Non nasce povero, chè anzi la sua famiglia, grazie al lavoro da calzolaio di papà, può considerarsi tra le poche agiate, a confronto dei tanti disoccupati e miserabili che nel 1856 vivono a Iolo, alla periferia di Prato, in Toscana. Lo diventerà, invece, per amore, come conseguenza logica del suo continuo donarsi e della sua precisa volontà di “incarnarsi”. Al battesimo lo hanno chiamato Didaco, che significa istruito, e tale diventa davvero, grazie ad una volontà d’acciaio e a sacrifici senza numero, andando ogni giorno in città, naturalmente a piedi, a prendere lezioni private dai professori del seminario. Perché Didaco si sente attratto dal sacerdozio fin da bambino, forse anche grazie al fatto di averlo visto così bene incarnato nel suo parroco, che è un prete generoso e che non si risparmia. Il caso (o la Provvidenza?) vuole che don Didaco, subito dopo l’ordinazione, venga destinato dal vescovo ad affiancare proprio il suo anziano parroco, che serve per 12 anni con affetto di figlio, crescendo alla sua scuola, ma sostenendolo e curandolo anche negli acciacchi della vecchiaia e dell’ultima malattia. Non solo: quando questi muore, prende pure il suo posto e nel suo paese natale consumerà tutta la sua esistenza di prete. Ha un cuore tenero e una sensibilità spiccata e per prima cosa si commuove davanti alla miseria della sua gente. Proprio non riesce ad abituarsi al veder i bambini che non arrivano all’adolescenza perché denutriti e mal curati; gli adulti consumati dalla fatica e stroncati sul fior degli anni; una miriade di orfani di cui nessuno si occupa; tanti bambini abbandonati a se stessi perché il papà è in campagna e la mamma è impegnata a far la “trecciaia”, senza contare poi i malati, lasciati in casa senza assistenza e senza cure. Così, un bel giorno, don Didaco si presenta al vescovo con un progetto a dir poco sconvolgente: tirare su, dal nulla e senza alcun appoggio economico, una nuova congregazione di suore, che si prenda a cuore quel mare di bisogni che egli ha trovato nella sua parrocchia, ma che, ne è certo, sono senz’altro presenti anche nelle parrocchie vicine. È solo perché ha una grande stima in lui, se il vescovo quel giorno non gli chiude la porta in faccia e, anzi, lo incoraggia a fare quel che il cuor gli consiglia, ammirato di quel suo prete, che si è incarnato talmente nei bisogni dei parrocchiani da sentirli come propri e da voler in qualche modo venir loro in aiuto. Al momento può contare soltanto sulla generosa disponibilità di quattro ragazze della parrocchia, su una casa in affitto e,soprattutto, sul suo cuore grande come il mare che vorrebbe aiutare tutti. Come per tutte le cose di Dio, lasciando fare alla sua Divina Provvidenza, il progetto cresce e si sviluppa, a cominciare dal numero delle aspiranti suore. Che don Didaco vuole subito operative, aprendo una scuola, un orfanotrofio e mandandole nelle case, al letto dei malati, soprattutto per l’assistenza notturna. Ad esse trasmette la sua spiritualità domenicana, il suo amore per la Madonna ed il rosario, la sua passione per gli ultimi e i poveri. Ed è così che nascono le “Domenicane di Santa Maria del Rosario”, oggi diffuse,oltrechè in Italia, anche in India, Polonia, Ecuador, Romania, Ucraina. Don Didaco, che come tanti parroci dell’epoca ha rifiutato la congrua perché in polemica con lo Stato italiano, vive di autentica carità, perché si è spogliato di ogni suo avere per la sistemazione della chiesa parrocchiale, nella quale ha fatto riaffiorare antichi affreschi risalenti al 1300. Una serie di lutti vengono ad affliggere i suoi ultimi anni: prima il fratello Antonio, poi il fratello Giovanni che egli ha aiutato e sostenuto fino al sacerdozio, poi una delle sue prime suore, mentre la prima guerra mondiale si porta via i giovani e la “spagnola” semina morte nel paese. Sono tutte ferite cui il suo sensibilissimo animo non riesce a far fronte, fino alla morte che sopraggiunge il 25 maggio 1919, ad appena 63 anni. In quell’occasione non si trova in canonica neppure un materasso per adagiarne la salma, perché tutti sono stati regalati, riservando per sé sempre e solo un pagliericcio, mentre i parrocchiani gli pagano il funerale perché in casa non han trovato neppure una lira. A distanza di quasi un secolo, lo scorso 25 maggio, è iniziata l’inchiesta diocesana per la beatificazione di don Didaco Bessi, il parroco che ha incarnato l’evangelico comandamento dell’amore e si è incarnato nei bisogni della sua gente.
Autore: Gianpiero Pettiti
Fu un parroco povero, che scelse la povertà per incontrare Dio, proprio nei bisognosi; nacque, crebbe, diventò parroco, operò e morì a Iolo, un paese della piana di Prato.
Didaco Bessi nacque il 2 febbraio 1856, secondo dei quattro figli maschi di Giocondo Bessi artigiano calzolaio e Maria Debizzi, che nella precaria economia agricola della zona, potevano considerarsi benestanti del piccolo paese di Iolo.
Sin da bambino si sentì attratto dalla vita sacerdotale, avendo come esempio il suo attivo, energico ed operoso parroco, don Antonio Cappellini, che guidò la chiesa parrocchiale per 53 anni; a 12 anni, con il consenso dei genitori, Didaco si recava a piedi fino a Prato ogni giorno, per ricevere l’istruzione necessaria dal canonico Giovanni Bacci, che per i suoi molteplici impegni sacerdotali e di insegnante di Lettere nel Seminario vescovile di Prato, abitava nel Seminario stesso e lì riceveva il suo studente esterno Bessi.
Nel 1874 a 18 anni, grazie alla generosità del vescovo e di un canonico, poté essere accolto in Seminario a Prato; l’aiutare i seminaristi poveri del tempo, fu una prerogativa dell’opera pastorale del vescovo Sozzifanti, che estese alle parrocchie, l’invito di dare dei proventi per il sostegno del seminario.
Con un Corpo insegnante di prim’ordine, Didaco (il nome deriva dal greco ‘Didacmos’ latinizzato in ‘Didacus’ e significa “istruito”) poté effettivamente ricevere un’ottima istruzione, ricambiata con il suo grande profitto e condotta morale ineccepibili.
Da un’accurata ricerca, effettuata da suor Domenica Farinaccio O.P., per la sua tesi di laurea in teologia, conseguita nel 1994 con il titolo: “Origine e linee di spiritualità della Congregazione delle Suore Domenicane della ‘Madonna del Rosario’, da cui sono tratte le notizie che riportiamo; si apprende che già nel novembre 1874, il chierico Didaco Bessi chiese ed ottenne di far parte della “Società del Ss. Sacramento”, istituita nel 1860 dal rettore Corsani, per i seminaristi più grandi, i cui fini erano l’amore al SS. Sacramento, la santificazione dei membri e la preghiera per la Chiesa ed il Clero.
La difficoltà di reperire tutte le notizie necessarie, visto che padre Didaco era schivo a parlare di sé, è dovuta al fatto che fino al 1954 Pistoia e Prato, avevano un unico vescovo, pur avendo due Curie con documenti divisi, per questo non si sa con precisione il giorno che fu ordinato sacerdote nel settembre del 1879 a 23 anni, comunque il 20 dello stesso mese celebrò la Prima Messa nel paese di Iolo, fra la sua gente.
Da subito fu incaricato di affiancare come cappellano l’anziano e ammalato parroco Cappellini; espletò quest’ufficio per ben dodici anni, finché visse il pievano Cappellini, agendo praticamente da parroco nelle sue giornaliere attività pastorali; nel contempo ebbe la gioia di vedere il fratello minore Giovanni entrare in Seminario, per cui volle sostenerlo economicamente negli studi.
Si sa che entrò a far parte anche del Terz’Ordine Domenicano prendendo il nome di fra’ Antonino. Dal 24 aprile 1890 al 30 marzo 1892 fu economo della Chiesa di S. Pietro a Iolo, dopo la morte del pievano e in quest’ultima data divenne parroco, fra la soddisfazione dei fedeli che ormai da 14 anni, conoscevano ed apprezzavano l’opera del trentaseienne sacerdote.
Il paese di Iolo, allora di 2.800 abitanti, soffriva di tante situazioni sociali ed economiche, del resto comuni a buona parte dell’Italia di fine Ottocento; mortalità infantile e mortalità matura elevate, per cui vi erano molti orfani rimasti soli, frequenti infezioni di tifo, analfabetismo diffuso; buona parte degli abitanti erano impegnati nel lavoro agricolo, ma le donne svolgevano anche il lavoro di ‘trecciaia’, cioè la lavorazione a domicilio della treccia di paglia per la confezione di cappelli, largamente esportate.
Tutto ciò angustiava l’animo sensibile del parroco Bessi, che si struggeva in preghiere a Dio, di indicargli come operare per il loro bene materiale e spirituale.
Già dal 1891 la figlia del falegname del paese si era affidata alla sua guida spirituale, confidandogli il suo desiderio di farsi religiosa, si chiamava Iginia Puggelli; in seguito altre tre giovani, Severina Lenzi, Giuseppa Boretti, Leontina Martini, espressero lo stesso desiderio, per cui don Didaco, vide in ciò l’indicazione tanto attesa e il 1° dicembre 1894 si recò dal vescovo di Pistoia - Prato, mons. Mazzanti per esporgli il suo disegno di fondare un’Istituzione per l’assistenza dei tanti orfani di Iolo e degli ammalati, che a causa degli impegni di lavoro nei campi, venivano lasciati abbandonati a sé stessi.
Il vescovo che conosceva ed apprezzava don Didaco, stimato da tutti, approvò il suo desiderio. E così iniziò la costituzione della Congregazione con don Didaco e le quattro giovani, sia pur senza mezzi economici opportuni, ma disposte ad ogni sacrificio pur di avviare l’Opera.
Per la grande devozione alla Madonna, che specie ad Iolo era venerata sotto il titolo dell’Addolorata, e per il grande fervore per il Rosario, che nonostante le idee moderniste e razionaliste che scuotevano la Cristianità, era additato dal papa Leone XIII, come potente arma contro gli errori moderni; la nuova Opera fu messa sotto la materna protezione della Madonna del Rosario, il cui culto in quel periodo conosceva un particolare splendore, per l’Opera del beato Bartolo Longo a Pompei.
Il pievano Bessi prese in affitto una piccola casa vicina alla chiesa parrocchiale, con un contratto di cinque anni, che furono gli anni di prova per il gruppetto di aspiranti suore e l’8 settembre 1895, ci fu l’inaugurazione dell’Istituto, che prese il nome di “Istituto delle Suore di Carità della beatissima Vergine del Rosario”, con la benedizione officiata da don Bessi e con le quattro giovani che processionalmente portavano il quadro della Madonna del Rosario, sistemandolo sopra l’altare nella stanza destinata come Cappella (il quadro fu donato da un cappuccino di Iolo).
Le giovani presero a condurre una vita in comune, osservando la Regola del Terz’Ordine Domenicano e con il Regolamento specifico redatto da don Didaco Bessi, che divenne Direttore dell’Istituto. Con i pochi mezzi disponibili fu subito aperta una scuola per le figlie del popolo e come maestra Leontina Martini, allora appena diciannovenne.
Bisogna dire che in base alle leggi, scaturite dal contrasto fra Chiesa e Stato dell’epoca, dopo l’Unità d’Italia, i parroci avevano rifiutato il riconoscimento dello Stato Italiano e con esso la congrua statale per le parrocchie; per cui si andava avanti senza una rendita fissa e anche la parrocchia di Iolo, ricadeva in questa situazione, sanata solo nel 1920, con il successore di don Bessi.
Pertanto veramente solo la Provvidenza poteva sostenere la parrocchia, il parroco e l’Istituto che si affiancava. Nel 1896 dopo poco più di un anno, furono accolte nella casetta tre orfanelle, anche questa volta ci fu una processione, come l’anno prima per la Celeste Fondatrice, cioè la Madonna del Rosario.
Intanto veniva nominata Superiora della Comunità Iginia Puggelli, per le sue particolari doti umane e cristiane. Nei cinque anni di prova, la Comunità delle giovani, allargò il suo campo di apostolato con l’assistenza agli ammalati, specie di notte, dei moribondi e nel dare consolazione ai superstiti.
In quest’arco di tempo, alle quattro giovani si aggiunse una maestra di scuola di 22 anni, la fiorentina Caterina Rubbioli, che portò nella Comunità il dono dell’insegnamento, seguita con entusiasmo dalle piccole orfane. Il 6 ottobre 1900 le cinque giovani, ricevettero dalle mani del Direttore spirituale e Terziario Domenicano lui stesso, don Bessi, l’abito religioso e i simboli Domenicani, scapolare di lana bianca, il Crocifisso, la Corona del Rosario, nel contempo tutte cambiarono nome.
Dopo l’anno di noviziato, esse fecero la prima professione, aggiungendosi con loro un’altra aspirante della stessa Iolo, Ermelinda Bettazzi, la quale diventerà in seguito la seconda Superiora. Nel contempo il pievano don Didaco per il decoro della chiesa parrocchiale, negli anni 1898-1899 intraprese un radicale restauro dell’edificio, coprendosi di debiti e pagando di tasca propria; durante i lavori vennero alla luce affreschi del 1300 - 1400 - 1500, che ancora si ammirano nella chiesa di Iolo.
Le suore ormai strette in poco spazio, con il provvidenziale intervento di un benefattore (parente della superiora Iginia Puggelli; suor Maria Rosaria Crocifissa), poterono fittare l’edificio più vasto e con cortile, posto a fianco della loro Casa.
Il vescovo di Pistoia-Prato, Mazzanti che seguiva amorevolmente l’Opera, concesse il 10 dicembre 1901 il permesso di celebrare la S. Messa nella Cappella ricavata nel nuovo edificio. Da quel momento l’Istituto proseguì nella sua crescita e nelle opere prefissate, con la guida spirituale di don Didaco, che lo sosterrà fino alla sua morte, ma sempre con maggiore discrezione e umiltà.
Le suore per lunghi anni furono costrette perfino alla questua casa per casa, per sostenersi con le orfane, ma la loro presenza era ormai bene accetta dai contadini e anche dai benestanti, per l’opera sociale che svolgevano, non solo ad Iolo ma ormai anche nei paesi vicini.
Collaboravano alle opere della parrocchia di don Bessi, il quale visto l’avanzarsi della tecnologia e l’allontanarsi dalle campagne di tanti giovani, per le fabbriche che sorgevano a Prato, si preoccupava di porre iniziative catechistiche e di formazione in seno alle famiglie, chiamando a collaborare anche gli adulti.
Intanto gli anni passavano e sull’Italia scese anche il primo grande sconvolgimento della “Grande Guerra” del 1915-18, che arrecò lutti e sofferenze in tutti i Comuni d’Italia, con la perdita di tanti giovani partiti per il fronte; anche per don Bessi le sofferenze aumentarono vedendo il suo popolo colpito, ma anche per suoi lutti familiari; dopo la perdita del fratello Antonio a 38 anni, che lasciò moglie e figli, nel 1914 morì a 55 anni il fratello sacerdote Giovanni, per il quale aveva fatto tanti sacrifici.
Viveva in povertà, senza preoccuparsi della sua salute che declinava ogni giorno di più. Purtroppo gli toccò di vedere anche la morte di una delle prime ragazze del suo Istituto, Maddalena Lenzi, che a 42 anni fu stroncata dalla famigerata “febbre spagnola”, come pure a soli 38 anni un’altra suora Concetta Rosati, morì nel 1919. Tutti duri colpi per don Didaco che ormai non aveva più le forze di reagire, sebbene coadiuvato dal suo viceparroco don Raffaello.
Aveva 63 anni quando il Signore lo chiamò a sé, il 25 maggio 1919, fra le preghiere e la costernazione delle sue suore e dei fedeli della parrocchia di S. Pietro a Iolo, che aveva retto per 40 anni.
Non si trovò nella canonica un materasso per adagiarlo dopo morto, perché dormiva su un pagliericcio, né c’erano i soldi per il funerale; ma il popolo volle ricambiare la dedizione che questo santo uomo aveva dato a loro per tutta la vita e i funerali si svolsero solenni, con la partecipazione di tutto il paese.
L’Istituto da lui fondato e che oggi ha la denominazione di “Domenicane di Santa Maria del Rosario”, forte del carisma trasmessogli dall’infaticabile parroco, e dall’esempio delle prime eroiche consorelle, si è diffuso con tante Case in Italia, India, Polonia, Ecuador, Romania, Ucraina; costituito così da anime consacrate, di diverse culture e nazionalità, che vivono insieme condividendo ciò che sono; “l’accoglienza reciproca è ciò che rende possibile l’accoglienza dell’altro, che è Dio”.
Autore: Antonio Borrelli
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