatore e l’unico Re che risolve tutti i problemi in questo mondo e nell’aldilà, che quindi deve regnare.
Il quartiere è il più adatto alla sua statura di amore. A 28 anni è già superiora (“Suor serviente”, dicono in “Famiglia”) ed è guida delle “Figlie” nella dedizione a Gesù e ai più infelici. Rosalia va ad attingere la carità al Tabernacolo, presso il Cuore del suo Sposo Gesù, poi nessuno la ferma. Anche Napoleone dà locali e denari alle Suore per assistere i poveri. Madre Rosalia accoglie e benefica tutti quelli che bussano alla sua porta. Va per le strade di Parigi, nei tuguri, a soccorrerli. In breve tutti la conoscono e le vogliono bene come a una madre, una sorella. Si rivolge anche a quelli che odiano la Chiesa, li soccorre, li converte e li porta a Dio.
Rapidamente la sua figura diventa leggendaria. Ogni giorno, sono nuove storie di amore intessute con le anime. Un uomo va a farsi dare una coperta che poi vende per poter bere. Una sera, Rosalia rifiuta di dargliela, ma durante la notte non riesce più a dormire, pensando che il pover’uomo forse sta gelando nel suo tugurio. Al mattino, manda una sua consorella a portargli una coperta nuova.
La chiamano a tutte le ore, i poveri. Ed ella va, ricca di Cristo e con le mani piene. Una notte viene richiesta presso un morente, un rivoluzionario, un bestemmiatore, che non vuole il Prete, ma solo Suor Rosalia. La quale, sola, per vicoli malfamati, al buio, si reca dall’agonizzante. Gli parla e prega con il suo ardore. All’alba, il vecchio muore, ricevuti i Sacramenti.
Alle sue Suore insegna solo a donare: «Sorella, Dio non è contento di lei. Perché ha lasciato andar via quel vecchio che aveva freddo? Procuriamogli una stufetta, della legna... Vada subito da lui». Un giorno alla settimana, Rosalia accoglie tutti nel suo parlatorio. Riceve dai ricchi per dare ai poveri. Mobilita i ricchi di Parigi, di Francia, ricordando che si salveranno l’anima, solo se avranno esercitato la carità.
Un giorno, nel suo parlatorio arriva un ragazzo di 20 anni: sembra un angelo e si chiama Federico Ozanam, che con alcuni amici vuol fare qualcosa per i poveri. Rosalia gli dà una lista di indirizzi di bisognosi allo stremo: vadano da loro. Federico e amici fondano “le Conferenze di san Vincenzo”. Per tutta la vita (morirà a 40 anni) Federico, diventato illustre docente di Storia alla Sorbona, sarà “complice” di Madre Rosalia.
“Qui si ama soltanto”
Nel luglio 1830 è di nuovo Rivoluzione: i fratelli tornano a uccidere i fratelli. Rosalia sa solo un verbo da coniugare: amare. Da un vecchio assistito che impreca contro tutti, apprende che i rivoluzionari daranno l’assalto all’arcivescovado. Immediatamente, l’Arcivescovo di Parigi trova scampo nel Convento della Suora. Nel 1832 scoppia il colera e fa strage nei quartieri più poveri. I ricchi scappano. I “predicatori” della Rivoluzione e del progresso senza Dio fanno dotte discussioni. Rosalia e Federico Ozanam, instancabili, sono a pieno servizio dei colerosi. Ella organizza i soccorsi, avvicina medici e ammalati, li fa portare in ospedale. I medici entrano nelle case, dicendo: «Mi manda Suor Rosalia». A chi le ricorda di pensare a se stessa, almeno per un po’ di riposo, risponde: «Una Figlia della Carità è un paracarro su cui tutti coloro che sono stanchi hanno diritto di posare il fardello».
Dicono, certi signori “filantropi”, che Madre Rosalia ha un gran buon cuore. Ma ciò non basta a capire la sua vita: Gesù solo è il suo segreto, solo Lui la manda e la sostiene, perché Lui la abita e la possiede e continua ad amare e a servire per mezzo suo. Nel 1848, è di nuovo Rivoluzione con le barricate contro l’esercito, ma le barricate non le dividono il cuore per gli uni o per gli altri. Ella nasconde i ricercati dalla polizia e ricercati dai rivoluzionari, difendendoli e proteggendoli. Le autorità decidono di arrestarla, ma al prefetto di polizia, venuto apposta, risponde: «Salverei anche lei se ne avesse bisogno». Quello ride e non può più far nulla.
Nelle giornate più sanguinose del 1848, i rivoluzionari stessi fanno la guardia alla casa delle Figlie della Carità, dove sono ospitati e serviti tutti i poveri che hanno bisogno. Nella fuga generale, rimangono solo Rosalia e le sue Suore a fasciare i feriti, ad assistere i moribondi, a pacificare i fratelli. Un ufficiale della Guardia nazionale, inseguito dai rivoluzionari furenti, si rifugia nel cortile del Convento di Suor Rosalia. Ella lo difende e urla in faccia agli scalmanati: «Qui non si uccide, qui si ama soltanto». Quello ha salva la vita e bacia la piccola Suora come la sua mamma.
Nel 1852, di ritorno dal suo solito giro, ha la sorpresa di essere attesa da due nobili mandati dall’Imperatore Napoleone III, a insignirla dalla “Legion d’onore”. Si sente quasi urtata perché quel che conta per lei è amare, come Gesù sino al culmine. Nel suo parlatorio arrivano sempre più spesso i “grandi” della Francia: un giorno viene l’Imperatrice Eugenia. Rosalia si preoccupa di chiedere loro il più possibile per i bisognosi e di indirizzare tutti a cercare la salvezza eterna della loro anima, ciò che è la carità più grande, indispensabile. Ella riconosce un solo Signore e di Lui è perdutamente innamorata fin dalla sua infanzia: il Signore Gesù, e non ha padroni!
Nel 1856, ha quasi 70 anni. Indebolita nella vista, è ancora sulla breccia. La sera, prima di mettersi a letto per morirvi, è bruciata dal rimorso di aver dimenticato di portare indumenti a una famiglia, perché non riesce più a leggere le annotazioni. Si spegne serena il 7 febbraio 1856, dopo pochi giorni di malattia.
Una folla senza numero si riversò per le vie di Parigi a renderle omaggio: tra la gente c’era anche l’Arcivescovo di Rouen che si tolse la croce pettorale e la appoggiò sulle sue mani. Il lavoro si sospese a Parigi, i negozi rimasero chiusi per il suo funerale: dietro la sua bara, c’erano tutti: i poveri e i signori, le autorità e il popolo che lavora. Quando la deposero nella tomba a Montparnasse e tutti se ne andarono, i suoi poveri rimasero a vegliare la loro “Mamma” sulla porta del cimitero. La piccola “Figlia della Carità” aveva rivelato Gesù Cristo, luce di Verità e miracolo di Carità. È stata beatificata dal Santo Padre Giovanni Paolo II, la beata Rosalia Rendu.
Autore: Paolo Risso
La “colpa” di quello che è diventata è, prima di tutto di sua mamma, donna forte, dalla fede solida; precocemente vedova e abituata a piangere i suoi morti, invece di chiudersi in se stessa e lasciarsi travolgere dai suoi problemi, proprio quando è più pericoloso e, facendolo, si rischia la vita, apre le porte e il cuore per accogliere, sfamare, nascondere preti, suore e addirittura il vescovo di Annecy, che sono stati condannati a morte dalla Rivoluzione francese. Nella sua casa si celebrano clandestinamente le funzioni e tutti questi scomodi ospiti figurano come domestici e collaboratori della famiglia, protetti dalla complicità di tutto il paese, che pur a conoscenza della loro vera identità non tradisce questa vedova dal cuore grande. Giovanna, la primogenita, cresce in questo clima da catacombe e fa la sua prima comunione di notte, nell’angolo più nascosto della cantina appena rischiarato dalla luce di un paio di candele. Vivace, capricciosa e maliziosetta, è però anche intelligente, delicata e sensibile e si lascia forgiare dalla fede e dalla carità respirate in casa. Tanto che, un bel giorno, a 16 anni non ancora compiuti, stupisce tutti dicendo che vuole farsi suora tra le Figlie di San Vincenzo de’ Paoli. Mamma la lascia fare, convinta che si tratti di un’infatuazione passeggera e che il tempo la farà tornare presto a casa. Invece no: la ragazzina inizia il noviziato, stringendo i denti e superando ostacoli, primo fra tutti quello della salute, perchè il suo fisico di ragazza dei campi mal si adatta al chiuso del convento. Con il nuovo nome di Suor Rosalia si butta al servizio dei poveri nel quartiere Mouffetard, che ha il primato di essere tra i più poveri e malfamati di Parigi. Neppure immagina che qui resterà per 54 anni, fino alla morte. Impara a conoscere le miserie morali e materiali che si nascondono nelle maleodoranti soffitte, straripanti di pezzenti; impara a diagnosticare malattie, scovare ferite e contrastare epidemie; si rimbocca le maniche per sfamare centinaia di bocche. La sua lotta alla povertà parigina si traduce nell’apertura di una farmacia, un deposito di vestiti, una scuola gratuita, un orfanotrofio, un ricovero per anziani, un nido, una casa per accogliere le giovani operaie. Si dimostra, come in realtà è, donna pratica ed efficace, che non si accontenta di soddisfare il bisogno immediato, ma che cerca di prevenirlo e, se possibile, di rimuoverne le cause. In breve diventa la suora più popolare di Parigi e di mezza Francia, perché lei non distribuisce soltanto generi di prima necessità, ma soprattutto consigli spirituali. Ed è così che il suo minuscolo parlatorio diventa più affollato di un ufficio ministeriale, con punte anche di 500 visitatori al giorno, dove si ritrovano, gomito a gomito, pezzenti e ricchi mercanti, cardinali e ambasciatori, addirittura l’imperatore. Qui viene spesso anche Federico Ozanam, oggi beato, che da lei viene indirizzato a fondare le Conferenze di San Vincenzo. Lei passa indenne tra le barricate delle sommosse per curare i feriti di entrambi gli schieramenti, con la sua popolarità strappa i condannati da davanti al plotone di esecuzione, si carica sulle spalle i malati e i morti di malattie contagiose, praticando ciò che da sempre insegna alle consorelle: ogni povero “vale più di quanto sembra”; “se vuoi che qualcuno ti ami, sii tu ad amare per prima, e se non hai nulla da donare, dona te stessa”. Suor Rosalia Rendu si spegne il 7 febbraio 1856, stroncata dalle fatiche e dal suo continuo donarsi, perché per tutta la vita aveva voluto semplicemente essere “il paracarro su cui tutti quelli che sono stanchi hanno il diritto di posare il loro fardello”. Giovanni Paolo II° l’ha beatificata il 9 novembre 1993.
Autore: Gianpiero Pettiti
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